La discriminazione di genere nel mondo del lavoro è una realtà ancora troppo diffusa. Le soluzioni possibili secondo l'economista femminista autrice del libro "Le signore non parlano di soldi"
La discriminazione di genere nel mondo del lavoro è una realtà ancora troppo diffusa, che penalizza le donne in modo evidente. Nonostante i progressi compiuti, esse faticano infatti a sfondare l’atavico “soffitto di cristallo” e occupano nella massima parte dei casi posizioni meno prestigiose e remunerate.
Si riuscirà mai a superare queste disuguaglianze e quali le possibili soluzioni concrete per abbattere gender gap e stereotipi di genere e creare una società più inclusiva? Ne abbiamo parlato con Azzurra Rinaldi, economista femminista e direttrice della School of Gender Economics all’Università degli Studi di Roma Unitelma Sapienza, dove insegna Economia politica, attivista dei diritti delle donne e autrice del libro Le signore non parlano di soldi (Fabbri Ed.), nel quale analizza, fra le altre cose, la discriminazione salariale e la scarsa rappresentanza femminile nei vertici aziendali.

Azzurra Rinaldi è un’economista femminista e direttrice della School of Gender Economics a Roma (foto: Ilaria Corticelli)
Quali sono le maggiori discriminazioni nel mondo lavorativo che riguardano le donne?
Sono principalmente legate alla maternità, ma l’ultimo report dell’Ocse ha mostrato che in Italia la discriminazione inizia ancor prima della maternità. Le donne italiane, in particolare, guadagnano in media il 58% in meno rispetto ai loro coetanei maschi con la stessa qualifica, nonostante ottengano risultati accademici migliori. Questo gap salariale è sia ingiusto che miope dal punto di vista economico, poiché impedisce al sistema di sfruttare appieno il potenziale femminile.
Inoltre, le discriminazioni riguardano anche l’accesso al mercato del lavoro e la permanenza nel medesimo, visto che una donna su tre lascia il lavoro al momento della maternità. Un altro dato significativo è che nel 2023 il 74% delle dimissioni volontarie in Italia sono state richieste da madri lavoratrici. Infine, le donne faticano ad accedere ai vertici aziendali: solo il 4% degli amministratori delegati in Italia è rappresentato da donne, evidenziando un quadro complesso di disuguaglianza.
Giusto compenso: perché esiste ancora questa discriminazione di genere?
La discriminazione salariale esiste ancora a causa degli stereotipi di genere radicati nella società. Secondo uno studio delle Nazioni Unite del 2024, il 91% della popolazione mondiale agisce influenzata da stereotipi di genere. Inoltre, la teoria economica di Gary Becker, Premio Nobel per l’Economia, giustificava la disparità salariale, sostenendo che le donne dovessero essere pagate di meno per via degli impegni familiari, come la cura della casa e dei figli, che riducono la loro produttività. Questi stereotipi sono privi di basi oggettive e non giustificano la differenza salariale tra uomini e donne a parità di competenze ed esperienza.
Cosa bisogna fare per scardinare questo come altri pregiudizi e discriminazioni che riguardano le donne?
Per combattere questi pregiudizi, bisogna partire dalla consapevolezza e cercare di sensibilizzare un pubblico più ampio, anche al di fuori dei circuiti accademici. Personalmente, ho scritto due libri con un linguaggio semplice e accessibile, per raggiungere quante più persone possibile. La consapevolezza è la chiave del cambiamento, ed è fondamentale che venga diffusa tra coloro che ne hanno più bisogno.
Un altro passo importante è insegnare alle donne a riconoscere il loro valore economico, come ho fatto nel mio libro Come chiedere l’aumento, dove suggerisco come farsi valere sul mercato del lavoro e come combattere la sindrome dell’impostora, che spesso le porta a sottovalutare le proprie capacità.
Possiamo dare qualche consiglio utile alle donne per darsi il giusto valore e per ottenere ciò che giustamente gli spetta?
Nel mio ultimo libro, ho dato dei consigli pratici alle donne su come riconoscere il proprio valore economico e chiedere il giusto compenso per il lavoro che svolgono. Le donne spesso sottostimano le proprie competenze, una tendenza che si manifesta in vari ambiti, dal lavoro alla gestione delle proprie finanze. Per combattere questo, è fondamentale che le donne imparino a vedere il loro lavoro con la stessa obiettività con cui vedono quello degli altri. Devono imparare a chiedere ciò che spetta loro, una competenza che nessuno insegna, ma che è fondamentale per ottenere il giusto riconoscimento.

Foto: Sandy Millar / Unsplash
E agli uomini, manager, imprenditori o uomini qualsiasi che siano?
Anche agli uomini c’è molto da dire. Il cambiamento culturale non può avvenire solo da parte delle donne, ma deve coinvolgere entrambi i sessi. Gli uomini devono comprendere che il sistema patriarcale penalizza sia le donne che gli uomini. Per le donne è evidente, ma anche per gli uomini, che sono costretti a conformarsi a stereotipi dannosi legati alla virilità e al ruolo di unico sostegno economico della famiglia.
Gli uomini devono avere il coraggio di denunciare atteggiamenti sessisti e, nei contesti professionali, riconoscere il valore delle competenze femminili. I manager e gli imprenditori devono aprire gli occhi e valorizzare il talento femminile nelle loro aziende.
Riusciremo mai a rompere il famoso “soffitto di cristallo” nel nostro Paese? Come?
Speriamo di sì, anche se non è un processo che si realizza facilmente. Purtroppo, negli ultimi anni siamo peggiorati, perdendo oltre 20 posizioni nel Global Gender Gap Index. In Italia, la parità di opportunità tra uomini e donne sta peggiorando. Per migliorare la situazione, bisogna impegnarsi quotidianamente nella lotta contro gli stereotipi.
Le istituzioni dovrebbero adottare misure come il congedo di paternità obbligatorio della stessa durata di quello maternità, una proposta che è stata già adottata da Paesi nordici e dalla Spagna. Questo tipo di intervento potrebbe ridurre gli stereotipi durante la selezione lavorativa e favorire l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro.
Quali sono i Paesi più virtuosi in tal senso e come hanno fatto loro?
I Paesi più virtuosi sono quelli del Nord Europa, come Norvegia, Finlandia e Svezia, ma anche il Canada e l’Islanda. Questi Paesi hanno adottato politiche di equità di genere, eleggendo donne femministe nei governi, che hanno poi introdotto misure concrete contro le discriminazioni. L’Islanda, negli anni ’70, è stata pioniera con lo sciopero della cura, dove le donne si sono rifiutate di svolgere attività domestiche per un giorno, bloccando il Paese. Questo tipo di azioni ha avuto un impatto positivo sulle politiche di parità di genere. In Italia, invece, non siamo riusciti a fare altrettanto, nonostante le manifestazioni come lo sciopero del lavoro e della cura indotto da “Non una di meno”.
Quale sarebbe il reale giovamento per tutti di una situazione più equa?
Un Paese più equo porterebbe vantaggi tangibili per tutti. Se l’Italia riuscisse ad allinearsi con la media europea in termini di occupazione femminile, il Pil potrebbe crescere di circa 7 punti percentuali. Inoltre, un aumento dell’occupazione femminile contribuirebbe al benessere collettivo, migliorando i servizi e le infrastrutture per tutti.
In Paesi con un alto tasso di occupazione femminile, la natalità è anche più alta, poiché le famiglie hanno una maggiore stabilità economica. Se riuscissimo a creare condizioni favorevoli al lavoro femminile, l’Italia sarebbe più ricca e con una natalità più alta, contribuendo al benessere generale della società.
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Vincenzo Petraglia