L'appello di una delle attrici più intense del cinema e del teatro italiani, molto impegnata su questi temi, in occasione della giornata contro la violenza di genere
Ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa, spesso da un familiare o da ex compagni o fidanzati. Una strage che non si può più tollerare e che bisogna combattere, tutti uniti, uomini e donne, con tutte le nostre forze. E questo sempre, non soltanto in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, una ricorrenza certamente importante, per riflettere e promuovere una nuova cultura del rispetto e dell’amore. Proprio in occasione di questa giornata abbiamo intervistato Monica Guerritore, da sempre impegnata su questi temi, fra le voci più importanti del cinema e dell’arte italiana, che molto possono fare per promuovere una cultura meno maschilista e meno inquinata dalle discriminazioni di genere.
L’attrice proprio in questo periodo è in scena con la pièce, da lei stessa scritta e interpretata, “Quello che so di lei: donne prigioniere di amori straordinari”, il 28 novembre al Teatro Carcano di Milano, che ha scelto di dedicare una settimana intera a questo tema, dal 25 novembre al 1 dicembre, con una serie di eventi tra cui reading, monologhi, happening e talk interattivi per combattere e sensibilizzare nei confronti delle violenze di genere e del femminicidio.
Uno spettacolo, quello della Guerritore, che porta in scena in forma drammatica i momenti finali della tragica vita della contessa Giulia Trigona, zia di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Sposata e madre di due figlie, viene uccisa con 27 coltellate in una squallida pensioncina dal giovane ufficiale che aveva lasciato e che non aveva mai accettato il suo rifiuto. Una dinamica che purtroppo si ritrova in molte delle storie di femminicidio che ancora oggi insanguinano il nostro Paese e nei confronti delle quali, anche se non ci toccano da vicino, non possiamo essere indifferenti…
Monica, la storia di Giulia Trigona che racconta in “Quel che so di lei” è una storia profondamente, e tristemente, attuale, ancora oggi…
Sì, perché racchiude dinamiche ricorrenti in molte storie di violenza e di femminicidio con cui quasi quotidianamente siamo costretti a confrontarci. Giulia Trigona era una donna adulta, colta e sicura di sé, ma ha finito per trovarsi intrappolata in un amore che l’ha portata alla morte. Mi sono chiesta come fosse possibile che una donna con tanto carattere, una donna matura e consapevole, potesse finire in una simile tragedia. Cosa è accaduto dentro di lei? Ho immaginato le “sette stanze” della sua vita, che la portano a compiere scelte che la conducono verso il suo tragico destino, determinato dall’uomo che le toglie la vita. La storia di Giulia è una riflessione sul potere dell’amore, su come talvolta possa diventare una prigione e annientare una persona…
Lei parla di donne prigioniere di amori straordinari, ci spieghi meglio…
Con “amori straordinari” intendo quegli amori che sembrano unici, passionali, travolgenti, ma che in realtà sono un inganno. Questi amori spesso nascondono violenza e un’idea malsana di possessività. Le donne si ritrovano prigioniere di un concetto di amore che, anziché liberarle, le distrugge. Giulia Trigona è la rappresentazione di una donna che, pur essendo libera e forte, si è lasciata ingannare da un amore illusorio, che alla fine l’ha uccisa. È importante capire che il vero amore non è possesso, ma libertà.
Le dinamiche della violenza sulle donne sono uguali, oggi come in passato?
Sono sempre le stesse, purtroppo, e le donne che subiscono violenza, che non riescono a sottrarsi, che si sentono intrappolate in relazioni tossiche, sono ancora molte. È una violenza che nasce da un’incapacità di sopportare un “no”. Questo è un concetto che dobbiamo insegnare fin da piccoli ai ragazzi: il “no” non è la fine del mondo e non si può rispondere con la violenza a un rifiuto. Purtroppo, molti uomini non accettano che una donna possa dire “no”, che possa non ricambiare un sentimento, e la violenza è la risposta a questo “no”.
Si tratta di un comportamento culturale che bisogna combattere, anche tra i giovani e i giovanissimi! D’altronde, lo vediamo tutti i giorni, anche tramite i casi di cronaca, quanto ci siano sempre più in giro una profonda incapacità di accettare il rifiuto e una visione possessiva dell’amore, che portano a tragedie inaccettabili come il femminicidio.
Come possiamo educare i ragazzi a gestire in maniera più sana il rifiuto?
È fondamentale insegnare fin da piccoli a gestire le emozioni. Gli uomini devono essere educati ad affrontare il dolore, a non temerlo. Le donne sono più abituate a gestire il dolore, anche quello fisico, tramite per esempio le mestruazioni o il parto, mentre gli uomini non sono abituati a soffrire. Quando, quindi, un uomo non riesce a sopportare il dolore di un rifiuto, scatta una reazione violenta, che può arrivare fino all’uccisione. Dobbiamo imparare a gestire il dolore e la frustrazione, a capire che non c’è nulla di male nel dire “no” e che l’amore non è una forma di possesso.
Che consiglio si sente di dare alle donne che oggi si trovano in una situazione di violenza o di paura?
Alle donne dico di stare molto attente, di tenere gli occhi ben aperti. Se c’è un minimo sospetto, bisogna prendere sul serio il pericolo. È fondamentale non sottovalutare mai i segnali di allarme. Bisogna imparare a dire “no”, anche quando sembra difficile, anche quando si ha paura delle conseguenze. E bisogna essere consapevoli che, se un amore ti fa del male, è giusto mettervi fine. Non dobbiamo mai scendere a compromessi con la nostra sicurezza e dignità. Il lutto per un amore che finisce è doloroso, ma è meglio affrontarlo piuttosto che rimanere intrappolate in una relazione pericolosa.
Riusciremo mai a cancellare dalla nostra società l’abominio della violenza sulle donne?
Dobbiamo farlo! Sarebbe bello un giorno trasformare la frase “Mai più violenza sulle donne” in qualcosa di reale, concreto… La violenza contro le donne è un problema strutturale, che deve essere combattuto a livello sociale, culturale e legale. Ma, prima di tutto, dobbiamo educare i bambini, e soprattutto i ragazzi, a rispettare le donne, a capire che nessuno ha il diritto di fare del male a un’altra persona, in nessuna forma. La violenza contro le donne è una piaga che non può più essere tollerata, e ognuno di noi, anche attraverso il teatro, che è il campo nel quale personalmente lavoro, deve fare la propria parte per cambiare le cose!
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Vincenzo Petraglia