Pur essendo a conoscenza dei gravissimi danni ambientali e sanitari, l’Italia non ha fatto abbastanza per tutelare la popolazione che vive nell'area della Terra dei Fuochi. È quanto sancisce una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
Si torna a parlare della Terra dei fuochi, quell’area a cavallo tra le province di Napoli e Caserta in cui la criminalità organizzata ha interrato rifiuti tossici per anni, con conseguenze devastanti. Il tema è tornato di attualità per via di una sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna l’Italia per non avere fatto abbastanza in tutti questi anni per affrontare un’emergenza sanitaria e ambientale ormai conclamata.
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Terra dei Fuochi: la condanna della Corte europea per i diritti dell’uomo
La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) è un tribunale internazionale, con sede a Strasburgo, che ha il compito di garantire il rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Questo trattato è firmato dai membri del Consiglio d’Europa – da non confondere con l’Unione europea – e protegge diritti fondamentali come il diritto alla vita, il divieto di tortura, la libertà di espressione e il diritto a un processo equo.
Può fare ricorso alla Cedu qualsiasi individuo, gruppo o Stato che ritiene di aver subito una violazione dei propri diritti e ha già esaurito senza successo tutti i rimedi possibili nei tribunali nazionali. Questo ricorso può essere esclusivamente contro uno o più Stati, non contro aziende o privati cittadini. Se accerta un’infrazione, la Cedu può condannare il governo a pagare un risarcimento o anche a modificare la propria legislazione nazionale per scongiurare ulteriori violazioni.
Il ricorso alla Cedu sulla Terra dei fuochi
Proprio alla Cedu si sono rivolte sia alcune associazioni, sia una quarantina di persone che hanno contratto un tumore o sono familiari di malati di tumore nella zona della Terra dei fuochi.
I giudici hanno rigettato i ricorsi delle associazioni, ritenendo che non fossero direttamente interessate dai rischi per la salute, e anche di alcuni cittadini che non hanno fornito prove sufficientemente solide del fatto che i loro parenti vivessero in zone inquinate. I rimanenti, invece, sono stati accolti. Dopo aver esaminato il caso, i giudici hanno emanato una sentenza definitiva che condanna l’Italia per avere trascurato una situazione che pure conosceva. Mettendo così a rischio la salute degli abitanti.
“È pacifico in causa che il fenomeno dell’inquinamento del terreno e delle falde acquifere, conseguente a una dissennata gestione del ciclo dei rifiuti, è stato vasto e profondo, oltreché noto alle autorità per molti anni”, si legge nel testo della sentenza, liberamente consultabile online. Nonostante appunto questo fenomeno fosse noto, e nonostante i vari atti legislativi succedutisi nel tempo, nel 2019 era stato bonificato solo il 3% delle zone contaminate. “Né la Corte Edu considera soddisfacenti gli sforzi fatti, nell’arco degli anni, dalle autorità per il monitoraggio sanitario e il censimento dei tumori”. In sintesi, “la Corte Edu considera l’operato complessivo delle autorità italiane del tutto insufficiente”.
Il nostro Paese ha dunque violato l’articolo 2 della Convenzione, quello che sancisce il diritto alla vita. Di conseguenza, è obbligato a versare un risarcimento alle vittime. Ma, soprattutto, a mettere a punto “una strategia complessiva e coerente per la bonifica dei siti e per la prevenzione dei pericoli per la salute” e a “istituire un’autorità indipendente per il relativo monitoraggio nonché una piattaforma informativa accessibile al pubblico”.
Il ministro per l’Ambiente e la sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, pur ammettendo che “obiettivamente ciò che è stato fatto non è sufficiente”, ha ventilato l’ipotesi di un ricorso alla Grande Camera.
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Breve storia della Terra dei fuochi
Sono passati più di vent’anni da quando, nel 2003, l’organizzazione ambientalista Legambiente coniò l’espressione Terra dei fuochi. Si riferiva a una vasta area tra le province di Napoli e Caserta che per anni la criminalità organizzata aveva sfruttato come discarica abusiva di rifiuti tossici, nella totale impunità.
In sostanza, i gruppi criminali gestivano il traffico di rifiuti provenienti da industrie collocate in tutt’Italia (impianti chimici, petrolchimici e siderurgici, concerie ecc.) e li trasportavano in Campania, smaltendoli senza curarsi minimamente delle normative. Nel momento in cui le autorità provavano a intervenire, qualcuno prontamente incendiava i cumuli di rifiuti (il nome fa riferimento proprio ai roghi).
Quella che ai tempi dell’antica Roma si chiamava Campania Felix, perché era una terra fertile vocata all’agricoltura, è dunque stata pesantemente contaminata – falde acquifere comprese – da metalli pesanti, policlorobifenili, amianto e altri inquinanti persistenti.
A dicembre del 2013 un decreto interministeriale, per indirizzare gli interventi di monitoraggio sanitario, bonifica e ripristino, formalizzò la posizione esatta della Terra dei fuochi: ricade nel territorio di 57 diversi Comuni. Nel frattempo, la rivista medica The Lancet pubblicò un reportage dal cosiddetto “triangolo della morte”, cioè tra Acerra, Nola e Marigliano, evidenziando un aumento dell’incidenza di cancro al colon e al fegato, linfoma e leucemia. E ipotizzando un nesso causale con le discariche abusive.
Anche sulla spinta delle procedure di infrazione della Commissione europea e della Corte di giustizia del Lussemburgo, i legislatori nazionali e le amministrazioni locali – dopo aver a lungo tergiversato – iniziarono ad avviare una serie di iniziative per la bonifica e il ripristino della zona. Ripercorrerle tutte è impossibile, perché da allora se ne sono susseguite moltissime, in parallelo a un altrettanto tortuoso filone giudiziario. Nel frattempo, la Terra dei fuochi è ancora lì, avvelenata e martoriata. Tant’è che solo nel 2024, dopo oltre due decenni da quando il tema è venuto alla luce, sono stati identificati quasi cinquecento nuovi siti di sversamento di rifiuti tossici e sono state comminate multe per oltre 8 milioni di euro.
Valentina Neri