Nel 2004 l'imprenditore milanese perde la primogenita a causa di un tumore. Da allora attraverso la fondazione Magica Cleme, a lei intestata, si dedica a regalare un po' di serenità e gioia a tanti altri piccoli
Bill Niada, milanese, 53 anni, nel 2004 a seguito della morte della figlia Clementina, crea in suo onore e memoria Magica Cleme, una fondazione che si occupa di far divertire i bambini malati attraverso l’organizzazione di feste, gite, eventi e di tutto ciò che può contribuire a mantenere i piccoli nelle loro condizioni di umore e serenità migliori. Perché il nemico principale, quando ci si trova nella malattia, è il tempo.
Come e perché nasce Magica Cleme?
Nasce in ricordo e in memoria di mia figlia Clementina, malata di tumore diagnosticato quando aveva 4 anni e che a 11 se l’è portata via. In questo lasso di tempo, abbiamo lottato per sconfiggere la sua malattia cercando di trovare le cure e gli ospedali migliori, per questo siamo stati in tanti Paesi: in Italia, a Londra, a New York e in Francia. Poi quando Cleme ha pensato che noi fossimo sufficientemente maturi, che avessimo capito alcune cose e che fossimo in grado di portare a termine l’istruzione che lei ci aveva dato (ovvero cercare di far sì che i bambini malati di tumore potessero vivere una vita bella durante il periodo delle cure) ci ha lasciato con questa missione da compiere.
Perché proprio questo nome?
Lei credeva di essere “magica”. Capitava infatti che i suoi amici o i parenti andassero da lei per avere delle notizie, delle informazioni, un po’ da streghetta, da indovina.
Era una bambina piena di energia, voglia di vivere, che dispensava gentilezza e sorrisi per tutti, non appena la malattia le permetteva di farlo.
È stata lei stessa a suggerirci con un disegno il logo della fondazione: un cuore rosso che ride nonostante un cerotto fatto con la creta.
Quali sono le attività principali della Fondazione?
Come vi sostenete economicamente?
Grazie ad amici straordinari anche facoltosi che mettono a disposizione le loro case oppure i loro mezzi. Non abbiamo grandi necessità di fare fund rising e soprattutto non vogliamo avere come ossessione il denaro e la sua spasmodica ricerca. La nostra filosofia è “no money” e quello che serve per sostenere le normali attività poi lo troviamo attraverso qualche donazione, ma anche grazie ad attività con cui i nostri volontari partecipano e si divertono. Come quando organizziamo il mercatino “Vintage”, raccogliendo tantissimi meravigliosi vestiti che poi vendiamo con grande successo. Il nostro sistema di coinvolgimento delle persone è alternativo al meccanismo canonico della società odierna, il cui obiettivo principale sono i soldi.
Avete molti volontari? Chi sono?
Sono ragazzi prevalentemente di Milano, figli dei nostri amici, alcuni ex compagni di scuola di Clementina. Hanno formato un gruppo che si chiama “Team Teen Ager”, adolescenti sani che si riuniscono due volte alla settimana e che organizzano insieme alle magiche girl (mamme) che li coordinano, le gite e gli incontri nell’ottica di contribuire a far sì che i bimbi e i loro genitori possano tirare fuori il meglio dall’esperienza drammatica della malattia e delle terapie. I ragazzi entrano in un meccanismo di gioia che fa riflettere ognuno di loro, soprattutto i più fortunati, sul fatto che ci sono cose per cui vale la pena vivere. E il loro impegno è un’attività riconosciuta da alcune scuole che addirittura danno loro dei crediti formativi certificando il valore di quello che fanno. Il numero di chi vuole entrare a far parte della nostra associazione è talmente alto che abbiamo una lista di attesa per entrarci.
Nel corso di questi anni avete anche realizzato film e pubblicato libri…
Sì, l’ultimo film è di Andrea Caccia ed è intitolato Mi piace quello alto con le stampelle che vuol far capire a insegnanti e ragazzi sani che cosa capita e che cosa vive un ragazzo malato. Spesso infatti il periodo della riaccoglienza a scuola è un momento difficile. Nessuno si rende conto di cosa ci sia dietro un banco vuoto per 6 mesi o un anno una volta che i ragazzini tornano a scuola. Questo film, che abbiamo cominciato a distribuire in 70 scuole e che vogliamo divulgare anche all’interno di università e circuiti medici, fa vedere cosa c’è dietro questi mesi di assenza. Quest’anno abbiamo anche pubblicato insieme all’editore Carthusia il libro Il gatto che aveva perso la coda, una metafora illustrata che aiuta i bambini ad affrontare la radioterapia. Il risultato è che, attraverso questo libro e questa esperienza, i piccoli non devono essere addormentati nel momento in cui gli viene plasmata sul volto una maschera speciale.
Lei ha reagito alla tragedia in un modo non convenzionale. Come ha fatto?
Quando si perde una figlia l’approccio può essere negativo, non accettando il fatto e domandandosi ossessivamente «perché proprio a me»? Io ho cercato di farmene una ragione attraverso tutta una serie di riflessioni, ragionamenti, modificazioni. Dopo sette anni sono arrivato alla conclusione che ognuno di noi nasce con una missione, un percorso con determinati punti di arrivo. Cleme aveva come punto di arrivo quello di fare un sacrificio attraverso il quale qualcuno doveva farsi carico della sua missione e portare a termine il percorso. Io e mia moglie siamo strumenti: Cleme e gli altri bambini come lei si sono sacrificati perché accadesse qualcosa che ci aprisse gli occhi su un problema e su come affrontarlo. Lei è stata quella persona che in un breve tempo ha assunto dolore, sacrificio e fatica su di sé affinché poi altri, attraverso di noi, potessero vedere alleviata la loro sofferenza.