Lisa Shannon, americana, ha fondato quattro anni fa Run for Congo Women. Con l'obiettivo di raccogliere fondi per sostenere a distanza le donne congolesi vittime di violenza. Ha iniziato lei, con una maratona solitaria. E ora la seguono in molti
A leggere la storia di Lisa Shannon viene subito in mente Forrest Gump, se non fosse che la sua storia non è un film, ma è reale, e ha a che fare con una realtà davvero tragica. Così come Forrest Gump un giorno prende a correre da solo, e mano a mano alla sua corsa si uniscono tantissime altre persone, anche Lisa Shannon un giorno ha iniziato a correre da sola e a poco a poco in migliaia hanno accompagnato e rilanciato la sua corsa. Poi un giorno Forrest Gump smette di correre, mentre Lisa Shannon sembra avere appena iniziato: è difficile smettere di correre se a ogni metro percorso la vita di qualcun altro, che nemmeno conosci, diventa migliore…
Lisa Shannon è una ragazza americana di 35 anni, originaria di Portland, che da quattro anni corre, letteralmente, per le donne della Repubblica Democratica del Congo. Ha fondato un sito e lanciato un movimento – Run for Congo Women – con l’obiettivo di raccogliere fondi per sostenere a distanza le donne dello stato africano che l’inviato speciale dell’ONU Margot Wallstrom ha definito “la capitale mondiale dello stupro”.
La Repubblica Democratica del Congo è uno dei paesi al mondo dove lo stupro sistematico è usato più comunemente come strategia di guerriglia. Le Nazioni Unite stimano che centinaia di migliaia di donne congolesi lo abbiano subito da quando, nel 1998, ebbe inizio un conflitto per il possesso dei minerali nel Congo orientale e le milizie cominciarono a usare la violenza sessuale come arma. Niente sembra fermare questa tragedia: nel 2009 sono stati denunciati più di 8300 stupri (ma è probabile che gli episodi non denunciati siano molto maggiore), e solo nello scorso agosto almeno duecento donne e quattro bambini sono state violentati dai ribelli durante un assedio alla città di Luvungi durato sei giorni.
Cinque anni fa, il giorno del suo trentesimo compleanno, Lisa Shannon vide una puntata dell’Oprah Winfrey Show dedicata proprio al Congo: quasi ne ignorava l’esistenza, e scoprì che negli ultimi quindici anni vi erano morte più di cinque milioni persone. Iniziò a leggere, a documentarsi, ad approfondire, fino ad arrivare al punto di chiedersi: cosa posso fare io? Le persone con cui parlava non sembravano molto colpite dalla tragedia e forse fu proprio il sentirsi così sola a dare forma al suo progetto: decise che avrebbe corso una maratona solitaria di 30 miglia, a Portland, in favore di donne che stavano dall’altra parte del mondo. Si allenò per mesi, fece la sua corsa, e grazie a un grande lavoro di comunicazione pre-social network raccolse i primi 28.000 dollari.
A oggi il denaro raccolto supera i 700 mila dollari ed è servito ad aiutare circa 1500 donne (“sorelle”, le chiama lei). Il suo sito www.runforcongowomen.org si è associato a una Ong, Women for Women, che promuove un programma di adozioni a distanza che aiuta direttamente le donne congolesi e finanzia corsi e scuole. Ma, soprattutto, è diventato un vero e proprio movimento che unisce persone di tutto il mondo che partecipano alle corse sotto l’insegna “Run for Congo”, raccolgono fondi e addirittura organizzano in autonomia manifestazioni sportive. Shannon non è più sola perché tanti altri corrono con lei.
Lisa Shannon oggi ha esteso la sua battaglia anche al terreno culturale, nella convinzione che non si possano solo raccogliere soldi per mettere pezze a un problema enorme che, inoltre, coinvolge anche noi occidentali. In un articolo scritto per il New York Times, la Shannon si scaglia contro chi ignora e passa sopra agli stupri di massa definendoli “culturali”, come se fossero un’usanza: «Milizie e soldati congolesi usano ora entrambi la violenza sessuale come arma. Lasciata priva di controllo, la violenza sessuale ha trionfato nel Congo orientale devastato dal conflitto. Ciò non rende lo stupro “culturale”. Lo rende più facile da commettere. C’è differenza». Un durissimo atto d’accusa contro chi volta la faccia dall’altra parte, soprattutto in Occidente: «Chi è stato zitto durante dodici anni di stupri di massa e altre indescrivibili atrocità? Noi. Chi finanzia il massacro con la propria avidità per l’ultimo processore e il telefono “intelligente” prodotti con i minerali che vengono dal Congo? Noi. Chi ha aiutato i combattenti a rifornirsi di armi? Noi. Ciò ci impedisce di tentare di porre fine alla crisi tramite un coordinato sforzo internazionale. Quando etichettiamo lo stupro in Congo come “culturale” ci siamo sfilati dalla questione. E questa sì che è un’istanza culturale. Nostra».