Il professore di patologia spiega in che modo il codice epigenetico e le influenze che riceviamo dal contesto in cui viviamo condizionano il nostro stato di salute
Buona parte della nostra salute dipende da quanto è scritto nel Dna. Ma molto altro – forse di più – dipende dai fattori ambientali e dagli stili di vita, in grado di condizionare il nostro destino senza intaccare quanto riportato fin dalla nascita dal codice genetico. È questo insieme di azioni a determinare un codice epigenetico: ovvero l’insieme delle influenze che riceviamo dal contesto in cui viviamo e che, a seconda dell’influsso, condizionano lo stato di salute dell’uomo: nel bene o nel male. Ma cosa conta di più: cosa è scritto è nel Dna o quel che riceviamo dall’esterno? «La scoperta del genoma umano ci ha detto molto, ma non tutto del meccanismo alla base delle malattie», afferma Pier Giuseppe Pelicci, professore di patologia all’Università Statale di Milano e direttore del dipartimento di oncologia sperimentale all’Istituto Europeo di Oncologia, intervenuto a The Future of Science (LINK: www.thefutureofscience.org), la conferenza mondiale organizzata dalla Fondazione Veronesi, dalla Fondazione Giorgio Cini e dalla Fondazione Tronchetti Provera. «L’orizzonte è più confortante: la nostra salute non è determinata soltanto da quanto ci portiamo dietro nel Dna, ma dipende pure dalle nostre scelte».
In che modo l’ambiente ci fa vivere più a lungo o ci fa ammalare?
«Le modificazioni dovute agli stili di vita si verificano sulla cromatina, la struttura che avvolge il nostro Dna. Questo effetto determina la formazione di marcatori stabili nel tempo, in grado di modificare l’effetto indotto da quanto scritto nel codice genetico. È da questi che bisogna partire per capire se la dieta o l’ambiente ci stanno facendo ammalare o meno».
Cosa è in grado di svelarci oggi questo codice «epigenomico»?
«Si tratta di una sequenza di centinaia di lettere, che ci raccontano la storia di ogni individuo. Oggi abbiamo le prime tecnologie in grado di leggerle, ma ci attende una sfida più grossa di quella che ha portato al sequenziamento del genoma umano. Il risultato raggiunto quindici anni fa rappresenta un punto di partenza. Quando avremo sequenziato l’epigenoma di almeno diecimila europei, potremo ragionare sulla messa a punto di farmaci che riescano a guardare oltre il Dna».
Ci troviamo comunque di fronte a caratteristiche ereditabili?
«Le modificazioni dell’epigenoma possono essere trasmesse da una generazione all’altra, anche se non sempre risulta chiaro il meccanismo. Questa nuova forma di ereditarietà può mediare l’adattamento all’ambiente agendo sull’espressione dei geni o nei meccanismi alla base della replicazione del Dna».
Nella pratica, quali risultati sono già stati ottenuti partendo dalla scoperta di un “nuovo” codice ereditabile?
«Negli ultimi anni è stato caratterizzato l’effetto dell’alimentazione su vari organi coinvolti nella regolazione del metabolismo, come il fegato, e su cellule staminali sane e leucemiche. Negli animali, per esempio, abbiamo visto che la restrizione calorica rallenta la progressione di una leucemia, ma non la cura. Si tratta comunque di un’evidenza significativa, a patto che nel tempo guadagnato si riesca ad aggredire la malattia con i farmaci più efficaci».
Per quali altre malattie potrebbe rivelarsi utile lo studio delle modificazioni epigenetiche?
«Ipertensione, diabete, obesità, asma, schizofrenia, Alzheimer, sindrome bipolare e sindrome coronarica acuta. Oggi sappiamo che tutte queste condizioni sono influenzate dallo stile di vita. Adesso non ci resta che capire quali siano i marcatori che si generano sulla base degli “input” esterni e che determinano l’inizio e la progressione delle diverse malattie».
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