Il job leader di un progetto deve confrontarsi sempre con i colleghi. Anche con la centralinista. In Regina Regis la struttura è orizzontale e il Cda è formato dai "saggi" del senato. Ecco la visione di un umanista contemporaneo
Dal fattorino alla centralinista, dal general manager al neo assunto. In Regina Regis, la piattaforma di distribuzione di alcuni marchi italiani della moda, specialmente nelle calzature, lo spirito gestionale ha forma orizzontale, non certo gerarchica. Tanto che non è scorretto definire il patron dell’azienda, Alberto Regis, un umanista contemporaneo. Secondo l’imprenditore, conosciuto per aver portato le ciabatte infradito Havaianas in Italia, è meglio che i processi decisionali e i progetti siano condivisi, o quantomeno comunicati, e che le persone siano contente del lavoro che fanno e del contesto in cui sono. E che siano consapevoli. A fare da sfondo, poi, è l’innovazione. Nella fattispecie quella di processo, ovvero la costruzione di un sistema di valori, più che un investimento monetario. Intanto ha appena visto la luce il primo monomarca targato Regina Regis Shopping in via Zagaria 2 a Treviso. I marchi? Quatha, LEDD, Happy Socks, Bjorn Borg, Rain Level, Toffole, Dr. Scholl’s.
Quale è il valore aggiunto in un contesto storico e economico come l’attuale?
Il valore è portare le persone a pensare in modo nuovo attraverso modelli di business che siano evoluti e dinamici. Vogliamo portare nel mondo della moda i modelli mass market: non c’è altro modo di fare il mercato oggi. Fare l’imprenditore comporta l’assunzione di rischi. Così, da quest’anno abbiamo deciso di prendere il controllo diretto del mercato rinunciando agli agenti, prendendoci il rischio di calare col fatturato il prossimo anno. L’idea è quella di avere persone dirette per avere una presenza sul territorio. Un metodo poco usato dato che costa molto di più e, in genere, si preferisce ricorrere agli agenti che conoscono già bene il mercato e sono molto bravi a vendere prodotti ai marchi conosciuti. A regime, un agente costa il 12% sul fatturato mentre una figura diretta costa il 20% il primo anno per scendere all’8 o al 10% il secondo anno. Inoltre da noi in azienda c’è molta gente giovane e motivata. Siamo circa in 20, mediamente hanno trent’anni, e quando escono dall’azienda fanno belle carriere.
Lei parla di senato quando fa riferimento alla sua struttura aziendale… Ci può spiegare meglio?
Il nostro è un cda informale, composto da vecchi esperti del mestiere. In genere ci riuniamo cinque volte l’anno e siamo: un imprenditore agricolo, un ex manager di finanza strutturata, un psi/coacher di alta direzione, un consulente specializzato nella prima
linea del conto economico, un imprenditore dell’immagine (che è il presidente di RR). In azienda il job leader di ogni gruppo di lavoro si confronta con quello degli altri: un momento in cui ognungo può dire la sua e portare alla comunità la propria idea, dal manager alla centralinista. Avviene, insomma, un confronto creativo attraverso i differenti gruppi di lavoro e questo è uno dei nostri punti di forza e di autentico scambio. La nostra missione è creare continuamente energia attraverso il reinvestimento degli utili in una cultura di impresa tesa alla massimizzazione di esperienze attraverso i marchi che gestiamo.
Quali sono le sue abitudini in azienda?
Una volta alle settimana il caffè delle 9 del mattino si beve insieme. Un momento in cui racconto come vanno i marchi, la comunicazione interna è continua. Appena posso, passo un’ora alla settimana al centralino, anche perché la centralinista è molto simpatica. Non conosco altro modo di fare azienda: certo occorre tenere i polsi rigidi, ma bisogna condividere molto. Non so essere altrimenti. Ho notato questo: le persone hanno paura del cambiamento e ad andare avanti sono quelle che hanno passione. È meglio essere poveri e appassionati che ricchi e insoddisfatti. Quando non hai niente, non hai niente da perdere ma quando hai molto, hai paura di cambiare. La stessa logica si può applicare tra un’eremita e un prete. C’è tanta gente che ha paura di reinventarsi e vive senza coraggio, senza mestiere e senza passioni. In Europa c’è una continua miscellanea di passato e futuro, siamo un paese in recessione. Il mondo è fatto di dei eroi e leader, non abbiamo né dei né eroi. La politica ha colpe enormi.
Il fatturato è in calo, come vedete nel futuro il giro d’affari del gruppo?
Nel 2009 abbiamo chiuso con 9 milioni di euro e l’obiettivo per il 2010 è di 8 milioni. Andremo a break even nel 2011. Abbiamo un portafoglio che ci permette di lavorare bene: distribuiamo vari marchi e spaziamo, dalle ciabattine da 40 grammi di Le DD che hanno il beneficio di sentirsi a piedi nudi, le pantofole Toffole, la maglieria di lana Quatha, gli stivali in gomma di Rain Level, le calzature di Scholl e l’intimo Bjorn Borg underwear. L’intenzione è quella di creare abitudini nuove.
Quali sono i mercati più interessanti?
La differenza la fanno le persone. Persone, più che mercati, insomma. Di certo, però, i paesi latini sono più complicati ma di maggiore soddisfazione. Sta di fatto che, in giro per il mondo, abbiamo un giro di 3000 clienti.