Wise Society : Se i batteri si annidano anche nella carne di pollo

Se i batteri si annidano anche nella carne di pollo

di Fabio Di Todaro
13 Maggio 2016

La denuncia di Ciwf Italia, onlus attiva nel campo del benessere animale. «Meglio prediligere carne un po' più cara, ma proveniente da animali allevati all'aperto»

«Serve un piano mirato a ridurre l’utilizzo di antibiotici negli allevamenti». Annamaria Pisapia, presidente della onlus Compassion in World Farming Italia, attiva nella sensibilizzazione sul tema del benessere animale, torna ad alzare la voce. Il tema attuale è uno dei più caldi all’interno della comunità scientifica: la resistenza agli antibiotici, ovvero la capacità sviluppata dai batteri di non rispondere più ai farmaci, ritenuta responsabile di almeno venticinquemila morti ogni anno soltanto in Europa. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, «la resistenza agli antibiotici rappresenta un problema sempre più grave per la salute pubblica e in grado di mettere a rischio i successi ottenuti con la medicina moderna». Così in molti casi è oggi impossibile arrestare la replicazione di questi batteri “insensibili” agli antibiotici. Stando agli ultimi dati diffusi dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (Ecdc), nel consumo l’Italia è al quinto posto in Europa e tra i Paesi a più elevato tasso di microrganismi resistenti. Alla base c’è un loro cattivo utilizzo: tanto nella medicina umana quanto in ambito veterinario. Ed è da questo secondo aspetto, non meno rilevante, che parte il nuovo affondo.

QUALI BATTERI SONO PRESENTI NEI POLLI ITALIANI? – Lo spunto arriva dall’ultimo rapporto del Ministero della Salute, relativo alla presenza di batteri resistenti agli antibiotici negli allevamenti avicoli (polli e tacchini). Il quadro emerso, in effetti, è da non trascurare. Elevata è risultata la presenza di batteri nelle carni di pollo resistenti agli antibiotici. Secondo il report, nei 709 campioni di pollo esaminati il 12,69% è risultata positivo alla presenza di Salmonella una delle cause più frequenti di tossinfezioni alimentari nel mondo industrializzato e in Italia. Ma ben più rilevanti sono risultati i dati riguardanti due batteri patogeni per l’uomo: il Campylobacter (72,92 per cento) e l’Escherichia Coli (95,40 per cento). Microrganismi che, come ribadito anche dal Ministero della Salute, «destano preoccupazione per la salute pubblica, sia per la loro capacità di trasmettere i determinanti di resistenza ai principali agenti zoonosici sia per le loro potenzialità di agenti patogeni opportunisti nell’uomo».

CONSEGUENZE ANCHE PER LA SALUTE UMANA – Nello specifico, il 90,04 per cento degli isolati di Campylobacter jejuni ha mostrato resistenza ai fluorochinolonici e il 5,36 per cento ha mostrato resistenza multipla. Nel caso della Salmonella, l’83,15 per cento dei ceppi isolati nei campioni ha mostrato resistenza ai fluorochinolonici, l’82,02 per cento alle tetracicline (la classe di antimicrobici più venduta in Italia), il 3,37 per cento alle cefalosporine di terza e quarta generazione e il 78,65 per cento degli isolati ha mostrato resistenza multipla. Tassi lievemente inferiori (67,65 per cento) hanno riguardato la resistenza dell’Escherichia Coli. Secondo la Federazione Nazionale Ordine Veterinari Italiani (Fnovi), «i risultati rappresentano una situazione alquanto allarmante soprattutto per alcuni antimicrobici quali tetracicline, sulfamidici, amminopenicilline e chinolonici». Le evidenze, secondo Ciwf Italia, sono la conseguenza della scelta di puntare sugli allevamenti intensivi, adottata mezzo secolo fa. In capannoni lunghi cento metri e larghi almeno 12, con una densità di almeno 15 animali per metro quadro, vengono cresciuti per 40-50 giorni diverse migliaia di polli destinati alla macellazione. Una storia che si ripete almeno quattro volte l’anno.

ATTENZIONE AI PREZZI TROPPO BASSI – In Italia ogni anno vengono allevati circa cinquecento milioni di polli “da carne”. Nel 2015 la produzione di carni avicole in Italia è stata pari a 1.296.400 tonnellate, con un consumo pro capite di poco inferiore a venti chili. «Si tratta di animali che vivono stipati in capannoni a decine di migliaia con cicli di vita brevissimi, selezionati per crescere in maniera abnorme e sviluppando per questo diverse gravi patologie, tenuti in vita grazie a un massiccio uso di antibiotici, questi animali sono venduti a prezzi sempre più bassi e sono ormai considerati soltanto una merce», va giù duro Pisapia. Da qui l’invito di Ciwf Italia a «preferire prodotti provenienti da allevamenti all’aperto o che riportano in etichetta informazioni sulla crescita a densità inferiori rispetto ai limiti di legge e sull’uso di arricchimento ambientale».

Twitter @fabioditodaro

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