Aprire il museo alla città, con una proposta continuativa ed evolutiva di arte contemporanea. È questo l'intento del direttore del Macro, che considera il museo di Arte Contemporanea di Roma una "casa delle curiosità", attiva e vivace, rivolta soprattutto ai giovani. Artisti e pubblico
Una nuova sede inaugurata a dicembre 2010 e una politica di grande apertura del museo (animato da mostre sempre diverse che affiancano ai maestri dell’arte contemporanea artisti emergenti) hanno già attratto al Macro (Museo d’Arte contemporanea) di Roma 90mila visitatori in pochi mesi. Per saperne di più abbiamo incontrato il direttore, Luca Massimo Barbero, che con entusiasmo e determinazione sta facendo di questo spazio una vera “casa delle curiosità” aperta al pubblico.
Un successo prevedibile questo del nuovo Macro?
Quando ho visitato il museo, due anni e mezzo fa prima di accettarne la direzione, mi è sembrato subito un luogo pieno di potenzialità di pubblico e di offerte. Con un piccolo staff e con fondi relativi, come del resto è comune a molti musei soprattutto di arte contemporanea, ho accettato la sfida. Mi piaceva l’idea di un museo con due sedi, questa di via Nizza e l’altra del Mattatoio al Testaccio. Poi c’era lo straordinario cantiere di Odile Decq per la costruzione della nuova, spettacolare ala inaugurata pochi mesi fa. Non potevo non accettare, anche per senso di responsabilità nei confronti della città che ha risposto in modo immediato, con grandi numeri e con tantissimi giovani.
Il rapporto tra un Museo di arte contemporanea e una città piena di storia come Roma, funziona?
Si pensa sempre che Roma sia legata al classico e all’antico e che questo basti. Lo pensano i romani e anche gli stranieri. L’atteggiamento dei romani è disincantato, si dice sempre che qui nella capitale non succede mai niente. Vista con gli occhi di chi arriva da fuori, la città si presenta invece colma di proposte, iniziative culturali e di luoghi come la Galleria di arte moderna, il Palazzo delle esposizioni, l’Auditorium, i teatri … ma la città è molto “diffusa” e i pubblici che seguono le tante, diverse proposte culturali forse non si mescolano tra loro.
E come è riuscito a rendere il Macro così popolare?
L’idea è stata di aprire il museo alla città, con una proposta continuativa ed evolutiva di arte contemporanea. Si è partiti dall’immediato passato romano costituito dalla storia delle gallerie, dei personaggi e delle personalità artistiche degli anni ‘70 e ’80. E per i giovani questo è il “passato”. Per poi arrivare ai grandi contemporanei e ai giovani artisti. In questo momento abbiamo in esposizione un americano, una francese, due romani, abbiamo critici internazionali . Quindi l’idea è stata di presentare una multi-offerta, mescolando il più possibile pubblici diversi. Abbiamo poi cambiato gli orari, con un’apertura protratta fino alle 22 e un successo sono stati i drink serali con proiezioni di video in collaborazione con artisti e istituzioni, e ancora il caffè, il ristorante e alcune aree del museo si possono attraversare anche senza pagare il biglietto. L’inaugurazione delle nuova area di Odile Decq non ha fatto che aggiungere una nuova curiosità.
Il suo museo ideale qual è?
Il Macro, naturalmente… ha una vitalità straordinaria, è un luogo perfetto perché è diviso in tantissimi spazi e nella sede di via Reggio Emilia si espande su quello ex industriale di una birreria (la storica Peroni) e una fabbrica del ghiaccio. Ha una parte più notturna, quella che chiude a mezzanotte nella sede di Testaccio. Con la presentazione del premio “MACRO 2percento” dedicato a giovani, che ha dotato il museo di installazioni luminose permanenti, il Macro mi pare abbia raggiunto una sua stabilità.
Qual è la sua idea del curatore?
Oggi c’è l’idea è di un “professionionalismo” direi radicale, un eccesso di specializzazione: si studia da curatore. Quando studiavo lettere con indirizzo artistico a Venezia c’era prima una richiesta di conoscenza che poi avresti applicato alla professione. Quando finivi di studiare storia dell’arte in modo esclusivo e massivo per cinque anni come è successo a me, avevi voglia di tuffarti felicemente nel mondo visivo perché ne avevi molta curiosità.
Come ha iniziato la sua professione di curatore?
Devo molto alla mia passione per le immagini, ho iniziato con la fotografia, ma quasi senza accorgermene. Ho fatto una gavetta piuttosto lunga affiancando soprattutto gli artisti con i quali sentivo più affinità, miei coetanei e coltivando il rapporto con le istituzioni che non erano ancora aperte al contemporaneo come ora.
Come riconosce un artista di talento?
Non penso sia un nostro compito pensare se un artista diventerà famoso, questo secondo me è un punto di vista per così dire “blasfemo”. Il compito del contemporaneo è monitorare gli artisti che possono essere interessanti in quel momento o che hanno, è il caso dei giovani o dei giovanissimi, un lavoro interessante da presentare. Il museo, anche con i suoi tempi istituzionali lunghi, ha il compito di presentare al pubblico questi giovani artisti, magari artisticamente acerbi ma che hanno diritto di essere accostati ai grandi maestri. Questo per dare l’occasione anche temporalmente breve all’artista di lavorare di fronte al suo interlocutore che è il pubblico.
Lei sembra avere molta attenzione verso i giovani, siano artisti o curatori. È così?
“Giovane” un termine che amo relativamente, nel senso che nel nostro Paese anch’io sono considerato giovane, ma ho 48 anni e ritengo di essere nel pieno della mia maturità professionale. Lavoro con persone e artisti che hanno passione, siano settantenni o ventenni. Con i giovani, curatori e personale del museo, mi trovo bene perché hanno molta energia e credono nelle possibilità anche etiche del lavoro: non solo avere un’occupazione, ma sentirsi responsabili di un servizio pubblico e di un luogo che definisco “casa delle curiosità”. Grazie a uno staff di giovanissimi volenterosi riusciamo a resistere anche in questi tempi duri.
Progetti futuri per il Macro?
Continuare insieme agli artisti ad aprire il museo ai giovani perché la frase “Andiamo a vedere che cosa succede al Macro”, che ho sentito pronunciare da un ragazzo, credo rappresenti al meglio questa nostra nuova fase.