Esperto di risorse umane, attivista nel campo dei diritti civili e appassionato di politica. In un nuovo libro racconta perchè il nostro Paese non riesce a fare leggi adeguate su coppie di fatto e unioni gay, ma neanche ad assicurare pari opportunità nel mondo del lavoro. Colpa di una classe dirigente vecchia e poco coraggiosa. Che non non sa tutelare i diritti della persona. Mentre all'estero...
In nessun Paese. Perché sui diritti dell’amore l’Italia è fuori dal mondo. Titolo e sottotitolo sono netti e sgombrano il campo da mediazioni e ipocrisie, perché anni di mediazioni e compromessi non hanno portato a nessun risultato. I diritti dell’amore, così come sono definiti dagli autori di questo libro, Ivan Scalfarotto e Sandro Mangiaterra, sono quelli invocati per tutelare le coppie di fatto, etero e omosessuali, per estendere l’adozione al di fuori del matrimonio tradizionale, per proteggere le categorie più esposte alla violenza e al pregiudizio.
Scalfarotto, 45 anni, vicepresidente del Partito Democratico con una carriera internazionale nel settore delle Risorse Umane, conosce bene sia il mondo fuori dai nostri confini sia i bisogni delle persone, e ha la necessaria autorevolezza per paragonare lucidamente il nostro con altri Paesi occidentali e far capire quanto la mancanza di leggi possa incidere negativamente sulla vita delle persone. Tra le tante storie che Scalfarotto mette nel libro una è proprio la sua, raccontata anche attraverso momenti intimi, la prima cotta per un amico, passaggi importanti, il “coming out” con i genitori, episodi difficili come la stesura del testamento per tutelare il proprio compagno.
Partiamo dal sottotitolo: “sui diritti dell’amore l’Italia è fuori dal mondo”: è davvero così o è solo una provocazione?
Dipende dal mondo cui ci riferiamo: sicuramente non quello dove le donne vengono lapidate e gli omosessuali impiccati. Non possiamo paragonarci a società così diverse dalla nostre, se invece facciamo riferimento alle democrazie mature, non c’è dubbio: siamo l’unico Paese occidentale che non legifera sui cosiddetti “temi etici”. Non solo non facciamo leggi da anni, ma non c’è neppure niente nell’agenda politica rispetto a questi temi. Se ne parla a tratti, sull’onda di qualche caso singolo, ma poi non si fa niente.
Lei scrive «in Italia il pregiudizio si mescola con la legge». E’ abbastanza grave come affermazione, perchè mette in discussione le fondamenta della società, cioè le norme stesse…
Faccio distinzione tra legge e Costituzione. Quest’ultima dice cose chiarissime sul principio di uguaglianza, in particolare sulle formazioni sociali che devono essere protette. Incluse le unioni omosessuali. La legge ordinaria, invece, è spesso minata dai pregiudizi di uno schieramento e di una maggioranza.
Chi impedisce nel nostro Paese lo sviluppo di una cultura dei diritti?
Il Vaticano fa il suo mestiere, che a me non piace, ma lo fa legittimamente. Lo Stato può rispettare queste posizioni, ma potrebbe anche decidere di averne di proprie. Spagna e Irlanda, cattolici quanto noi, hanno fatto molte leggi in disaccordo con la dottrina della Chiesa. Il problema è che da noi c’è una classe politica pavida, che ha bloccato ogni iniziativa per mancanza di coraggio e iniziativa. Una classe dirigente vecchia, antiquata, che non conosce e non capisce i grandi mutamenti sociali che si sono verificati in questi ultimi anni.
Lei è direttore di “Parks”, associazione non profit tra aziende impegnate a favorire pari opportunità per i propri dipendenti GLBT (Gay, Lesbian, Bisexual, Transgender). Anche nel mondo del lavoro il nostro Paese è arretrato?
Siamo indietro anche qui, perché in Italia la legislazione del diritto del lavoro è poco protettiva rispetto ai lavoratori intesi come persone. Grazie a Parks siamo in contatto con grandi aziende che all’estero hanno già comportamenti antidiscriminatori e cerchiamo di spingerle a implementarli anche da noi, dove omosessuali e donne sono ancora soggetti deboli.
Dove guardare, all’estero, per avere l’esempio migliore di leggi su quelli che lei definisce “i diritti dell’amore”?
Un po’ dappertutto, purtroppo, visto che siamo dietro pure al Portogallo, un Paese cattolico quanto noi. Il mio sostegno personale, poi, va alla Spagna e alle sue politiche, perchè hanno disegnato un modello culturale complessivo: sono i pezzi di un puzzle che messi insieme danno l’immagine di una società nel suo complesso. Alla fine del libro io faccio dieci proposte, dieci cose da fare subito, molte delle quali là sono già state realizzate.
Qual è la sua società ideale?
E’ quella basata sul rispetto reciproco, un rispetto che si è perso. Una società dove il cittadino adulto viene rispettato in quanto tale. Da un Paese maturo mi aspetterei una politica che pretende comportamenti rigorosi in pubblico e dà la possibilità al singolo di vivere come vuole il proprio privato. Qui è il contrario: ci dicono come dobbiamo comportarci nel privato e fanno leggi lassiste che permettono comportamenti contrari alla comunità, come falsificare i bilanci di un’azienda o commettere abusi edilizi.
Nel libro c’è molto di lei e delle sue esperienze personali, spesso difficili. E’ stato faticoso scriverne?
Un po’ sì. Però penso che se uno come me ha il privilegio di poter parlare e farsi ascoltare da tante persone, sia suo dovere esercitare questo diritto. Tanti vivono una condizione come la mia, ma con grande sofferenza, e penso che mettermi in gioco sia il minimo che posso fare. Anche per loro.