Recitare per conquistare una maggiore consapevolezza. Di sé e degli altri. Nella capacità di dialogo e di ascolto. Parla l'attore/autore, in scena al Teatro Parenti Di Milano, diretto da Bertolucci, con un testo tratto da Gadda e Shakespeare. Per trasmettere l'attualità e la potenza delle loro parole. E capire il Dna degli italiani. Di ieri e di oggi
Affabile, con uno sguardo attento e profondo sul mondo, Fabrizio Gifuni è un attore, ma anche un raffinato intellettuale. Appassionato autore e interprete teatrale, ha all’attivo pièce di grande impatto, come Non fate troppi pettegolezzi, Na specie de cadavere lunghissimo, spettacolo per il quale ha ottenuto il premio Hystrio e il Golden Graal, e L’ingegner Gadda va alla guerra (o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro). L’ultimo è in scena in questi giorni fino al 22 dicembre al Teatro Franco Parenti di Milano. Diretto da Giuseppe Bertolucci, il testo nasce da un’idea di Gifuni e si compone dei Diari di guerra e di prigionia e Eros e Priapo di Gadda, con alcuni inserti dell’Amleto di Shakespeare. Una riflessione teatrale sulla trasformazione del nostro paese negli ultimi quarant’anni.
Oltre al teatro, sono tante anche le interpretazioni di Gifuni nel cinema, tra queste: Il partigiano Johnny, Hannibal, La meglio gioventù, La ragazza del lago. Nel 2010 interpreta il ruolo dello psichiatra Franco Basaglia nella miniserie di Rai Uno, C’era una volta la città dei matti.
Il mestiere dell’attore su cosa si basa?
Tutto si costruisce sulla scomposizione e ricomposizione continua di un’identità, che si tratti di personaggi realmente esistiti come nel lavoro che ho fatto su Franco Basaglia, o da quelli nati dalla penna degli sceneggiatori. E’ una pratica quotidiana.
Perché hai scelto questo mestiere?
Perché il mestiere dell’attore è un lavoro d’indagine, di ricerca continua sull’essere umano e quindi anche su se stessi. E’ una sorpresa continua, perché attraverso la scoperta di un altro riesci a conoscere le tue zone più nascoste. Ti costringe a stare sempre a contatto con gli altri e metterti nei loro panni.
Nulla può essere dato senza l’ascolto e l’osservazione dell’altro, senza un continuo rimando come in un dialogo. Solo così si riesce a capire qualcosa della propria identità.
Cosa offre il teatro?
Il teatro è un luogo dove mostrare senza alibi nè scorciatoie il proprio lavoro. Lo spettacolo che ho scritto su Gadda, ad esempio lo testimonia. E’ essenziale: un attore e una sedia, e tante parole importanti da ascoltare.
C’è crisi nel teatro?
Meno che in altri settori, perché sul palco si può fare a meno di quasi tutto. Il teatro offre una maggiore opportunità di spazio e libertà rispetto al cinema e alla televisione, macchine più costose.
Quella che avvolge il teatro non è una crisi d’identità, ma piuttosto che un problema più complesso tutto italiano di riuscire a realizzare i progetti.
I suoi progetti al momento?
Sono tutti legati al teatro. Ho lavorato negli ultimi quattro anni alla costruzione de L’ingegner Gadda va alla guerra (o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro) con la preziosa collaborazione di Giuseppe Bertolucci, e che da ottobre è in tournè insieme allo spettacolo su Pasolini Na specie de cadavere lunghissimo.
I due spettacoli, infatti, sono costruiti e pensati, uno come il seguito dell’altro, nel tentativo di disegnare una mappa cromosomica degli italiani. Per cercare di capire cosa siamo, cosa eravamo, cosa siamo diventati e forse cosa siamo sempre stati.
E cosa hai scoperto sugli italiani attraverso questi due scrittori?
Due visioni della storia che trovo molto interessanti, che in una certa maniera cambiano la traiettoria di partenza in modo non scontato. Pasolini cresciuto con una visione più aperta e progressista, marxista, finisce per avere una visione della storia più conservatrice; come se ci fosse un passato che progressivamente si distrugge. Mentre la visione della storia di Carlo Emilio Gadda è molto più influenzata dalla sua formazione scientifica, lui dice “la storia procede per quanti di energia”, e quindi ha una visione più legata ai corsi e ricorsi. Parla di paludi della storia, da cui periodicamente si esce per poi riattraversarle. Ne deriva un pensiero alto, preciso e molto feroce.
Su Pasolini ho utilizzato tra gli altri Scritti corsari e Le lettere luterane. Per Gadda I diari di guerre e di prigionia che erano un materiale privato e non destinato alla stampa e che fortunatamente ci è pervenuto per la tenacia con cui l’editore ha costretto Gadda a pubblicarli.
Interessante e curioso il poemetto Eros e Priapo scritto come un referto medico sulla psicopatologia erotica del presidente del consiglio Benito Mussolini e sull’attrazione periodica che il popolo italiano prova verso queste figure affette da delirio narcisistico. Il tutto in una lingua straordinaria, un fiorentino del ‘500 che Gadda reinventa contaminandolo come sempre con altri idiomi.
Perché ti piacciono Gadda e Pasolini?
Li considero i più grandi scrittori del Novecento, nonostante siano così diversi per lingua, formazione e pensiero. In comune hanno una cosa che mi sta particolarmente a cuore, entrambi si sono conquistati sul campo il diritto di esprimere un’opinione sul mondo circostante solo dopo aver fatto a pezzi se stessi.
Ciò ci dà un po’ il senso e la misura di cosa dovrebbe essere, anche oggi, in cui siamo sommersi dalla chiacchiera e dall’opinione espressa da tutti su tutto, la figura di un intellettuale o di un artista.