Wise Society : «Io “Cook the mountain”, cioè cucino solo con prodotti della montagna»
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«Io “Cook the mountain”, cioè cucino solo con prodotti della montagna»

di Mariella Caruso/Nabu
24 Gennaio 2018

Norbert Niederkofler, chef stellato di montagna, spiega la filosofia etica e sostenibile che lo guida in cucina ma anche nella vita

«Ho 56 anni, sto vivendo la seconda parte della mia vita, voglio mangiare bene e sano per arrivare al meglio alla vecchiaia. Ho un figlio di 8 cui devo la responsabilità di lasciare un mondo migliore, o quanto meno uguale, rispetto a come lo ha trovato. Ecco mi piacerebbe lasciare un segno per la prossima generazione». Norbert Niederkofler, chef di montagna, da poco diventato alla guida dalla brigata del St. Hubertus dell’hotel Rosa Alpina l’ottavo tristellato d’Italia, scandisce i suoi obiettivi nel penultimo giorno di Care’s, The ethical chef days, evento dedicato alla cucina etica e sostenibile, di cui è “papà” insieme a Paolo Ferretti.

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“Dal nostro menu abbiamo tolto tutti i prodotti che non potevamo produrre nel nostro territorio. Possiamo dire di avere fatto entrare in cucina le radici di una “cultura” millenaria che stiamo coltivando. Questo significa Cook the mountain” spiega lo chef Norbert Niederkofler. Foto: Mariella Caruso

Niederkofler, qual è lo scopo di Care’s?

Fare parlare di temi che, fino a poco tempo fa, restavano lontani dalle cucine. Di certo non è nelle nostre possibilità far diventare tutto il mondo “green”, ma possiamo far conoscere la filosofia che ci guida e che ci ha fatto conquistare le nostre stelle (la prima nel 2000, la seconda nel 2007 fino alle tre stelle arrivare a novembre 2017, ndr). Seguendo il nostro pensiero dieci anni fa abbiamo cambiato radicalmente il concetto della carta ispirandolo al principio etico e sostenibile di “Cook the montain”.

Cosa s’intende per “Cook the mountain”?

Più o meno quello che significa letteralmente: cucinare i prodotti della montagna. Dal nostro menu abbiamo tolto tutti i prodotti che non potevamo produrre nel nostro territorio: al St. Hubertus non cuciniamo prodotti di mare, non usiamo foie gras e agrumi. Questo ha fatto alzare l’asticella della creatività, ci ha fatto sperimentare le fermentazioni che erano già utilizzate dai nostri nonni e bisnonni per conservare i cibi. Possiamo dire di avere fatto entrare in cucina le radici di una “cultura” millenaria che stiamo coltivando.

Così la sostenibilità di cui tanto si parla trova la sua realizzazione concreta in cucina?

Innanzitutto, ben prima di cominciare a metterla in pratica, la sostenibilità è una questione mentale: non sprecare, lavorare in maniera delicata per la natura i prodotti, rispettare il lavoro di contadini, allevatori, casari e di tutti coloro che operano direttamente per la produzione del cibo sono concetti fondamentali per chi vuole mettere nel piatto cibi etici e sostenibili.

Qual è il primo passo verso la sostenibilità per un cuoco?

Il non spreco che implica una conoscenza approfondita della materia prima che si lavora. Solo sapendo bene come si usano gli ingredienti è possibile non sprecare: un prodotto può essere utilizzato nella sua interezza, o essere fermentato in tutto o in parte per un utilizzo successivo. È così che si rispetta anche il lavoro dei contadini.

Questi ultimi come diventano parte attiva nella sua filiera virtuosa?

Riconoscendogli attraverso il coinvolgimento nella filiera dell’alta cucina quella giusta remunerazione che, via via, con la nascita delle grande aziende di distribuzione che monopolizzano il mercato erano sempre di più esclusi.

A un rapporto commerciale è stato sostituito un rapporto personale…

Sì, e con reciproca soddisfazione. Oggi al St. Hubertus lavoriamo con 30/40 produttori, tutti di montagna. Li conosciamo uno per uno, abbiamo visitato le loro aziende e

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A Care’s 2018 si è celebrato il trionfo della filosofia “cook the mountain”, Foto: www.facebook.com/pg/EthicalChefDays

conosciamo le problematiche di ognuno di loro bella conduzione dell’azienda. Questo ci permette anche di tararci a vicenda sui fabbisogni reciproci, la qualità per noi, il guadagno adeguato per loro.

Cos’è cambiato per i vostri clienti?

Intanto abbiamo iniziato a servire tutti i secondi piatti del St. Hubertus in due portate: da una parte quella costosa, dall’altra quella più povera che, opportunamente lavorata, può diventare l’elemento in più che dà unicità al piatto.

A parte il beneficio per la comunità locale c’è anche un beneficio per l’ambiente?

Di sicuro. A lungo termine con le monocolture, siano esse più o meno intensive, non si potranno nutrire i 9 miliardi di persone che nei prossimi anni popoleranno la terra.

Avere conquistato le tre stelle entrando in un club ristretto può aiutare ad allargare la portata di questi concetti?

Già aver ottenuto le tre stelle Michelin con la nostra filosofia di “cucina di montagna” è fondamentale perché è un modo di allargare la platea. Care’s, poi, è un altro mezzo importante.

Platea specializzata a parte, come si può fare educazione tra la gente comune?

Coinvolgendo i più giovani alla riflessione e insegnare loro a fare la spesa. Mi piacerebbe che riflettessero molto anche gli aspiranti chef perché devono capire che essere uno chef non significa andare in tv: fare lo chef e andare in televisione sono due mestieri diversi.

Quella della televisione è una bolla destinata a scoppiare?

Sì, e spero accada presto per scremare tutti coloro che in cerca del successo prendono scorciatoie destinate a fallire perché ad andare avanti sono soltanto gli chef davvero preparati che come già detto possono permettersi di non sprecare.

In uno dei Talks di Care’s è intervenuto Oscar Farinetti, fondatore della catena Eataly e del parco agroalimentare di Bologna, Fico, che, al contrario da lei, non è per il “km 0” ma propugna la massima circolazione dei prodotti dell’enogastronomia italiana. Esiste un punto d’incontro?

Oscar la vede dal suo punto di vista che è quello di portare il suo business, io dal mio che auspica che la materia prima venga utilizzata nel territorio. Poi, il nostro non è un km 0 propriamente detto: il nostro zafferano arriva dalla Val Venosta che è a 120 km o dall’Austria che ne dista 150.

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