Wise Society : Smart city e qualità della vita non sempre conciliabili
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Smart city e qualità della vita non sempre conciliabili

di Andrea Ballocchi
8 Agosto 2018

Lo spiega il sociologo Giampaolo Nuvolati per il quale "si deve pensare a rendere facile la conversione tra ciò che noi abbiamo e ciò che noi siamo"

La città del futuro ci permetterà di trovare parcheggio in modo rapido, con un’app. Ci garantirà case più efficienti energeticamente, di lavorare in condizioni più vantaggiose, di vivere in maniera più confortevole e sicura. In pratica ci assicureranno una migliore qualità di vita. Ma siamo così sicuri? Intanto, cosa significa? «Sono settant’anni che se ne parla e s’indaga sulla qualità della vita, anche se è un concetto oggi divenuto di moda non solo nelle pubblicità, ma anche nei programmi di tutti gli schieramenti politici. Ed è un motivo di contraddizione il fatto che se ne parli senza che nessuno si prenda la briga di darne un’esatta definizione». Giampaolo Nuvolati, direttore del dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca da più di trent’anni si occupa di qualità della vita e della realtà urbana, anche in ambito internazionale, e ha scritto svariati articoli e libri.

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Il concetto di qualità della vita nasce a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta negli Stati Uniti, Foto: Unsplash

Professor Nuvolati, quando e perché nasce il concetto di qualità della vita?

È a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta che è stato originato questo concetto, negli Stati Uniti dove si era visto che a un grande sviluppo economico, che aveva portato l’uomo persino sulla Luna, non corrispondeva un’altrettanta elevata soddisfazione da parte dei cittadini. Temi quali inquinamento, criminalità, disuguaglianza sociale cominciano a essere oggetto di studio proprio negli anni Cinquanta, passando anche in Europa e in particolare nei Paesi scandinavi, molto ricchi, con un ottimo welfare, ma i cittadini nei sondaggi si dichiaravano molto insoddisfatti della loro vita. Da qui si comincia ad approfondire il concetto di qualità della vita, creando indicatori oggetti e raccogliendo dati su aspetti differenti, dall’occupazione o disoccupazione al tempo libero. Col tempo si sviluppa anche in altri Paesi per arrivare in Italia negli anni Settanta, col primo congresso dedicato.

Ma cos’è la qualità della vita?

È un tema complesso che va oltre la soddisfazione dei bisogni elementari basilari. Una volta soddisfatti questi nelle società evolute, ce ne sono altri, secondari e immateriali, difficilmente misurabili. Pensiamo alle relazioni sociali, alla reputazione individuale nell’ambito lavorativo, sociale, intimo, il livello di realizzazione personale. È un passaggio della soddisfazione data dall’avere a quella legata dall’essere e dal fare. C’è poi un altro aspetto difficilmente calcolabile: la soggettività. Ognuno di noi ha un’idea diversa di qualità della vita, che va al di là della soddisfazione personale e riguarda la propria felicità, un ambito emozionale. In una società rivolta al raggiungimento della qualità della vita, si deve pensare a rendere facile la conversione tra ciò che noi abbiamo e ciò che noi siamo; è uno dei passaggi più delicati, più difficili. Pensiamo la possibilità di applicare questa conversione in una città, costituita da una popolazione variegata, non solo costituita da residenti, ma anche da fruitori esterni.

La tecnologia che ruolo ha nel poter fruire dei servizi e di godere in parte di una migliore qualità della vita?

Essa è importante nella misura in cui ognuno sia in grado di saperla utilizzare. Più è elevato il grado tecnologico, più ricade sull’utente finale la responsabilità di saperne fruire, alzandosi il livello di competenza richiesto e di angoscia nello sbagliare. Diventa imprescindibile la conoscenza. Così si arriva alla condizione di contare su molte risorse, ma non nella necessaria abilità di poterle vivere. Qui entra in gioco la tecnologia, capace di questa trasformazione. Ma l’utente ha le competenze tali da operare questo passaggio? Se le avrà potrà goderne e avanzare, altrimenti resterà indietro.

Arriviamo alla smart city. Viste le complessità tecnologiche, tanto intelligente non sembra…

Mettiamola così: costringe i cittadini a essere molto intelligenti pena l’esclusione. Certo, c’è da dire che la tecnologia si farà più facile e accessibile, però il rischio è che chi non starà al passo, resterà un po’ indietro. Questo ricorso alla tecnologia richiederà quindi cittadini più aggiornati, più concentrati, più responsabilizzati nel richiedere servizi e fruirne. E questo peserà su chi non saprà adeguarsi.

A fronte di un maggiore ricorso alle tecnologie, l’elemento umano quanto sarà importante per una maggiore sostenibilità urbana?

L’essere umano, va detto, si sta mostrando sempre più in grado di mettersi in relazione con le tecnologie, cambiando alla luce dei cambiamenti della società. Il problema è che non è facile per tutti contare su una facilità di fruire delle opportunità fornite. Occorre considerare, quindi, non se le nostre società sono ricche, ma se sono facilmente utilizzabili. Guardiamo ai giovani: una volta il loro obiettivo era avere un’auto, oggi a loro importa di più potersi muovere rapidamente. Quindi l’attenzione si sposta all’essere mobile più che avere la macchina.

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Ognuno di noi ha un’idea diversa di qualità della vita, che va al di là della soddisfazione personale e riguarda la propria felicità, un ambito emozionale, Foto: Unsplash

Oltre a smart, un altro concetto in voga è green. Quanto sono conciliabili questi due termini accostandoli alla città?

C’è sempre una buona parte di retorica nell’impiego di questi due termini. È naturale e necessario vivere in un mondo più intelligente ed ecosostenibile, ma non è così semplice e l’impegno che viene richiesto all’individuo è consistente.

Da una parte la dimensione cittadina, a volte anche notevole, dall’altra i piccoli comuni. La tecnologia entra in gioco in ogni dimensione?

Ormai è inevitabile, anche se sono le grandi metropoli, che hanno le maggiori complessità, a richiedere la smartness. Nelle piccole realtà cittadine si possono fare molte più sperimentazioni, in quanto sono meno complicate, ma hanno anche meno bisogno della tecnologia e sono più facilmente fruibili.

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