Wise Society : Con i figli ci vogliono regole chiare. Ma soprattutto molta empatia
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Con i figli ci vogliono regole chiare. Ma soprattutto molta empatia

di Lia del Fabro
27 Gennaio 2012

È questo il consiglio dello psicologo romano Massimo Ammaniti ai genitori di bimbi piccoli ma anche ragazzi adolescenti. I più difficili da capire, ma che contestano per costruire la propria identità

Massimo AmmanitiNel rapporto esclusivo che lega una madre al suo bambino sin dai primi momenti della nascita, così come nello scontro con un figlio adolescente che spesso non si riconosce più, c’è un filo rosso che percorre le regole della nuova educazione imposta dai cambiamenti della società e dai ruoli nella famiglia. È quello che da Roma, dove vive e lavora, ci spiega uno dei più noti esperti dello sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza, lo psicoanalista Massimo Ammaniti. Servono certo, da parte dei genitori, dei limiti posti in modo chiaro e ragionevole, ma per superare insieme gli ostacoli è fondamentale quel sentimento di empatia che dovrebbe consentire agli adulti di mettersi sempre nei panni dei propri figli.

Il ruolo di una madre “sufficientemente buona”

 

Qual è l’aspetto più importante per iniziare una buona relazione tra madre e figlio?

Foto di ECohen/flickrQuello della condivisione e dello scambio reciproco. La madre, con la propria sensibilità, è importante riconosca i segnali che gli arrivano dal bambino. Anche in una fase in cui il neonato non usa forme complesse di comunicazione, la madre dovrebbe entrare in sintonia con le espressioni corporee del figlio, per cui è lei che si deve adattare al bimbo che cresce, dando un significato ai suoi comportamenti. In questa prima fase sono importanti alcuni principi, che saranno utili anche in seguito, nel rapporto con il figlio che cresce. Il primo parte dal fatto che non esistono le madri perfette, ma solo madri, riprendendo ciò che dice lo psicoanalista Donald Winnicott, “sufficientemente buone”, ossia che hanno l’attenzione e la capacità di prendersi cura del bambino. In questo senso è importante il principio del fallimento-riparazione che prevede la capacità di riconoscere gli errori e i fraintendimenti commessi inevitabilmente a cui far seguire la fase di riparazione, in una sorta di momento “dopo la tempesta…”. Questo principio applicato sin dai primi giorni di vita del bambino, crea sia nella madre, sia nel figlio l’idea di “potercela fare insieme” e consente di raggiungere una fiducia reciproca. L’importante è l’empatia, ovvero quella capacità di condivisione affettiva della madre che le consente di mettersi nei panni del figlio sin dalla tenerissima età.

Che cosa pensa del concetto di “madre tigre”, che tanto fa discutere negli Usa?

Secondo questa teoria anche il figlio dovrà inevitabilmente diventare un figlio-tigre, in base a una logica che prevede l’affermarsi del ragazzo “costi quel che costi”, e da parte della madre la rinuncia a tutti quei fattori che dovrebbero far parte dello scambio genitori-figli per così dire naturale. In qualche caso si riesce nell’intento, ma il percorso educativo di queste madri per forza di cose è costellato da molti fallimenti. Il ruolo della madre dovrebbe essere quello di aiutare il figlio a costruire una personalità articolata che sappia adattarsi a condizioni diverse e a realizzarsi in campo professionale, ma soprattutto sul piano personale. Quindi posso dire che le madri-tigre non mi convincono. L’unico aspetto di riflessione che si può trarre da questa teoria è che negli ultimi anni le donne sono troppo compiacenti con i figli e non mettono dei confini chiari.  I figli, spesso quelli unici, vivono molto più all’interno delle dinamiche familiari e della coppia di genitori. Non ci sono dei confini generazionali marcati e l’errore di entrambi i genitori è di essere eccessivamente amici dei ragazzi, mentre i bambini hanno bisogno di limiti e di limiti sufficientemente chiari.

Vantaggi e rischi dei nuovi papà

 

Anche il ruolo del padre ha subito molti cambiamenti. Quale dovrebbe essere in una famiglia moderna?

Image by © Randy Faris/CorbisNel campo della psicologia dello sviluppo oggi si parla non a caso di coparenting o del principio di cogenitorialità.

Il padre oggi interviene molto di più nella vita familiare, e questo è positivo. Ma uno dei rischi del cambiamento di ruolo è il fatto che diventi un sostituto della madre, una figura vicariante, mentre il padre deve mantenere la propria identità.

Se pensiamo, ad esempio, all’interazione alimentare osserviamo che le donne sono più capaci nel dare da mangiare al bambino perché hanno una regolazione emotiva più ricca e complessa rispetto a quella del padre che ha un ruolo più normativo. Ed è giusto sia cosi.

Attenzione a non dare troppi stimoli

 

Si discute oggi se non sia opportuno ridurre la quantità di stimoli a cui sono sottoposti i bambini sin dai primi anni di vita. Lei che ne pensa?

Image by © Gary John Norman/Image Source/CorbisI bambini hanno una predisposizione alla stimolazione che è importante dal punto di vista cognitivo e cerebrale, ma sono dell’idea che i bombardamenti che ricevono a scuola, a casa, con le lezioni di sport, musica, inglese… siano eccessivi, mentre i piccoli hanno bisogno di spazi vuoti. Una vita completamente pianificata dagli adulti non lascia margini all’auto-organizzazione.  Una volta, alla fine della scuola, nel vuoto del tempo libero, ogni ragazzo si inventava qualcosa da fare. Ora questo avviene molto difficilmente: sono favorevole ai momenti di noia, perché penso sia un’esperienza importante nello sviluppo dei bambini.

Come sono gli adolescenti di oggi rispetto al passato?

La situazione si è molto modificata e gli adolescenti oggi si trovano in un mondo sicuramente diverso rispetto al passato, dove c’erano maggiori sbocchi e prospettive per le generazioni più giovani. Ora tutto è più nebuloso e non c’è un’offerta stimolante dal mondo degli adulti. Basandomi sulla mia esperienza mi rendo conto che la situazione di ristagno è percepita in modo molto consapevole da parte degli stessi adolescenti che mostrano confusione e non sanno bene in che direzione andare. L’altro aspetto di cambiamento è centrato sul ruolo dei genitori che prima avevano più voce in capitolo nello sviluppo dell’adolescente, mentre oggi è nel “gruppo” (di amici, compagni di scuola) che i ragazzi trovano i modelli comportamentali da seguire. Così facendo l’adolescente è privo di riferimenti validi provenienti dal mondo degli adulti: gli insegnanti hanno perso autorevolezza e i genitori non hanno più il ruolo di guida e di esempio, basti pensare all’inadeguatezza nell’uso della tecnologia. Il gruppo dei coetanei diventa allora il luogo per costruire i significati e i modelli di comportamento ma, e questo è il suo limite, non aiuta troppo ad evolvere.

Le incertezze economiche, l’imporsi di nuovi modelli sociali possono essere uno stimolo o soffocare invece le aspettative di crescita dei ragazzi?

Il problema è che bisogna offrire concrete prospettive ai giovani senza alimentare illusioni e per fare questo, nel nostro Paese, manca una cosa importante: il riconoscimento del talento. Altrove è cercato, fatto crescere, fatto emergere. E questo si traduce nella valorizzazione del talento, che è fondamentale per dare una spinta alla crescita degli adolescenti.

Imparare a stare in relazione con gli altri

 

La scuola è in grado di svolgere questo ruolo?

Credeit,     Wellspring Community School/flickrQuando si parla di valorizzazione delle capacità individuali è inevitabile parlare del problema della scuola che non può diventare il luogo dell’educazione emozionale.

Ma neppure ridursi ad essere il posto dove si imparano solo nozioni, perché è lì che si svolge l’integrazione, lo stare con gli altri, il collaborare e l’interagire.

Il vivere in un contesto aperto significa imparare a rapportarsi con chi è diverso da noi, a usare la capacità di scambio nel gruppo, che non è propria solo dell’ambito scolastico ma della vita professionale e privata di ciascun individuo. Non credo però che la scuola, soprattutto oggi, sia in grado di svolgere questo ruolo.

Sulle nuove dipendenze dai mondi virtuali, come i social network, internet e videogiochi, qual è l’atteggiamento più efficace da adottare?

Bisogna semplicemente imporre delle regole di fronte a una fonte di conflitto forte come questa. Se i ragazzi stanno alzati fino a tardi davanti al computer, ne risentirà il loro rendimento scolastico perché non potranno dormire un numero sufficiente di ore. Tra l’altro, è stato dimostrato che la tendenza degli adolescenti a dormire fino a tardi la mattina ha un fondamento scientifico: è causa di un ormone che, in quel periodo della vita, induce ad avere più sonno. Non lamentiamoci dunque troppo dei nostri figli dormiglioni…

La difficoltà di diventare autonomi

 

Mettendoci ora nei panni dei ragazzi, che cosa si aspettano dai genitori?

Image by © Paul Edmondson/CORBISUna cosa da evitare è quello di voler anticipare i tempi dei figli, perché gli errori e le esperienze vanno sempre fatti. Gli adolescenti devono sperimentare e uscire dallo spazio familiare trovando la propria autonomia. Credo sia sbagliato opporsi a questa naturale tendenza. Se non ci si pone in quest’ottica come genitori, è inevitabile che nasca il conflitto. I ragazzi non vogliono avere dei genitori amici, ma preferiscono mantenere una certa distanza. Il modello di genitori amicali, confidenti, è negativo perché crea nell’adolescente maggiori problemi nel distacco e nella alla creazione di un’identità autonoma.

Perciò in pratica, come dovrebbero comportarsi gli adulti di fronte alle richieste di autonomia dei figli?

È giusto che l’adolescente lotti per la sua autonomia e che il genitore sia disponibile a concederla, ma anche a porre dei limiti. Contestare, dissentire… è vitale. Le richieste di autonomia, insieme alle questioni legate alla scuola e allo studio, sono i maggiori temi di conflitto in ambito familiare. I ragazzi, in questa fase, hanno solitamente comportamenti poco riconoscibili rispetto al passato, che li spingono alla ricerca  di nuove sensazioni, di novità, di situazioni a rischio. Tutto questo è strumentale al distacco dai genitori che inizia a 13/14 anni, a cui seguiranno le fasi di costruzione dell’identità e, più tardi, il re-incontro con la famiglia. Questo processo è fondamentale sia riconosciuto dai genitori, ma è altrettanto importante da parte loro mantenere il monitoraggio sui propri figli. Intendo, con questo, non  tanto frugare nelle tasche dei pantaloni alla ricerca magari delle prime sigarette o mettersi dietro alla porta della loro camera. Lo sforzo per un padre e una madre di fronte al figlio adolescente che a volte “non riconosce più”, è quello di cercare di capirlo mettendosi nei suoi panni. Perché, a un certo punto, diventa indispensabile per madri e padri cambiare la marcia usata sino a quel punto e rendersi conto che di fronte a loro non c’è più un bambino, ma un adulto con il quale bisogna mediare per risolvere i conflitti.

 

 

 

 

 

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