Wise Society : La paura è il nostro peggior nemico
Wise Incontri

La paura è il nostro peggior nemico

di Lia del Fabro
8 Maggio 2012

Lo scrittore Mauro Covacich, che anni fa ha lavorato con malati psichiatrici, da allora continua a indagare sui temi dell'identità e autenticità umana

Mauro Covacich - foto, Di Simone Ramella/flickrMauro Covacich, scrittore e giornalista triestino trapiantato a Roma, ha spesso affrontato nei suoi libri i temi forti dell’identità e della finzione. Uno dei suoi pregi, che rivela anche in questa intervista, è saper leggere in modo originale aspetti della nostra realtà e condizione umana, con la capacità di metterli in chiaro e restituirci quello che a volte ci sfugge del quotidiano.

L’incontro con lui rappresenta anche l’occasione per riflettere sul senso di autenticità, sulla capacità di saper accogliere i “diversi” da noi, e ascoltare una voce fuori dal coro su temi attuali quali la crisi dei valori e il ruolo della cultura.

Il viaggio come esperienza

Che cosa rappresentano per lei i viaggi e i luoghi che spesso si ritrovano nei suoi romanzi?

Sono sempre andato in un posto per una ragione precisa, molto spesso perché mi ci mandano gli altri (a fare reportage) o sono invitato. Il che significa che magari vedi New York solo la quarta volta che vai negli Stati Uniti, o finisci in Cambogia per tre settimane e non vedi i templi di Angkor.

Ma per me è comunque una fortuna, avere qualcosa da fare nel posto in cui mi trovo, incontrare una persona, presentare le mie cose, partecipare a un seminario, e lasciare che il posto entri piano piano dalla periferia dello sguardo.

Questo mi ha sottratto all’ansia compilatoria delle mete turistiche. Ho sempre considerato i viaggi come parte del flusso delle mie esperienze, un passaggio dal quotidiano all’esotico senza soluzione di continuità. Solo così potevano entrare nei miei romanzi. L’esotico in sé è diventato la moneta più inflazionata dei nostri anni.

In questo senso, la città di Roma dove lei vive, che fonte di ispirazione è per la sua scrittura?

Vale lo stesso discorso. Io sono finito a Roma a quarant’anni. Per necessità e non per scelta. Soltanto per questo ci sono pezzi di Roma in ciò che scrivo: perché appartengono alla mia vita quotidiana.

Non a caso manca la città più coreografica e decorativa. Ovviamente Roma ti conquista subito. Ha una bellezza che ti sembra da subito abbordabile, ma presto scopri che è un errore di valutazione. Lo spirito della città ti si concede col tempo, poco a poco.

La sua, da Trieste a Roma, è stata una specie di migrazione al contrario. Che cosa pensa dei popoli costretti a spostarsi?

Nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, promulgata dalle Nazioni Unite subito dopo la tragedia della Shoah, in un articolo, credo il 15, si dice che ogni uomo ha diritto a spostarsi in un altro paese per trovarvi una vita migliore. Io credo in quel diritto.

È sulla sua base che i nostri avi sono andati a trovar fortuna in Argentina, in Australia, negli Stati Uniti. Ed è sempre sulla base di quel diritto, oggi misconosciuto, che il mio bisnonno è calato a Trieste dalla Slovenia. E io oggi mi trovo a Roma.

E le origini sono un valore importante per lei?

Sono cresciuto detestando tutta la gamma semantica che comprende origini-radici-sangue-terra, poi col tempo ho capito che bisogna ricordare da dove si viene per essere davvero cosmopoliti.

Che cosa insegnano le difficiltà del presente

Cover libroIl difficile momento storico che stiamo attraversando influenza quello che scrive?

Io scrivo solo al presente, del presente. Perché è la cosa che conosco meglio. Ma non ho mai scritto “su” un argomento, come dire occupandomene come se si trattasse di un saggio. Semmai la crisi del momento passa attraverso le mie terminazioni nervose e si mescola alle cose che ho in testa.

Nella crisi attuale ci sono segnali di positività che ci fanno pensare che possiamo uscirne?

Una stagione di “ghiande e bacche” forse può aiutarci a distinguere il necessario dal superfluo. Storicamente gli italiani hanno dato il meglio nei momenti di difficoltà.

Il confronto con la diversità e la sofferenza

Lei viene da Trieste, la città dove ha lavorato lo psichiatra Basaglia, e ha esordito con un libro che parla di persone con difficoltà psichiche. Ce ne può parlare?

Ho passato sei mesi in un centro di salute mentale a ventisei anni. Come animatore. Non escludo che sia stato il primo vero innesco della scrittura. Un rapporto diretto con la sofferenza e con la paura. Le persone schizofreniche fanno paura, questa è la verità.

E il modo più sbagliato per superare questa paura è rifugiarsi nel refrain siamo tutti normali, e via dicendo. Il malato manifesta con forza la propria differenza, la grida al mondo, e noi dobbiamo sapere accogliere la sua diversità. Solo così possiamo batterci perché abbia i nostri stessi diritti. Dire siamo tutti uguali, la psicosi non esiste, è un modo un po’ ipocrita di distogliere lo sguardo.

Ma è così difficile far cadere la maschera e mostrare se stessi?

Credo che l’esortazione “sii te stesso” sia priva di significato. Quale me stesso? C’è davvero differenza? L’idea che ci sia un nocciolo di autenticità preservato in ognuno di noi spesso è un pretesto per giustificare i nostri comportamenti più sbagliati: sì, d’accordo ho fatto cose terribili, ma tu non sai quanto sono diverso dentro di me, quanto sono sensibile, e così via.

Ecco, mi sembra troppo facile. Io non ho un me stesso più autentico di ciò che si vede fuori. Io sono quello che gli altri dicono che sono. Io sono le mie azioni e le mie parole. Sono quello che faccio. Autenticità per me significa questo.

Come liberarsi dalle proprie paure

La cultura è un valore che serve ancora a qualcosa?

Conoscere le cose aiuta ad affrontarle con minor paura. E la paura è il nostro peggior nemico. Io sono cresciuto in una famiglia di operai, ma mio padre mi insegnava Pascoli a memoria. Mi sono aggrappato alla letteratura perché ho creduto da subito che fosse una cosa utile. Ormai è difficile che cambi opinione.

Ci sono altri valori che, secondo lei, andrebbero salvaguardati?

Non lo so. Lo scrittore statunitense Cormac McCarthy dice che quando smettiamo di dire buongiorno e grazie è iniziata l’apocalisse (se vuoi condividere questo pensiero clicca su https://wisesociety.it/pensieri/sono-daccordo-con-lo-scrittore-statunitense-cormac-mccarthy/ )

Performance di Mauro Covacich, "L'Umiliazione delle Stelle"

© Riproduzione riservata
Altri contenuti su questi temi: , , , , ,
Continua a leggere questo articolo:
CONOSCI IL PERSONAGGIO