Wise Society : Altruisti si diventa. Se conviene a tutti

Altruisti si diventa. Se conviene a tutti

di di Paolo Magliocco
9 Novembre 2010

La logica egoistica non è innata e nemmeno così diffusa come pensiamo. Parola di Ernst Fehr, economista svizzero secondo il quale la maggioranza delle persone sarebbe disponibile ad agire per il bene comune. Ma solo a condizione di stabilire regole eque. Che vengano rispettate. E che una ridistribuzione delle risorse porti vantaggi all'intera comunità

Forse dovremmo imparare ad essere più ottimisti sulla natura umana. E smettere di pensare che l’egoismo prevalga per forza. In fondo, chi l’ha detto che l’egoismo e l’interesse personale siano davvero la strategia adottata dalla maggior parte delle persone, la forza che muove il mondo e le aziende? E se la logica di massimizzare il nostro profitto immediato, l’idea di rinchiuderci nel guscio di ciò che più ci conviene a breve termine fossero solo l’effetto di quello che ci succede intorno? Forse l’uomo è disposto a collaborare con gli altri, a guardare all’interesse di tutti più di quanto siamo soliti pensare o disposti ad ammettere.

 

Un po’ di sano e scientifico ottimismo sull’animo umano e i suoi meccanismi arriva da Ernst Fehr, che di mestiere fa l’economista in Svizzera (è direttore dell’Istituto per le ricerche di economia sperimentale all’Università di Zurigo). Gli economisti non sono una categoria famosa per promuovere la cooperazione tra la gente, la maggior parte si occupa di prezzi e crescita economica e pensa che più si cerca di guadagnare per sé meglio sia per tutti. Ma Fehr, austriaco di nascita ed elvetico di adozione (ha lavorato, tra l’altro, al dipartimento di economia del Mit, il prestigioso Massachusetts Institute of Techonology di Boston, negli Stati Uniti) è un economista particolare, da sempre assai sensibile a capire che cosa spinga le persone a comportarsi in un certo modo piuttosto che a misurare solo gli effetti economici di un certo comportamento.

 

Così ha deciso di indagare sulla nostra voglia di cooperare, di fare qualcosa tutti insieme, di rinunciare a un beneficio personale immediato per ottenere un beneficio collettivo maggiore dopo un certo tempo. E ha scoperto che, in media, sia uomini che donne sono molto più disposti di quanto si pensi ad abbracciare questa logica. Peccato che poi la minoranza di persone che invece guardano solo al proprio tornaconto sia in grado di rompere le uova nel paniere agli altri e di spingerli a sposare la stessa logica egoistica.

 

Il modo in cui Fehr e il suo gruppo di ricerca hanno potuto verificare tutto questo è abbastanza semplice. Ha inventato un gioco di ruolo in cui si prendono alcune persone, le si mette attorno a un tavolo e le si fa interagire con poche, semplici regole. A ciascuno vengono dati dei soldi, venti euro per esempio, e si chiede di decidere se tenerli per sé o metterli in comune. I soldi messi in comune frutteranno e verranno restituiti dopo un turno con un valore aumentato. Però verranno redistribuiti tra tutti, in parti uguali, indipendentemente da quanto ciascuno abbia versato all’inizio. Un po’ come succede con le tasse, in cui non conta quanto hai dato per determinare quanto puoi avere.

Ora, è facile capire che se tutti collaborano, tutti si arricchiscono, mentre se nessuno collabora ciascuno resta con i proprio soldi e basta. E se alcuni collaborano e altri no? Allora può capitare, e capita, che chi ha messo soldi a disposizione del gruppo se ne veda restituire meno. Nei gruppi creati dai ricercatori svizzeri il “tasso di cooperazione” si è collocato all’inizio ben oltre il 50 percento. Quindi più della metà delle persone erano convinte che una parte dei soldi fosse giusto non tenerla per sé. Gli altri, quelli che gli studiosi, per evitare giudizi morali chiamano i “free-riders” ma che a noi appaiono più banalmente come egoisti, rappresentano una minoranza.

 

Turno dopo turno, chi mette una parte dei soldi a disposizione del gruppo si accorge però che la cifra che torna è inferiore a quella elargita. I free-riders, infatti, sono pochi ma pur sempre sufficienti a danneggiare gli altri, partecipando alla redistribuzione dei soldi comuni. Accade così che un po’ alla volta anche le persone che collaboravano con gli altri smettono di farlo e si tengono tutto. Il tasso di cooperazione crolla. Solo un piccolo zoccolo duro, attorno al 20 percento delle persone, non rinuncia a investire per il bene comune. Gli altri si rassegnano e si occupano solo di non perdere i propri soldi.

 

Ma il gioco, per fortuna, non finisce qui. Fehr a questo punto ha aggiunto una regola: chi danneggia gli altri può essere “denunciato”. Per denunciare si paga, bisogna rinunciare a una cifra, per esempio un euro. Però chi viene denunciato, se davvero il suo comportamento fa perdere dei soldi a chi lo ha segnalato, paga una penalità più alta, per esempio 3 euro. Il risultato è che se si ripete l’esperimento con questa regola il tasso di cooperazione cresce nel tempo, anziché scendere, e arriva anche al 90 per cento. Tutti vogliono partecipare al bene comune e tutti si avvantaggiano di questo comportamento, perché i soldi redistribuiti alla fine del turno valgono di più.

 

Le conclusioni da trarre, dice l’economista austro-svizzero, sono più d’una. La prima è che, appunto, la maggior parte delle persone sarebbe disposta a cooperare. La seconda è che però le persone sono perlopiù disposte a farlo a certe condizioni: se ci perdono continuamente no. La terza conclusione è che poche, semplici regole e la certezza che vengano rispettate possono far virare verso la cooperazione anche chi all’inizio penderebbe per l’interesse personale immediato ed egoistico.

 

E’ una lezione importante, anche perché, aggiunge Fehr, le situazioni reali in cui ci troviamo e che assomigliano al suo gioco sono parecchie: quando dobbiamo pagare le tasse, d’accordo. Ma anche quando dobbiamo lavorare insieme all’interno di un gruppo (pensiamo a un’azienda che mette a disposizione dei dipendenti un premio per il raggiungimento di certi risultati collettivi e non del singolo individuo). E poi funziona così, più o meno, la tutela dell’ambiente, perché chi non se ne preoccupa danneggia tutti e avvantaggia solo se stesso. Ma addirittura, dice Fehr, questo meccanismo vale per le manifestazioni che abbattono le dittature, facendo guadagnare la libertà a tutti, anche a quelli che non sono scesi in piazza neppure una volta, scegliendo di non rischiare mai qualcosa in prima persona per gli altri.

 

 

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