Wise Society : Nei paesi UE un lavoratore su 4 esposto al fumo passivo

Nei paesi UE un lavoratore su 4 esposto al fumo passivo

di Fabio Di Todaro
18 Ottobre 2017

Lo scenario è migliorato negli ultimi anni in bar e ristoranti ma non nei luoghi di lavoro. I dati presentati al congresso europeo di medicina respiratoria svoltosi a Milano

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Il fumo passivo rappresenta il principale fattore inquinante degli ambienti chiusi ed è responsabile di oltre seicentomila morti l’anno, Foto: iStock

Va meglio nei bar e nei ristoranti. Non invece nei luoghi di lavoro, dove l’esposizione al fumo passivo è un problema di salute pubblica ancora rilevante. A esserne toccato è un cittadino europeo su quattro: la stessa percentuale che si registra nei bar, mentre in trattorie e pizzerie la quota risulta più che dimezzata (1 su 9). L’istantanea dell’esposizione al fumo passivo degli abitanti del Vecchio Continente giunge da Milano, dal congresso della Società Europea di Medicina Respiratoria svoltosi a settembre. E, a fronte di due indici in calo, l’aumento delle rilevazioni condotte in ambito professionale, dove la tutela dovrebbe essere massima, non fa dormire sonni tranquilli agli pneumologi di tutta Europa. «Le leggi ci sono, ma è evidente la difformità nei livelli di applicazione», afferma Filippos Filippidis, docente di salute pubblica all’Imperial College e a capo del gruppo che ha condotto l’ultima ricerca, finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del programma quadro «Horizon 2020».

NON FUMATORI ANCORA POCO TUTELATI SUL LUOGO DI LAVORO – L’indagine è stata condotta in due tranche: un primo rilevamento risalente al 2009, un altro al 2014. Nel quinquennio in oggetto, le maglie delle leggi antifumo si sono strette in diversi Stati: come la Bulgaria, la Spagna, il Belgio e l’Ungheria. Oltre che in Italia, dove il divieto di fumo negli ambienti professionali è previsto dalla legge Sirchia del 2003: la mossa più azzeccata degli ultimi due decenni, se si misurano gli impatti sulla salute pubblica. Ma per tutelare i non fumatori sui luoghi di lavoro di strada da fare ce n’è ancora abbastanza. I ricercatori, esaminando i dati raccolti da cinquantacinquemila cittadini dei paesi UE, hanno scoperto come il varo di misure ad hoc abbia iniziato a sortire gli effetti sperati. Se nel 2009 una persona su due che entrava in un bar risultava esposta al fumo passivo, un lustro più tardi la percentuale è risultata dimezzata. Un’evidenza che è emersa anche relativamente agli ingressi nei ristoranti: dove prima una persona su tre si ritrovava costretta a inalare le sostanze sprigionate dalla sigaretta fumata da qualche altro avventore, mentre nel 2014 il problema riguardava un cliente su nove. Opposto è stato invece il trend osservato in orario lavorativo, dove tra il 2009 e il 2014 la quota di dipendenti esposta al fumo passivo è passata dal 23,8 al 27,5 per cento. Numeri che descrivono una media al rialzo, mentre lo scenario è in realtà piuttosto eterogeneo. Da una parte ci sono Stati come la Gran Bretagna, la Svezia e l’Irlanda: portati come esempio a cui aspirare. Dall’altra la Grecia e Cipro, citati come termine di paragone da Filippo Filippidis in quanto realtà a lui più note, dove si è piuttosto indietro nell’applicazione di leggi antifumo comunque già esistenti.

IL FUMO PASSIVO: CONSEGUENZE PER LA SALUTE – La diffusione dei dati è servita a riaccendere i riflettori sul fumo passivo. Un ambiente saturo dei 69 componenti del fumo di sigaretta di natura cancerogena espone infatti a un più alto rischio di insorgenza del tumore del polmone, la terza neoplasia più frequente dopo quelle al colon retto e al seno. Un legame che nuovo non è, ma che risulta sconosciuto alla maggioranza: otto italiani su dieci, secondo un sondaggio condotto dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) nel 2014. Il fumo passivo rappresenta il principale fattore inquinante degli ambienti chiusi ed è responsabile di oltre seicentomila morti l’anno. Il tumore del polmone non è l’unica insidia. Respirare aria satura di composti nocivi emessi dalle sigarette aumenta anche il rischio di sviluppare un ictus cerebrale , oltre all’infarto del miocardio.

Twitter @fabioditodaro

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