In Italia ogni anno circa ottomila le procedure di questo tipo, la maggior parte delle quali riguardano il fegato, seguite da polmone e rene.
L’obiettivo, in fin dei conti, è semplice: bruciare il tumore fino a far scioglierlo. La termoablazione percutanea è una tecnica che punta a portare il tessuto tumorale a una temperatura superiore a cinquanta gradi. In questo modo si determina la denaturazione delle proteine intracellulari e la dissoluzione dei lipidi di membrana. Di fatto: la morte cellulare. La metodica, introdotta negli anni ’90, ha visto una progressiva evoluzione delle tecnologie utilizzate, fino al recente utilizzo delle microonde. L’obiettivo è quello di raggiungere una sempre maggiore precisione, efficacia e sicurezza per il paziente.
COME FUNZIONA LA TERMOABLAZIONE? – La termoablazione può essere effettuata sia nei confronti di tumori primari sia secondari: dei tessuti parenchimali (fegato, rene, polmone) e delle ossa. La procedura viene effettuata per rimuovere anche tumori benigni, come quelli che colpiscono la tiroide e l’utero. Ma per fare in modo che la rimozione sia quanto più radicale possibile, è sempre necessario andare oltre la lesione tumorale, rimuovendo anche i margini di tessuto sano: cinque millimetri nel caso di un tumore primitivo, un centimetro se in presenza di una metastasi. «I benefici della termoablazione per il paziente oncologico sono da ricondurre a una metodica meno invasiva rispetto alla chirurgia tradizionale, più rapida, meno dolorosa, è ripetibile in caso di recidive – sostiene Sandro Barni, direttore del dipartimento oncologico dell’ASST Bergamo Ovest-Treviglio -. In più così si riducono le giornate di degenza e il periodo di malattia, con una conseguenza diminuzione dei costi diretti e indiretti, a vantaggio anche del Sistema Sanitario Nazionale». Ma, prosegue lo specialista, «la termoablazione, a parte casi specifici come l’epatocarcinoma primario, non è sostitutiva, ma complementare alla chirurgia tradizionale e ai trattamenti medici. Ha indicazioni precise: come il volume, il numero e la localizzazione delle lesioni tumorali. È fondamentale che il paziente sia preso in carico da un team multidisciplinare, che deve essere composto, oltre che dall’oncologo, dal chirurgo e dal radiologo interventista. L’importante è definire l’appropriatezza terapeutica: capire, cioè, qual è il paziente giusto e il momento giusto per eseguire questa procedura».
IL CONTRIBUTO DELLE MICROONDE – In Italia si stima che complessivamente siano eseguite tra le settemila e le ottomila procedure l’anno. Sette su dieci riguardano il fegato, seguite da polmone e rene. I centri che effettuano questo tipo di procedura sono un centinaio. L’ultima evoluzione della termoablazione è rappresentata dall’impiego delle microonde. «Si tratta di onde elettromagnetiche prodotte da un generatore, che attraverso un cavo raggiungono l’antenna inserita nel tumore e qui determinano un’oscillazione delle molecole d’acqua con conseguente produzione di calore – dichiara Gianpaolo Carrafiello, direttore dell’unità operativa complessa di radiologia diagnostica e interventistica ASST Santi Paolo e Carlo e ordinario di diagnostica per immagini, radioterapia e neuroradiologia all’Università Statale di Milano -. Con le microonde è possibile aumentare le dimensioni delle aree di ablazione tumorale che, grazie alla definizione di contorni perfettamente sferici». Uno dei vantaggi della termoablazione, come detto, risiede nei ridotti tempi di degenza: quasi mai superiori a due giorni. Ma a guadagnarne sono anche quei pazienti che, per diversi motivi, non possono sottoporsi all’anestesia generale: necessaria per la chirurgia tradizionale e non per le procedura di termoablazione. Le criticità, invece, rimandano alla scarsa diffusione della procedura e alla mancanza di un accesso equo alla terapia in tutte le Regioni.
I MAGGIORI SUCCESSI SUL FEGATO – Per alcuni tipi di tumore, come l’epatocarcinoma primario con dimensioni inferiori a tre centimetri, le linee guida delle società scientifiche nazionali e internazionali, hanno stabilito che il trattamento di termoablazione con radiofrequenza o microonde è equivalente alla chirurgia tradizionale. La metodica, chiosa Giovanni Sgroi, direttore del dipartimento di scienze chirurgiche dell’ASST Bergamo Ovest-Treviglio, «trova applicazione anche nelle metastasi epatiche. La termoablazione di queste lesioni secondarie può essere sostitutiva o integrativa della chirurgia. L’indicazione di trattare un paziente con metastasi epatiche, deriva da una valutazione specifica, che tiene conto della natura delle metastasi, del loro numero, delle dimensioni e della loro localizzazione, oltre che del loro aspetto biologico. Quando la chirurgia non è praticabile, perché la lesione è difficilmente resecabile, o il paziente non può né essere operato né sottoposto alla terapia farmacologica, la termoablazione rappresenta l’unica soluzione praticabile».
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