A un mese dalla manipolazione genetica delle cellule del sistema immunitario nei laboratori del Bambino Gesù, il piccolo paziente sta bene ed è stato dimesso
Nei giorni scorsi ha fatto notizia in tutto il mondo il risultato raggiunto all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, dove un bambino di quattro anni, affetto da una leucemia linfoblastica acuta (la forma più diffusa di leucemia pediatrica) refrattaria alle terapie convenzionali, è stato curato con un approccio rivoluzionario: cioè manipolando geneticamente le cellule del sistema immunitario per renderle capaci di riconoscere e attaccare il tumore. A un mese dall’infusione delle cellule riprogrammate nei laboratori del Bambino Gesù, il piccolo paziente sta bene ed è stato dimesso: nel midollo non sono più presenti cellule leucemiche. Fin qui il risultato ottenuto in sintesi, che necessita però di essere spiegato per far comprendere in che modo sta cambiando la lotta al cancro. Chirurgia, chemioterapia e radioterapia rimangono dei capisaldi del percorso di cure oncologiche. Ma l’immunoterapia – compresa la terapia genica, che rappresenta quasi una versione 2-0 dell’approccio che punta a stimolare il sistema immunitario contro il cancro – è un’opportunità sempre più concreta per i tumori del sangue, per i linfomi e per diversi tumori solidi (polmone, rene, melanoma).
LA TERAPIA GENICA A BASE DI «CAR-T» – La tecnica di manipolazione delle cellule del sistema immunitario del paziente rientra nell’ambito della cosiddetta terapia genica o immunoterapia, una delle strategie più innovative e promettenti nella ricerca contro il cancro. I medici e i ricercatori del Bambin Gesù hanno prelevato i linfociti T del paziente – le cellule fondamentali della risposta immunitaria – e li hanno modificati geneticamente attraverso un recettore chimerico sintetizzato in laboratorio. Questo recettore, chiamato «Car» (Chimeric Antigenic Receptor), potenzia i linfociti e li rende in grado – una volta reinfusi nel paziente – di riconoscere e attaccare le cellule tumorali presenti nel sangue e nel midollo, fino ad eliminarle completamente. La terapia genica con cellule modificate «Car-T» è stata sperimentata per la prima volta con successo nel 2012, negli Stati Uniti, su una bambina di 7 anni con leucemia linfoblastica acuta, dai ricercatori dell’Università di Pennsylvania presso il Children Hospital di Philadelphia. Da allora sono partite numerose sperimentazioni in tutto il mondo, i cui risultati hanno portato pochi mesi la Food and Drug Administration, l’agenzia del governo americano che si occupa di regolamentare i prodotti immessi nel mercato, ad approvare il primo farmaco a base di «Car-T» sviluppato dall’industria farmaceutica.
LA NOVITà DELLO STUDIO ITALIANO – L’approccio adottato dai ricercatori del Bambino Gesù differisce parzialmente da quello nord-americano. Diversa è la piattaforma virale utilizzata per realizzare il percorso di modificazione genetica. Diversa è la sequenza genica realizzata, che prevede anche l’inserimento di una sorta di gene suicida attivabile in caso di eventi avversi, in grado di bloccare l’azione dei linfociti modificati. È la prima volta che questo sistema viene impiegato in una terapia genica a base di «Car-T»: una misura ulteriore di sicurezza per fronteggiare i possibili effetti collaterali che possono derivare da queste terapie innovative. Diversa, infine, è la natura della sperimentazione. L’infusione del primo paziente al Bambin Gesù, infatti, è il frutto di quasi tre anni di lavoro di ricerca pre-clinica all’interno di un trial accademico. Il processo di manipolazione genetica e la produzione del costrutto originale realizzato per l’infusione – un vero e proprio farmaco biologico – sono avvenuti interamente all’interno dell’«officina farmaceutica» (cell factory) del Bambino Gesù. Il processo di produzione è durato due settimane, a cui è stato necessario aggiungere circa dieci giorni per ottenere tutti i test indispensabili per garantire la sicurezza del farmaco biologico: infuso poi per via endovenosa. Analoga procedura è tuttora in corso per completare la preparazione delle cellule per un adolescente affetto dalla stessa malattia, la leucemia linfoblastica acuta, e per una bambina affetta da neuroblastoma.
IL PRIMO PAZIENTE – Il bambino sottoposto per la prima volta al trattamento sperimentale di terapia genica era affetto da leucemia linfoblastica acuta, di tipo B cellulare, che rappresenta il tipo più frequente di tumore dell’età pediatrica (400 nuovi casi ogni anno in Italia). Aveva già avuto due ricadute della malattia: la prima dopo trattamento chemioterapico, la seconda dopo un trapianto di midollo osseo da donatore esterno. Come spiega Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia pediatrica, terapia cellulare e genica dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, «per questo bambino non erano più disponibili altre terapie potenzialmente in grado di determinare una guarigione definitiva. Qualsiasi altro trattamento chemioterapico avrebbe avuto solo un’efficacia transitoria o addirittura un valore palliativo. Grazie all’infusione dei linfociti T modificati, invece, il bambino oggi sta bene ed è stato dimesso. È ancora troppo presto per avere la certezza della guarigione, ma il paziente è in remissione: non ha più cellule leucemiche nel midollo. L’infusione di linfociti geneticamente modificati per essere reindirizzati con precisione verso il bersaglio tumorale rappresenta un approccio innovativo alla cura delle neoplasie e carico di prospettive incoraggianti. Certamente siamo in una fase ancora preliminare, che ci obbliga ad esprimerci con cautela. Ci conforta però poter contribuire allo sviluppo di queste terapie anche nel nostro Paese e immaginare di avere a disposizione un’arma in più da adottare a vantaggio di quei pazienti che hanno fallito i trattamenti convenzionali o che per varie ragioni non possono avere accesso ad una procedura trapiantologica».
Twitter @fabioditodaro