Una ricerca che ha coinvolto 4100 lavoratori brianzoli dimostra che le tensioni correlate al lavoro possono aumentare fino al 78 per cento il rischio di sviluppare un infarto del miocardio
Fumo, ipertensione, ipercolesterolemia e diabete. Sono questi i principali fattori di rischio per il cuore, nello specifico per l’infarto del miocardio: condizione che ogni anno colpisce almeno centoventimila italiani, tanti quanti ne abitano a Monza. Ed è proprio dal capoluogo brianzolo che giunge la conferma della presenza di un altro di questi: lo stress. La notizia emerge da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica inglese «Bmj Open», i cui risultati sono stati discussi durante la Settima conferenza internazionale sull’ambiente di lavoro e le malattie cardiovascolari appena tenutasi a Varese.
L’ANALISI SUGLI UOMINI BRIANZOLI – Gli scienziati hanno dimostrato che le tensioni correlate al lavoro possono aumentare fino al 78 per cento il rischio di sviluppare un infarto del miocardio. Lo studio ha coinvolto 4100 lavoratori brianzoli. «Uomini dai colletti bianchi e blu», li definisce Marco Mario Ferrario, direttore dell’unità operativa di medicina del lavoro all’ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese e ordinario all’Università dell’Insubria, primo autore della pubblicazione. «Nei lavoratori inseriti nel gruppo con il livello più alto di stress, la probabilità di rimanere vittime dell’ostruzione di un’arteria coronaria cresce sensibilmente: in maniera svincolata dall’impiego che si svolge, che sia quello di un operaio o di un dirigente». I dipendenti più esposti sono «coloro che hanno carichi elevati, scarso potere decisionale e poca possibilità di ripartire la mole di compiti». Il legame tra stress e salute cardiovascolare appare dunque ormai indissolubile. La sua origine, secondo una ricerca pubblicata a gennaio su «The Lancet», sarebbe da ricercare nella continua stimolazione dell’amigdala, che metterebbe a rischio il cuore. La regione del cervello che regola lo stress era stata chiamata in causa già in altre circostanze, in cui era stata provata una correlazione tra la presenza di ansia, depressione e disturbo post-traumatico da stress e l’infarto del miocardio. Sicuro è inoltre il beneficio che si trae dalla gestione di una forte tensione emotiva nel recupero di quelle persone già state colpite da un infarto.
UNA MAGRA CONSOLAZIONE: IN ITALIA L’INFARTO SI CURA Al MEGLIO – In’epoca in cui non ci stacchiamo mai dagli impegni di lavoro, non rimane allora che «accontentarsi» dei buoni risultati raggiunti dall’Italia sul piano terapeutico. «Siamo vicini al traguardo di seicento angioplastiche coronariche per milione di abitanti, che la comunità scientifica riconosce come la soglia per determinare se un sistema sanitario curi l’infarto miocardico in maniera appropriata – chiosa Giuseppe Musumeci, direttore della struttura complessa di cardiologia dell’ospedale Santa Croce e Carle di Cuneo e presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise) -. L’intervento deve essere effettuato nelle prime 6-12 ore dopo l’infarto per riaprire le coronarie occluse che hanno provocato il danno, attraverso l’inserimento di uno stent che mantenga il vaso aperto».
Twitter @fabioditodaro