La questione delle microplastiche è stata affrontata anche dalla Direttiva europea sulla qualità dell'acqua potabile. E il miglior modo per garantirsi sicurezza e ridurre contemporaneamente la plastica è scegliere l'acqua del rubinetto
Di microplastiche e di quanto questi frammenti invisibili all’occhio umano siano dannosi per l’ambiente e gli ecosistemi si parla spesso. Ma come ridurle è invece una questione non del tutto chiara e comunque ancora poco “affrontata”. Nella Direttiva europea 2020/2184, appena entrata in vigore, viene affrontata la questione, e soprattutto la correlazione fra microplastiche e acqua potabile. E non se ne riconosce solo il pericolo ma viene sottolineata anche l’importanza del monitoraggio e della prevenzione. Un passo avanti che però prevede ancora alcuni step prima di essere davvero operativa.
Microplastiche: cosa sono e perché sono pericolose
Le microplastiche, ricordiamo, sono piccole particelle di plastica che possono contaminare l’ambiente, compreso l’approvvigionamento idrico (d’altra parte è ormai assodato che le microplastiche sono anche nelle nuvole). Non tutte le microplastiche sono però uguali e per questo vengono suddivide in microplastiche primarie e in microplastiche secondarie.
Le microplastiche primarie sono quelle microsfere prodotte specificatamente in scala così ridotta per essere utilizzate, grazie alle loro proprietà leviganti ed esfolianti, nella cosmetica (trucchi, detergenti, dentifrici, glitter), nelle paste abrasive e nei fertilizzanti e nelle vernici.
Le microplastiche secondarie sono invece originate dall’usura e dal deterioramento di prodotti e materiali in plastica di dimensioni diverse: shopper per la spesa, tessuti sintetici, flaconi di ogni genere e tipo, pneumatici e le immancabili bottiglie di plastica. Dalla loro frammentazione – che avviene anche a causa della luce solare e delle condizioni meteorologiche – vengono fuori le microplastiche secondarie, che costituiscono la grande maggioranza rilevata negli oceani e nelle cosiddette isole di plastica.
Plastica, inquinamento ambientale e microplastiche
Cosa fare dunque per ridurle? Innanzitutto occorre ridurre la plastica nella filiera che va dal produttore al consumatore. E se a livello produttivo il consumatore sembra non poter fare molto, in realtà è possibile fare la differenza con scelte di acquisto e consumo critico e responsabile: fare la spesa sfusa, bere l’acqua del rubinetto, scegliere cosmetici plastic free, ridurre l’acquisto di prodotti usa e getta e così via sono infatti azioni che ogni cittadino può intraprendere quotidianamente.
Ma qual è l’impatto della plastica nella nostra vita? Per scoprirlo si può far riferimento all’Impact Simulator di Culligan, azienda leader nel settore del trattamento dell’acqua, che permette di misurare la responsabilità ecologica sulla base del consumo annuo di acqua in bottiglia. Secondo i dati una famiglia media di quattro persone, bevendo quotidianamente acqua imbottigliata produce ben 72 kg di plastica in un anno. E questi numeri, in riferimento alla produzione, si traducono in 137 kg di petrolio e nell’emissione di 242,1 kg di CO₂.
Inoltre, le bottiglie in Pet, avendo una vita media stimata intorno ai mille anni, e non sono biodegradabili. Senza contare che la produzione di questo materiale richiede di per sé ingenti risorse, quali grandi quantità di acqua e petrolio, decretando così a tutti gli effetti la scarsa sostenibilità di questo materiale.
Dai rifiuti in plastica alle microplastiche
E in tutto questo le microplastiche cosa c’entrano? Lo spieghiamo subito: come anticipato la plastica, soprattutto quando non viene smaltita correttamente, è sottoposta a processi di degradazione molto lenti che portano alla frammentazione del materiale in pezzi inferiori ai 5 mm, mettendo in pericolo gli ecosistemi, con danni a cascata per la fauna marina e conseguentemente sulla salute umana. A partire dai mari, dove le microplastiche diventano cibo per i pesci che noi mangiamo – entrando così nella catena alimentare – questo materiale arriva sino alle falde acquifere, dove si sedimenta tanto da rendere il binomio microplastiche e acqua potabile ancora più fitto. Non solo: le microplastiche che si trovano nell’atmosfera possiamo addirittura respirarle.
Microplastiche e acqua potabile: cosa dice la Direttiva UE
Insomma, ridurre il consumo di plastica è essenziale e lo è anche nel “mondo” dell’acqua potabile dove, anche a causa di poca o errata informazione, si continua a preferire l’acqua in bottiglia ritenendola più buona, salutare e sicura di quella del rubinetto.
Nell’ambito del processo di transizione ambientale che punta a fare dell’Europa la prima area al mondo a impatto zero sull’ambiente, è quindi arrivata anche la Direttiva (UE) 2020/2184 sulla qualità delle acque potabili in Italia che affronta anche la questione delle microplastiche, riconoscendole come una delle più dannose minacce ambientali. La Direttiva, in particolare, sottolinea l’importanza del monitoraggio e della prevenzione delle microplastiche nell’acqua potabile. Al momento però, non esiste un protocollo ufficiale universalmente accettato per identificarle e quantificarle.
A tale scopo, la Commissione Europea si propone di sviluppare entro il 2024 una metodologia per il loro monitoraggio nelle acque destinate al consumo umano. Questo consentirà di includere le microplastiche nella “Watch List“, un registro di controllo che identifica sostanze emergenti con potenziale rischio per i consumatori quando presenti nelle acque potabili.
Microplastiche e acqua potabile, cosa fare per limitarle
E in questa fase di transizione è importante, accanto all’impegno nella riduzione dell’utilizzo di plastica, tutelarsi scegliendo fonti d’acqua più sicure imparando anche a capire davvero quanto l’acqua del rubinetto sia la più sicura in assoluto. E’ quindi importante sfatare alcuni luoghi comuni.
Come anticipato, benché gli italiani preferiscano l’acqua in bottiglia, in realtà l’acqua del rubinetto è sottoposta a maggiori controlli e a norme che stabiliscono limitazioni più rigide. Le normative che regolano le acque minerali in bottiglia sono stabilite dal DM 10 febbraio 2015 e sono diverse da quelle delle acque potabili (D.Lgs 18/2023): molti dei parametri normati per le acque di rete non presentano, nel caso delle acque in bottiglia, un limite stabilito per legge (in pratica alcuni elementi chimici possono essere presenti nelle acque minerali in commercio in quantità superiori rispetto all’acqua del rubinetto).
E ancora: uno studio dell’Irsa, l’Istituto del Consiglio Nazionale di Ricerca deputato al controllo della qualità dell’acqua, indica che l’Italia è al quinto posto in Europa per qualità dell’acqua di acquedotto. Il merito di questo buon piazzamento è dell’origine sotterranea dell’85% delle fonti italiane. Non è tutto però, perché questa sicurezza e questi dati sulla qualità dell’acqua italiana sono quelli relativi all’acquedotto e quindi fino al contatore di casa. Oltre quel punto, infatti, siamo proprio noi a dover pensare e garantire la manutenzione periodica delle tubature di casa.
Ovviamente esistono tante buone prassi da adottare per ottenere a casa propria un’acqua sicura e gradevole. Si va dall’igienizzazione e apposizione dei filtri al punto d’uso che permettono di eliminare cloro, torbidità e sali in eccesso. E per quanto riguarda le microplastiche? L’Organizzazione Mondiale della Sanità ricorda anche come i vari processi di purificazione delle acque potabili oggi esistenti (Wise society ne ha parlato qui ha parlato con Culligan) permettano di allontanarne l’eventuale presenza. I sistemi di depurazione, infatti, permettono di bloccare i frammenti eventualmente presenti nell’acqua e migliorano sia il sapore dell’acqua, sia la sua qualità.
Maria Enza Giannetto