Dopo i 15 casi di epatite colestatica acuta riconducibili al consumo di integratori alla curcuma, il Ministero della Salute invita i consumatori a sospendere il consumo di una lista di prodotti
Da quasi due settimane, su giornali e siti web, si legge di una diffusione dei casi (15, per ora) di epatite colestatica acuta riconducibili al consumo di curcuma. Si tratta di una malattia non infettiva e non contagiosa, la cui causa non è stata però ancora individuata. Per questo motivo, in attesa delle analisi, i consumatori sono invitati dal Ministero della Salute a sospendere il consumo di una specifica lista di prodotti.
Sospetti su prodotti dimagranti
A fronte della legittima preoccupazione sollevata dalla segnalazione partita il 24 maggio dall’Istituto Superiore di Sanità, le autorità non hanno (ancora) identificato nessuna possibile causa degli effetti avversi. Rimane dunque valida, per adesso, la sicurezza di questa pianta anche in ambito alimentare: come additivo (curcumina E100) e come elemento presente in diversi integratori. Cosa può allora aver determinato questo aumento dei casi di una malattia che, è bene ricordarlo, non è di natura infettiva (come peraltro confermato dagli esami condotti negli ospedali a cui i pazienti si sono rivolti)?
Gli integratori alla curcuma vengono assunti per vari motivi. Molte delle persone finite in ospedale li avrebbero assunti per dimagrire, visto che si ritiene, anche se mancano studi scientifici che supportino questa ipotesi, che attiverebbe la demolizione dei depositi di grasso presenti nell’organismo. Alla curcuma comunque vengono attribuite molte proprietà, comprese quelle antinfiammatorie, sulle quali invece ci sarebbero alcuni riscontri scientifici. Il sospetto, considerando che molti dei prodotti segnalati appartengono ad aziende diverse, è che la materia prima di solito proveniente dall’India sia stata contaminata durante la fase di produzione o di trasporto.
Naturale non è sempre salutare
La questione sta facendo discutere in Italia, dove finora casi del genere non se n’erano registrati o erano comunque sfuggiti alle maglie dei controlli (non esiste un apposito registro). Diversa invece già da qualche tempo è la situazione al di là dell’Atlantico. Già nel corso dell’ultimo congresso della Società americana di studi sulle malattie del fegato, infatti, era emerso come il venti per cento dei danni epatici registrati nella popolazione derivasse dall’utilizzo di integratori a base di erbe. Anche in quel caso, i riflettori furono accesi sugli integratori (per dimagrire e aumentare le prestazioni sportive). Si tratta di prodotti che non sottostanno alle stesse procedure di controllo dei farmaci bensì a quelle degli alimenti, che sono più blande. Lo studio presentato a Washington aveva evidenziato che, in oltre 340 prodotti a base di erbe segnalati da 1.200 persone arrivate in pronto soccorso per sospetti danni al fegato, soltanto 90 erano accompagnati da un’etichetta riportante gli ingredienti realmente presenti.
Twitter @fabioditodaro