Di fronte a eventi particolarmente nefasti, come la Pandemia da COVID-19 o la guerra in Ucraina, molte persone reagiscono tenendosi costantemente informate attraverso internet. Può capitare che questo bisogno di sapere sfoci in una vera e propria dipendenza che risponde al nome di “doomscrolling”.
Cos’è il doomscrolling e da cosa può essere scatenato?
Doomscrolling è un neologismo molto recente, integralmente preso in prestito dall’inglese: è composto da doom ‘sventura, destino infelice’ e scrolling ‘scorrimento’.
Si tratta della tendenza a cercare online, in modo ossessivo, brutte notizie, fino ad entrare in una spirale di ansia ed angoscia. Da non confondersi con la solastalgia, che è lo stato di ansia e depressione generato dai disastri ambientali e dal cambiamento climatico causati dall’uomo, che nulla ha a che vedere con la ricerca compulsiva di notizie nefaste.
Genesi del fenomeno
La necessità di tenerci costantemente informati è una sensazione che bene o male abbiamo provato, e continuiamo a provare tutti, da due anni a questa parte: prima con la pandemia e poi con la guerra. E in effetti è stata proprio la pandemia a far registrare un’impennata di questo fenomeno: non è un caso infatti che proprio a fine aprile 2020 “doomscrolling” sia entrata a far parte delle parole di tendenza del dizionario Merriam-Webster.
Sicuramente non avrà aiutato l’essere perennemente connessi attraverso gli smartphone, o l’essere esposti a un insolito (almeno fino al 2020) bombardamento di notizie monotematiche da parte dei media, prima sul COVID-19, poi sulla guerra tra Russia e Ucraina. Ma dalla necessità oggettiva di tenersi informati, al farne un bisogno così stringente da diventare una vera e propria dipendenza, il passo è breve.
Il doomscrolling, detto anche doomsurfing, porta ad uno stato di stress e paura che induce a cercare ancora maggiori dettagli, che a loro volta sfociano in un loop vizioso, di dipendenza da queste notizie, da cui è difficile uscire.
Le notizie non rassicuranti “danno forma” a tutte le nostre paure più recondite, e non è un caso se la radice etimologica di “informare” va cercata nel latino “dare forma”: non solo le notizie, quindi, ma anche e soprattutto le immagini e la spettacolarizzazione del dolore, possono indurre in uno stato di ricerca morboso.
Doomscrolling: chi è a rischio?
La dipendenza da cattive notizie colpisce principalmente le persone predisposte a stati d’ansia. L’ansia infatti, ci spinge a valutare tutta una serie di rischi e pericoli che con molta probabilità, non si verificheranno. Si ha la sensazione che un totale controllo sulle variabili di ogni singola situazione possa tranquillizzare, ma in realtà più le informazioni che si ricevono alimentano i propri pregiudizi negativi, tanto più l’ansia cresce, fino a diventare soffocante, fino a dare la percezione di un pericolo imminente, di una eccessiva vulnerabilità.
Le conseguenze
In queste persone la ricerca compulsiva può portare dapprima ad un investimento nocivo del tempo libero, e successivamente può addirittura arrivare a rovinare la salute mentale, gettando i soggetti in stati d’ansia e di depressione permanenti e procurando anche disturbi del sonno. Una volta arrivati a questo punto, la continua esposizione a notizie negative, può generare uno stato di insoddisfazione del proprio vissuto e peggiorare la percezione di eventi personali, anche banali.
Come combattere il doomscrolling
La prima cosa da fare quando ci si rende conto che si è soggetti a doomscrolling o doomsurfing, è sicuramente cercare di prendersi una pausa: può sembrare scontato ma non lo è affatto. Staccarsi dallo smartphone, alzarsi dalla scrivania e spegnere il computer non è sempre facile, ma sono strategie fondamentali per disinnescare il pericoloso meccanismo.
Il distacco permette di ragionare con maggiore chiarezza mentale su quelle che sono le notizie veramente utili da quelle che invece semplicemente aumentano il malessere emotivo. Capire dove finisce il bisogno legittimo di informarsi, e dove comincia la dipendenza da notizie, apre la strada ad una maggiore consapevolezza.
Per il resto, una passeggiata, una boccata d’aria, godere di una giornata di sole possono essere più efficaci di una seduta dallo psicologo. Vivere il mondo reale più di quello virtuale, alzare gli occhi dai telefonini, ricordarsi che lì fuori c’è un mondo di opportunità e di socialità che ci aspetta.
Certo, il lockdown è stato duro, per alcuni durissimo. Certo, ad una manciata di chilometri c’è una guerra in atto, ed altre 59 ce ne sono in giro per il mondo. Ma preoccuparsi fino a vivere nello sconforto, alla perenne ricerca di notizie che non ci toccano personalmente non cambia le cose. Rimboccarsi le maniche e fare del proprio meglio, cercando di migliorare ognuno il proprio pezzetto di terra, forse sì.
Paola Greco