Wise Society : Donazioni di sangue: in Italia ancora pochi i giovani

Donazioni di sangue: in Italia ancora pochi i giovani

di Fabio Di Todaro
21 Giugno 2016

Nel nostro paese meno di un donatore su tre ha tra 18 e 35 anni. Ma serve anche il contributo dei cittadini stranieri

Visto «da fuori», il dato appare robusto. In Italia sono 1,7 milioni le persone che più volte in un anno donano il sangue, per compiere un atto che equivale a salvare la vita a uno sconosciuto. Eppure la situazione, nonostante il nostro Paese assieme ad altri sessantuno riesca a garantirsi l’autosufficienza ematica, potrebbe essere migliore. A donare, infatti, è appena il 4,5 per cento della popolazione considerata idonea, di età compresa tra 18 e 65 anni. Ma è sui giovani che occorre lavorare di più: meno di un donatore su tre rientra infatti nella fascia d’età compresa tra 18 e 35 anni. Il contributo più robusto è dato dagli adulti: considerati tali tra 30 e 55 anni

MA SONO ANCORA POCHI I GIOVANI DONATORI – È su questo aspetto che si sono concentrati gli esperti italiani, in occasione dell’ultima giornata mondiale dedicata alla donazione del sangue, celebrata il 14 giugno. Rimarcando il rilievo dell’autosufficienza raggiunta da diversi anni e assicurata anche dal «bilanciamento» effettuato da alcune Regioni più virtuose nei confronti di altre meno propense a compiere l’atto più altruistico per antonomasia, il Centro Nazionale Sangue, che coordina le attività dei 326 centri trasfusionali diffusi nelle ventuno regioni, ha voluto anche specificare come «sia ancora tropo bassa la percentuale di giovani donatori, che sul numero totale, si attesta al 31,67 per cento». Un dato che viene definito preoccupante per una ripercussione chiara: «Se si considerano i dati sull’invecchiamento della popolazione, tra il 2009 e il 2020, la riduzione dei donatori è stimata nel 4,5 per cento». Conforta, invece, che «l’83 per cento dei donatori italiani doni il sangue in maniera periodica, non occasionale», afferma Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro nazionale sangue. «Questa fidelizzazione è fondamentale, per via del legame molto stretto che esiste tra donazione volontaria, consapevole e non remunerata e qualità del sangue, in termini di sicurezza».

IN ITALIA DONAZIONE POSSIBILE ANCHE PER GLI OMOSESSUALI – In occasione della strage di Orlando, si è tornati a parlare dell’opportunità per gli omosessuali di donare il sangue. In Florida, dove i gay sono accorsi in massa per compiere una donazione in favore dei feriti nel corso dell’attentato, gli specialisti si sono opposti al prelievo. La situazione non è molto diversa nel resto d’Europa. I gay uomini possono donare il sangue soltanto in cinque Paesi, tra cui l’Italia (gli altri sono la Spagna, il Portogallo, la Polonia e la Repubblica Ceca). Dal 2001 – fu l’allora ministro della Sanità Umberto Veronesi ad agevolare la svolta in favore dei gay – la struttura del questionario viene definita in un decreto del ministero italiano della salute. «Negli ultimi dodici mesi ha avuto rapporti sessuali a rischio?», recita la domanda che non allude all’orientamento sessuale. Se non conosce i comportamenti sessuali dei propri partner, il donatore verrà rinviato per quattro mesi. Questo vale sia per gli eterosessuali sia per gli omosessuali. Nella pratica, però, l’ultima parola spetta al medico che visita il possibile donatore. Come segnalano diverse associazioni gay (la più attiva è Plus Onlus), l’ultima parola spetta sempre al centro trasfusionale e al medico che visita il possibile donatore.

PERCHÈ SERVE ANCHE IL SANGUE DEI MIGRANTI? – Altra categoria «sensibile» è quella dei migranti, considerati una risorsa importante per ampliare il bacino di sangue disponibile. Molti di loro, quando arrivano in Italia, non sono consapevoli di questa opportunità. Ma se opportunamente sensibilizzati, come fa l’Avis dalla Sicilia al Piemonte, rispondono in maniera adeguata. Dieci anni fa i donatori stranieri erano circa venticinquemila, oggi sono tra i centoventicinque e i centocinquantamila. In assenza di un registro ufficiale, un donatore su dieci sarebbe dunque un cittadino non italiano. I più «fedeli» sono i marocchini, ma anche rumeni e sudamericani garantiscono risposte soddisfacenti, se adeguatamente istruiti. Meno propensi alla donazione i cinesi e gli indiani. In questo a incidere sono anche aspetti culturali, visto che in Oriente la perdita di sangue è vista ancora come qualcosa di nocivo per la salute. Il sangue dei migranti è prezioso non soltanto per ampliare la riserva. Esistono infatti dei gruppi sanguigni definiti rari, perché presentano antigeni di superficie diversi da quelli più comunemente riscontrati (A e B). Il sangue di chi possiede una combinazione di questi viene definito raro e più multietnica è una società, maggiore è la probabilità di trovare la «materia prima» necessaria.

Twitter @fabioditodaro

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