Questa condizione, contraddistinta dalla coesistenza di obesità e diabete, porta con sé tantissimi rischi per la salute. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta e, soprattutto, dei modi che abbiamo per prevenirla e combatterla
Una nuova epidemia, silenziosa ma allarmante, con cifre da capogiro, si diffonde nel nostro Paese e nel mondo. È la “diabesity” o diabesità ovvero l’esplosivo mix fra diabete di tipo 2 e obesità. Solo in Italia ci sono oltre tre milioni di diabetici e di questi 2 milioni sono “diabesi”, ovvero obesi che in più sono anche malati di diabete. Questa condizione espone a moltissime altre patologie metaboliche e cardiovascolari e, e in particolare, alla sindrome metabolica: per queste persone il rischio di morte è quadruplicato rispetto al resto della popolazione. La diabesità, che è ormai per l’OMS una vera emergenza sanitaria, è inoltre in aumento constante ed è il risultato di stili di vita sbagliati. E allora cerchiamo di sbrogliare bandolo della matassa scoprendo nel dettaglio cos’è la diabesity e come fare per prevenirla e combatterla ogni giorno.
Cos’è la diabesity
Come abbiamo detto, la diabesity è la presenza contemporanea del diabete di tipo 2 e di una condizione di obesità. Per capire meglio i problemi che sottende bisogna partire dalle peculiarità di una delle due condizioni che ne è alla base, il diabete. Questa patologia è causata dall’incapacità dell’organismo di produrre insulina, l’ormone rilasciato dal pancreas che trasforma gli alimenti in energia, consentendo di metabolizzare gli zuccheri. Il diabete di tipo I insorge in età infantile o nella prima giovinezza, ha soprattutto cause genetiche e costringe alle iniezioni di insulina.
Il diabete di tipo II è invece la forma più diffusa ed è legato agli stili di vita sbagliati, in particolare a un’alimentazione squilibrata e ricca di zuccheri e alla sedentarietà. Appare quindi chiaro che l’obesità e il diabete siano condizioni particolarmente legate fra loro che, in alcuni soggetti, convivono. Le persone obese, infatti, possono diventare facilmente meno sensibili all’insulina (cosiddetta resistenza insulinica) e quindi, nel tempo, diabetiche.
I rischi per la salute
Una condizione di diabesity porta con sé tantissimi rischi per la salute. Cerchiamo di riassumerli. Il diabete, come ricordano gli esperti di IBDO Foundation, è una della principali cause di morbilità nel nostro Paese: fra i rischi che comporta ci sono cecità, cardiopatia ischemica e insufficienza renale. Il diabete però è solo una parte della cosiddetta sindrome metabolica che comprende anche obesità, ipertensione arteriosa e dislipidemie, cioè l’aumento dei grassi nel sangue.
Diabete di tipo 2 e obesità vengono tuttavia sottovalutati, e la maggior parte delle volte la diagnosi arriva troppo tardi, quando ormai sono già presenti seri danni al sistema cardiovascolare e alla vista. Ed è questo il motivo per il quale, nella diabesità, i rischi per la salute si sommano e si amplificano a vicenda. Le conseguenze sono gravi sia per il singolo individuo che per il sistema sanitario e sociale, che in futuro stenterà sempre più ad affrontare i costi di questa vera e propria epidemia.
I segnali di allarme
Ci sono alcuni campanelli d’allarme che tuttavia possono allertarci e aiutarci a tornare a condurre uno stile di vita sano. Endocrinologi e nutrizionisti consigliano di stare attenti soprattutto all’aumento di peso in area addominale. Bisogna, insomma, tenere d’occhio il girovita e controllare se si ingrassa sulla pancia: l’adipe in eccesso sull’addome è infatti direttamente collegato all’insorgere del diabete.
Per questo motivo ancora più della bilancia (che non bisogna comunque dimenticare!) un segnale d’allarme arriva dalla gonna o dai pantaloni dell’anno prima che non si riescono ad allacciare. Per l’uomo gli esperti indicano come valore massimo, da non superare, i 94 cm di girovita, mentre per le donne non bisogna mai andare oltre gli 80 cm.
Come prevenire e combattere la diabesity
Per combattere la diabesity (quando è già in atto) o per prevenire la sua comparsa l’approccio è multifattoriale. Non bisogna stare a dieta ed escludere intere categorie di alimenti, ma bisogna imparare a mangiare in modo corretto, vario ed equilibrato riducendo drasticamente i grassi, gli alimenti processati e i dolci. Ma un grande aiuto arriva anche dall’attività fisica e dal movimento. La sedentarietà è infatti uno dei fattori che, insieme all’alimentazione, concorrono allo sviluppo di una condizione di diabesità.
L’alimentazione
Per combattere la diabesity il primo step è agire direttamente sull’alimentazione, correggendo gli eccessi di grassi e zuccheri la prima soluzione. La dieta migliore rimane sempre la dieta mediterranea, intesa come alimentazione varia, mai troppo abbondante e con prodotti “local”, a km zero, poco lavorati e processati.
La dieta deve comprendere, sempre in porzioni moderate, frutta, verdura, cereali (meglio integrali), che sono alla base delle “piramide” della dieta mediterranea, grassi vegetali da frutta secca e olio extravergine di oliva. Le proteine devono arrivare soprattutto dai legumi e poi dal pesce e, più raramente, dalle uova. Carne rossa, grassi animali, e dolci sono da ridurre drasticamente: da consumare solo una volta ogni tanto, come sporadiche eccezioni.
La dieta mediterranea è infatti protettiva, antinfiammatoria e consigliata anche per contrastare il diabete e tornare nel peso forma. Oggi si cerca di non escludere più intere categorie di alimenti, come pane o pasta, ma di ridurne le quantità.
Ma non dobbiamo sottovalutare anche il valore più ampio della mediterraneità come modo di mangiare. Bisogna reimparare a nutrirsi apprezzando la convivialità e valorizzando il cibo con ritmi lenti. Il contrario del fast food: il cibo scadente, magari già pronto, consumato in fretta, da soli, senza rendersi conto dei sapori fa comunque male.
La socialità tipica della nostra dieta mediterranea, invece, è un segreto di salute e longevità come dimostrano gli abitanti (centenari e sani) delle nostre blue zone, dalla Grecia alla Sardegna, da sempre abituati a condividere il momento dei pasti.
L’attività fisica
Come anticipato, la sedentarietà è l’altra grande concausa alla base dell’epidemia di diabesity. Per questo è bene impegnarsi in un’attività fisica costante e proporzionata alle proprie capacità. Per chi non è allenato, per cominciare può bastare una passeggiata veloce di mezz’ora.
Dopo un mese si potrà affiancare alla mezz’ora di passeggiata veloce un impegno di tipo aerobico (bicicletta, jogging, tapis roulant, nuoto), due volte alla settimana. Bisogna prevedere 20-45 minuti di attività più 5-10 minuti di riscaldamento prima di iniziare e 5-10 minuti di stretching dopo il lavoro aerobico. L’esercizio di tipo aerobico è particolarmente utile perché, abbinato alla dieta, consente di smaltire più velocemente i depositi di grasso sull’addome.
Questo mini training è particolarmente efficace e semplice. Se poi ci sente insicuri o si ha bisogno di una guida che controlli i progressi fatti il ci si può rivolgere per un programma facile, personalizzato, a un bravo trainer, in qualsiasi palestra o centro sportivo.
Diabesity in Italia: un po’ di dati
I numeri della diabesity sono al rialzo: per medici e ricercatori le percentuali, già da record, dei “diabesi” sono destinate ad aumentare ogni anno. Secondo i dati dell’Italian Barometer Diabetes Observatory (Ibdo) Foundation, raccolti in collaborazione con Istat, la diabesity in Italia colpisce soprattutto le regioni del Sud: al top di questa poco gradevole classifica ci sono Calabria, Basilicata, Sicilia, Campania, Puglia, Abruzzo e alcune località del Lazio. Le zone più “in salute” invece sono la Liguria e le province autonome di Trento e Bolzano.
Un aspetto allarmante è che se la diabesità un tempo era un disturbo che colpiva soprattutto gli anziani oltre gli 80 anni, oggi spesso interessa anche le persone più giovani, dai 45 ai 64 anni, con un deciso abbassamento dell’“asticella” dell’età. Proprio per questo motivo diventano ancora più preoccupanti i dati sull’obesità infantile, che predispone a soffrire in età adulta di diabete: al Sud è sovrappeso un bambino su tre con la “maglia nera” che va alla Campania (36%).
Lucia Fino