Le persone affette da obesità (anche lieve) sono maggiormente a rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19 che possono portare fino al decesso. A rivelarlo è uno studio guidato da ricercatori dell’Università di Bologna, pubblicato sull’«European Journal of Endocrinology». I risultati dello studio mostrano, che tra i pazienti affetti da Covid-19, un indice di massa corporea (BMI) superiore a 30 è associato a un rischio maggiore di sviluppare insufficienza respiratoria, di necessitare il ricovero in terapia intensiva e di mortalità. Il tutto indipendentemente dall’età, dal genere e dalla presenza di altre malattie.
Obesità e rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19
Il ruolo dell’obesità come fattore di rischio per i pazienti affetti da Covid-19 è stato individuato fin dall’inizio della pandemia, con diversi studi che hanno evidenziato una connessione con conseguenze più severe e maggiori livelli di mortalità. Fino a oggi però le ricerche realizzate – che sono state utilizzate anche per stabilire le linee guida per l’individuazione delle categorie a rischio – erano basate su un numero di casi limitato.
Gli specialisti dell’Università di Bologna hanno invece basato il loro lavoro sulle informazioni tratte da quasi cinquecento pazienti ricoverati al policlinico Sant’Orsola a causa del Covid-19. I dati raccolti hanno confermato l’obesità come fattore associato a un rischio più alto di sviluppare forme gravi della malattia e di mortalità, ma che si sono rivelati validi anche per pazienti con forme di obesità lieve. In realtà, però, «tutti i livelli di obesità sono associati allo sviluppo di forme gravi di Covid-19», spiega il chirurgo Matteo Rotoli, che ha coordinato lo studio. «Ciò vuol dire che anche le persone affette da obesità lieve dovrebbero essere identificate come parte della popolazione maggiormente a rischio».
Quale legame tra l’obesità e Covid-19?
Nonostante questi dati mostrino un forte collegamento tra un alto indice di massa corporea e lo sviluppo di forme gravi di Covid-19, le cause alla base di questa connessione non sono ancora state individuate.
Le possibilità sono diverse: un indebolimento della risposta immunitaria alle infezioni virali, alterazioni delle funzioni polmonari, stati di infiammazione cronica connessi all’obesità.
«Il prossimo passo sarà cercare di individuare i meccanismi che sono alla base di questo collegamento – aggiunge Rottoli, che nella sua attività si occupa di chirurgia bariatrica e colorettale -. La nostra ipotesi è che le conseguenze dell’infezione da Sars-CoV-2 siano legate al profilo metabolico dei pazienti: questo indicherebbe quindi un possibile ruolo dell’obesità, in connessione con la sindrome metabolica e con il diabete».
Rischi (inferiori) anche per le persone con un’obesità lieve e moderata
L’indice di massa corporea è un dato biometrico che mette in correlazione il peso corporeo con l’altezza. Un valore compreso tra 30 e 35 identifica una condizione di obesità lieve. Le linee guida sviluppate da diversi Paesi, come Regno Unito e Stati Uniti, per individuare le categorie maggiormente a rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19 indicano oggi tra i loro criteri un BMI superiore a 40, che corrisponde a un livello di obesità severa.
I risultati del nuovo studio suggeriscono però che questo dato andrebbe rivisto al ribasso, includendo tra le persone più a rischio quelle affette da tutti i tipi di obesità. «Si tratta di un elemento da non sottovalutare, soprattutto nei Paesi occidentali, che presentano livelli più alti di diffusione dell’obesità», conclude lo specialista.
Proteggersi dal Covid-19: da evitare anche la malnutrizione per difetto
Fin qui l’eccesso di peso. Ma occorre fare attenzione anche al deperimento indotto da un’alimentazione povera di nutrienti.
Un rischio a cui risultano esposti soprattutto gli anziani (i più fragili, al cospetto della pandemia), dal momento che il passare degli anni determina un progressivo calo dell’appetito. Sensazione che tende ad accentuarsi in chi si ammala di Covid-19, complici anche la perdita del gusto e dell’olfatto che spesso si riscontra (soprattutto) nelle prime settimane di malattia. Secondo uno studio appena pubblicato sulla rivista «Clinical Nutrition», la polmonite interstiziale può accentuare lo stato di malnutrizione. E questo, quando presente, contribuisce a rendere peggiore la prognosi della malattia e ad allungare i tempi di recupero.
Ma cosa si intende per malnutrizione per difetto? «La condizione non è definita soltanto da un basso peso, ma anche da alterazioni della composizione corporea e dalla riduzione della massa muscolare scheletrica – dichiara Caterina Conte, internista e coordinatrice dello studio -. Si parla di obesità sarcopenica per definire la coesistenza di massa grassa in eccesso e sarcopenia, ovvero perdita della massa muscolare. Questa è una complicanza dell’obesità che spesso viene sottovalutata, ma può associarsi a una prognosi peggiore. Anche i pazienti curati a domicilio dovrebbero essere seguiti affinché mantengano un adeguato apporto di calorie, proteine e liquidi in tutte le fasi della malattia».
Twitter @fabioditodaro