Wise Society : Coronavirus in autunno: arriverà la seconda ondata?

Coronavirus in autunno: arriverà la seconda ondata?

di da Fabio Di Todaro
3 Agosto 2020

Ora che il virus sembra covare sotto la cenere, come sarà la convivenza autunnale con il Coronavirus alle nostre latitudini? Gli esperti sono divisi: tra coloro che affermano soprattutto in TV che il virus è meno aggressivo rispetto a questo inverno, e i più cauti che invece riconducono il miglioramento del quadro epidemiologico all’età media dei nuovi contagiati e alla capacità di intercettarli con largo anticipo rispetto a quanto avvenuto tra marzo e aprile, potendo così offrire soluzioni terapeutiche fin dalla comparsa della malattia.

Coronavirus in autunno

Foto shirokumadesign © 123RF.com

Al di là di questa diversità di vedute, però, la prossima sfida è attesa per l’autunno. La riapertura delle scuole, il ritorno di molti lavoratori in ufficio e il cambiamento anche delle abitudini sociali (con il ritorno in città e la progressiva scomparsa delle elevate temperature) potrebbero creare le condizioni per una recrudescenza della pandemia anche nel nostro Paese, oggi tra quelli messi meglio a livello europeo.

Coronavirus in Italia: a che punto siamo?

I dati relativi al Coronavirus nel Belpaese ci dicono che non siamo nella condizione della fine dell’inverno. Ma nemmeno totalmente al riparo. Se i numeri dei contagi e i dei posti letto occupati negli ospedali restano ancora sotto il livello di guardia, la circolazione del Sars-CoV-2 è ancora sostenuta.

A dimostrarlo è l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità e del Ministero della Salute, che disegna un’Italia del contagio in cui le Regioni a livello di rischio «moderato» da tenere d’occhio sono passate da 6 a 9: Emilia Romagna, Friuli, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto. L’R con t, l’indice di trasmissione a livello nazionale è sceso appena sotto la soglia di allarme di un contagio per ogni positivo, con una media di 0.95. In quattro Regioni, però, l’indicatore è oltre la soglia limite di 1: Emilia, Liguria, Bolzano e Veneto. Anche il trend dei contagi settimanali da Coronavirus è in salita in 12 regioni su 21.

È cambiata, in molti casi, l’origine del contagio. Con scuole e uffici in larga parte chiusi, oggi si assiste soprattutto a casi di rientro e a contagi all’interno delle famiglie. Una situazione sulla carta più semplice da gestire, ma che rischia di mettere comunque in crisi i dipartimenti di prevenzione se il numero di questi «cluster» in grado di accendersi sullo stesso territorio dovesse crescere in maniera molto veloce.

Coronavirus nel mondo: la situazione

Certo, nel brevissimo termine, l’Italia non dovrebbe fronteggiare gli «incendi» divampati ormai da settimane in diverse aree del mondo. Tra i paesi più colpiti, gli Stati del Sud degli USA, il Brasile, l’India, il Messico e il Perù.

In Europa, preoccupano invece i numerosi focolai attivi nei Balcani, in Romania, in Bulgaria, in diverse parti della Spagna (a partire dalla Catalogna), in Gran Bretagna e i Francia. In molti di questi casi, a mancanza di provvedimenti drastici come il lockdown ha soltanto posticipato l’acuirsi dell’epidemia: da qui lo scostamento temporale rispetto all’Italia.

termometro per coronavirus

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Ma in un mondo globalizzato, queste emergenze sono molto più vicine di quanto si possa pensare. Con i voli riaperti, seppur con diverse restrizioni per chi arriva in Italia da queste nazioni, il rischio di importare nuovi contagi è ancora molto alto.

D’altra parte i casi di coronavirus a livello globale hanno fatto registrare un altro record giornaliero. Secondo i conteggi dell’Organizzazione mondiale della Sanità, venerdì scorso i nuovi casi nel mondo sono stati almeno 284.196, un dato che potrebbe anche aumentare con l’aggiornamento (per ora mancante) da parte di diversi Paesi. Nel complesso, a oggi sono stati notificati 1.660.523 contagi accertati. Oltre 680mila i decessi registrati su scala globale.

Il virus si è indebolito?

Il miglioramento della situazione nazionale ha portato a diffondersi la convinzione che il virus abbia perso aggressività e non sia dunque in grado di provocare casi di malattia grave come quelli della fine dell’inverno e dell’inizio della primavera. Un’opinione sostenuta anche da alcuni medici, a partire da Alberto Zangrillo: direttore dell’unità di terapia intensiva e rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano. Un’ipotesi che però non trova d’accordo molti colleghi (infettivologi, patologi, virologi). «Il Coronavirus non si è indebolito per niente», ripete da giorni Massimo Galli, direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano. Ragion per cui non possiamo essere più tranquilli perché ora il virus non ha più la stessa carica virale di qualche settimana fa. Secondo Galli, i nuovi focolai di Covid-19 dimostrano il contrario, cioè che il virus è forte come prima. «Temo che forse è stato detto troppo a favore di una certa rilassatezza», ha detto di recente in un’intervista a La Stampa. E pensa che sia importante non abbassare la guardia in particolare in vista dell’autunno: «Non so cosa potrebbe capitare, ma dobbiamo essere preparati a qualunque evenienza».

Covid-19 in autunno, gli scenari: cosa potrebbe accadere?

Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Tedros Ghebreyesus, continua a invitare alla prudenza. «Il virus si sta diffondendo rapidamente e il numero di persone vulnerabili è ancora molto alto». In vista dell’autunno, Richard Horton, caporedattore della rivista «The Lancet», ha rievocato lo spettro della Spagnola: «La prima ondata di quella epidemia ebbe luogo tra marzo e luglio e fu relativamente mite. La seconda ondata invece, decisamente peggiore, arrivò ad agosto. E una quota compresa tra 50 e 100 milioni di decessi si registrò tra settembre e dicembre del 2018».

Contagi Coronavirus

Foto di unitednations / Unsplash

Cosa dovremmo fare, allora, per prepararci? Le indicazioni giungono dall’Associazione Italiana di Epidemiologia, che al tema ha dedicato un editoriale pubblicato sull’ultimo numero della rivista «Epidemiologia&Prevenzione»: «Il virus è presente nella popolazione e continuerà a circolare probabilmente per un lungo periodo», affermano i quattro autori (Paolo Vineis, Lucia Bisceglia, Salvatore Scondotto, Stefania Salmaso e Francesco Forastiere). E troppo vasta è la popolazione mai esposta al contagio, se dagli esami sierologici effettuati in diverse popolazioni del Nord Italia risulta che tra il 3 e il 10 per cento della popolazione si è finora infettata, mentre al Sud il dato medio è uguale o inferiore all’uno per cento.

«Un completo spegnimento dell’epidemia è giudicato improbabile – aggiungono gli epidemiologi -. L’entità dei picchi dipenderà dalla capacità di rispettare le misure individuali e collettive di protezione, dalle attività di monitoraggio quotidiano e dalla capacità di garantire tempestivamente l’individuazione dei casi, il tracciamento dei contatti e l’isolamento dei sospetti. Sempre nell’ambito delle incertezze, non è attualmente chiaro se qualcuno dei vaccini oggi in sperimentazione sarà efficace. Né quando sarà disponibile».

Indicazioni utili per il futuro

In previsione di una eventuale ripresa dell’epidemia dopo l’estate, gli esperti raccomandano un rafforzamento della sorveglianza epidemiologica (potenziando l’attività dei dipartimenti di prevenzione delle Asl), per uniformare in tutto il Paese la raccolta dei dati e la risposta all’epidemia. Ma non solo: serve garantire la possibilità di incrociare i sistemi informativi di una Regione con quelli delle altre e adeguare le piattaforme di sorveglianza, in modo da poter raccogliere le informazioni necessarie a descrivere le nuove catene di contagio.

Complice l’avvento del nuovo virus influenzale, occorrerà poi potenziare anche la sorveglianza dei contagi da esso determinati: in modo da evitare confusione nel momento in cui inizieranno a crescere tanto i numeri dell’influenza quanto quelli del Covid-19.

E poi: test, test e test (con particolare attenzione alle persone ad alto rischio). La letteratura disponibile oggi conferma che tanto più si va alla ricerca dei contagi, maggiori sono le probabilità di circoscrivere i nuovi focolai. Infine, la comunicazione. «Deve essere rapida, chiara ed efficace», avvertono gli epidemiologi: oltre che possibilmente uniforme, tra le varie aree del Paese.

Twitter @fabioditodaro

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