Wise Society : Celiaco o non celiaco? I test per smascherare la malattia

Celiaco o non celiaco? I test per smascherare la malattia

di Lia Del Fabro
9 Maggio 2014
SPECIALE : Le insidie della Celiachia

È il medico di base che, valutati i sintomi, prescrive lo screening sierologico. Ma la ”prova del nove” arriva dalla gastroscopia

Il tema delle analisi diagnostiche, a cui ricorrere per individuare la celiachia è uno di quelli su cui si sta concentrando l’attenzione della comunità scientifica. Anche l’ultimo convegno nazionale organizzato dall’Associazione italiana celiachia (Aic) lo scorso novembre, faceva il punto su questa questione.

Uno degli aspetti più dibattuti riguarda l’attendibilità della diagnosi di celiachia. Quelle sbagliate sono infatti ancora troppo numerose. A volte, ci si basa su criteri non accettabili sul piano scientifico. Così risultano celiache persone che presentano solo un’aumentata sensibilità al glutine in determinati periodi della loro vita. Invece è importante distinguere tra chi è solo sensibile al glutine e chi invece è celiaco e dovrà seguire una dieta che durerà – vale la pena sottolinearlo – tutta la vita.

Un altro degli interrogativi ancora in discussione, è se sia preferibile privilegiare la politica del “case finding” o quella del “mass screening”. Per alcuni gruppi di popolazione a maggior rischio di sviluppare la celiachia (come pazienti affetti da anemia, diabete mellito di tipo 1, tireopatie autoimmuni, famigliarità di I grado), non vi è dubbio che sarebbe molto utile procedere con uno screening sierologico. Ma non è ancora chiaro, ammettono i medici e i ricercatori, se la stessa procedura di screening, adatta per i gruppi a rischio, possa essere estesa a tappeto e applicata anche alla popolazione in generale . Ci sono delle perplessità che riguardano la reale validità del metodo perché non è possibile escludere che un bambino con risultato negativo non possa da adulto sviluppare la celiachia. Quindi, si conclude, i costi di un sistema di screening non giustificano benefici su cui non c’è al momento certezza assoluta.

La strategia del cosiddetto “case finding” gestito dal medico di famiglia sembra quella da privilegiare per l’individuazione del paziente affetto da celiachia. È il medico di base che per primo esamina quei sintomi che potrebbero indicare un nuovo caso della patologia. È sempre lui che istituzionalmente raccoglie in modo sistematico dati sensibili che interessano la comunità dei suoi assistiti. E che quindi ha tutti gli elementi per valutare, caso per caso, se vale la pena approfondire con esami specifici e accertare con sicurezza se ci si trova di fronte ad un paziente con celiachia.

Un dato non molto incoraggiante è il seguente: secondo un’indagine recente il 78% di pazienti celiaci ritiene non sufficientemente preparato sulla questione il proprio medico di famiglia. Giudizi forse ingenerosi considerato che tra i medici il livello di consapevolezza sull’elevata frequenza della malattia è sicuramente accresciuto, come le conoscenze di base relative ai molteplici sintomi con cui si presenta la celiachia. Inoltre esiste ormai un protocollo dei test che è possibile eseguire su tutto il territorio nazionale. Comunque è importante che, nella fase immediatamente successiva all’ipotesi di celiachia sospettata dal medico di base, si ricorra al gastroenterologo. Il rapporto di collaborazione tra i due medici è fondamentale ed è al gastroenterologo che spetta la parola definitiva sulla diagnosi.

Ma a quali analisi va incontro una persona che si rivolge al medico per sospetta celiachia?

Un primo approccio diagnostico consiste nell’ effettuare la ricerca di anticorpi transglutaminasi IgA e simultaneamente dosare le IgA sieriche per escluderne un possibile deficit: la celiachia infatti si può associare al deficit di IgA. Questi anticorpi, nel celiaco, fanno in modo che il sistema immunitario riconosca come anomale le proteine del glutine. Per difendersi da quella che è erroneamente vista come una proteina pericolosa, l’organismo innesca una reazione infiammatoria che a poco a poco altera la mucosa intestinale fino a compromettere in maniera più o meno severa le capacità di assorbimento dei nutrienti.

l test basati sulla ricerca del dosaggio delle IgA sono molto sensibili e specifici della malattia. Per questo sono oggi quelli più diffusi nella ricerca della celiachia e sono quelli da fare in un primo approccio quando c’è il sospetto della malattia. L’unica eccezione sono i bambini più piccoli , quelli di età inferiore ai 2 anni, per i quali conviene associare agli esami delle IgA anche la ricerca degli anticorpi anti-gliadina deamidata.

Ma è la biopsia, eseguita durante una gastroscopia, che garantisce la sicurezza della diagnosi. Quando il paziente, oltre a denunciare i tipici sintomi della celiachia, presenta test con deficit di IgA, l’esame istologico diventa indispensabile. Una volta eseguita la biopsia, studi recenti hanno dimostrato che l’atrofia dei villi intestinali si conferma nel 100% dei casi.

Nella fase successiva alla diagnosi, il paziente dovrà sottoporsi a visite mediche periodiche per verificare l’andamento della malattia. E utile effettuare un primo controllo a sei mesi dalla diagnosi e successivamente ogni anno o due. Questi controlli servono a verificare gli effetti della dieta priva di glutine e l’eventuale insorgenza di complicanze.

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