Wise Society : Cambiamenti climatici e gravidanza: cosa dicono gli studi scientifici e cosa si può fare per la salute delle future mamme

Cambiamenti climatici e gravidanza: cosa dicono gli studi scientifici e cosa si può fare per la salute delle future mamme

di Valentina Neri
9 Settembre 2024

Se ne parla ancora troppo poco, ma le temperature elevate espongono a rischi le donne in gravidanza e i loro bambini. Conoscerli permette di prevenire efficacemente eventuali complicanze

Che la gravidanza sia un periodo delicato, in termini fisici ed emotivi, è fuori da ogni dubbio. Che i cambiamenti climatici lo stiano rendendo ancora più complesso è una realtà che le donne stanno già sperimentando, in varie parti del Pianeta, e che la ricerca scientifica inizia a indagare più da vicino. Per capire quali sono i rischi principali e come alleviarli, tutelando la qualità della vita delle future mamme e dei loro bambini e bambine.

Donna incinta

Foto Shutterstock

L’impatto del caldo sulla gravidanza: cosa dicono gli studi scientifici

Siamo di fronte a fenomeni – la gravidanza e il riscaldamento globale – talmente vasti e talmente planetari da poter essere analizzati da innumerevoli prospettive. Non è pensabile, dunque, avere dati univoci e certi. Piuttosto, esistono tanti studi scientifici che, come tasselli di un puzzle, ipotizzano correlazioni e suggeriscono un trend. Vediamone alcuni.

Temperature torride e stress fetale

Un approfondimento della Bbc cita per esempio uno studio condotto in Gambia, Paese dell’Africa occidentale caratterizzato da un clima subtropicale caldo e umido. A gennaio, le minime si aggirano di norma attorno ai 18 gradi: nei mesi estivi si arriva di frequente a superare i 40. Il riscaldamento globale in questo territorio è tangibile e ha già portato la temperatura media ad aumentare di circa un grado negli ultimi sessant’anni. Secondo il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), entro la fine del secolo si rischia un ulteriore incremento di 3-6 gradi. Con tutto ciò che comporta in termini di innalzamento del livello dei mari, rischio di inondazioni, erosione costiera, siccità, danni ai raccolti agricoli e dunque insicurezza alimentare.

Per questo, un team medico ha monitorato 92 donne incinte della zona rurale di Keneba: persone con gravidanze fisiologiche, senza particolari problemi di salute preesistenti e che continuavano a occuparsi della casa e dell’agricoltura. I risultati sono netti e preoccupanti: per ogni grado centigrado in più di temperatura esterna, l’incidenza dello stress fetale aumenta del 17%. Ciò significa che il piccolo (o la piccola) riceve meno sangue dalla placenta e dunque produce quegli ormoni caratteristici delle situazioni di stress. Una situazione pericolosa che coinvolge un terzo delle madri monitorate.

Il rischio di parto prematuro

Nel rapporto “Born to soon” (“Nato troppo presto”), l’Organizzazione mondiale della sanità riepiloga i progressi fatti nell’ultimo decennio in termini di prevenzione e trattamento del parto prematuro. Nel mondo, circa un neonato ogni dieci nasce prima delle 37 settimane di gestazione: uno ogni due secondi. E, purtroppo, le frequenti complicazioni portano alla morte di quasi un milione di neonati all’anno e ad altri milioni di casi di disabilità che persistono per tutta la vita. Andando a esaminare le cause di mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni, si scopre che la prima è proprio il parto prematuro.

Negli ultimi decenni la scienza ha fatto passi da gigante nella prevenzione e nel trattamento delle minacce per la salute delle neomamme e dei loro bambini. Ci sono però quattro fattori che rischiano di vanificarli, le cosiddette “quattro C”: Covid-19, conflitti, crisi del costo della vita e cambiamenti climatici. Questi ultimi influiscono in vari modi.

Innanzitutto, spesso sono accelerati dall’emissione di sostanze che sono anche tossiche e inquinanti: solo nel 2019, lo smog ha giocato un ruolo in 6 milioni di parti prematuri e quasi 3 milioni di casi di basso peso alla nascita. Poi c’è il caldo estremo, come quello che le donne del Gambia vivono sulla propria pelle: alcuni studi sostengono che incrementi addirittura del 16% il rischio di parto pretermine. Senza contare poi tutte quelle famiglie che sono costrette a spostarsi a causa delle catastrofi naturali (i cosiddetti migranti climatici) e che quindi si trovano a vivere in condizioni precarie, lontane dalle proprie case e dalle proprie reti di supporto.

Pediatra che visita un neonato

Foto Shutterstock

Preeclampsia, diabete gestazionale e altri rischi peggiorati dal caldo

La gravidanza non è una malattia, ma esistono problemi di salute che – se trascurati – possono risultare rischiosi sia per la futura mamma sia per il nascituro. Un esempio è il diabete gestazionale, cioè una disregolazione nella regolazione del glucosio che va prontamente trattato con la dieta o, se quest’ultima non risulta sufficiente, con la somministrazione di insulina. È una complicanza molto comune, rilevata nel 14% delle gravidanze a livello globale. I primi studi condotti in merito sembrano suggerire che il caldo la renda ancora più comune, ma andranno suffragati da altre evidenze.

Altrettanto rischiosa è la preeclampsia, anche detta gestosi, che si manifesta con l’ipertensione della gestante accompagnata da una quantità significativa di proteine nelle urine. Anche in questo caso, alcune ricerche ipotizzano che il rischio aumenti se le temperature esterne sono elevate.

Rischi per la salute che ad oggi sono sostanzialmente ignorati

Gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo e, senza dubbio, dovranno essere sostanziati da ulteriori pubblicazioni scientifiche. Il tema, però, appare chiaro. Le temperature stanno aumentando e questo provoca rischi per la salute, anche in categorie fragili come quella delle gestanti e dei feti che portano in grembo. Ma se ne parla abbastanza? La risposta è no.

La Bbc sottolinea come non se ne faccia menzione nelle linee guida per la salute pubblica di varie nazioni, tra cui il Regno Unito. E che nei materiali informativi sul caldo estremo pubblicati dalle amministrazioni locali statunitensi sia più facile trovare riferimenti agli animali domestici, piuttosto che alle donne in gravidanza. Un vuoto di conoscenza, e dunque di prevenzione, che bisogna colmare al più presto.

Valentina Neri

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