Come definire il water grabbing? Come uno dei più gravi crimini perpetrati: l’acqua è il bene più prezioso, al pari dell’aria e della terra. Per la tutela di quest’ultima la Corte penale internazionale ha considerato il land grabbing un crimine contro l’umanità, in Cambogia, e perseguibile in quanto tale. Il “furto della terra” è intimamente legato a quello dell’acqua.
L’acqua è in pericolo
L’acqua è vitale, ma è un bene in pericolo. Pur essendo una risorsa rinnovabile, l’umanità si basa su una piccolissima parte di acqua di superficie che costituisce solo lo 0,4 % della disponibilità totale di acqua dolce. Fiumi, laghi e zone umide sono sempre più sotto pressione, poiché l’uso globale dell’acqua è aumentato ad un tasso annuo dell’1% dagli anni Ottanta del XX secolo a oggi.
Secondo il report del 2019 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità entro il 2025, metà della popolazione mondiale vivrà in aree a un livello più o meno elevato di stress idrico. Ecco perché in molte zone del mondo sono scoppiati conflitti, molti dei quali tuttora attivi: per difendere il diritto all’accesso all’acqua. Questa situazione drammatica potrà solo peggiorare con la crescita della popolazione e l’impoverimento costante delle fonti d’acqua potabile. E a questo scenario si lega indissolubilmente il problema del water grabbing.
Cos’è il water grabbing
Partiamo dalla definizione di water grabbing: il significato letterale è “accaparramento d’acqua”. È un fenomeno che vede implicati attori potenti in grado di prendere il controllo o riassegnare a proprio vantaggio le risorse idriche a spese dei precedenti utenti locali o degli ecosistemi su cui si basano i loro mezzi di sostentamento. È un fenomeno che va al di là del mero “furto idrico”: esso riguarda il potere di decidere come e per quali scopi le risorse idriche sono utilizzate ora e in futuro.
“L’acqua e le altre risorse naturali non sono semplici fattori di produzione da convertire in prodotti di base. Per molte comunità locali, l’acqua non è non è semplicemente un fattore di produzione, ma costituisce anche la base del loro sostentamento e è profondamente intrecciata alla loro identità sociale e culturale”, spiegano gli autori dello studio “The Global Water Grab”, realizzato dal Transnational Institute, istituto internazionale di ricerca e difesa impegnato sui temi della giustizia, democrazia e sostenibilità.
Il water grabbing è implicato in tutta una serie di attività che abbracciano l’alimentazione, l’energia, il settore minerario e climatico. Dai progetti agricoli e di biocarburanti su larga scala, alle industrie estrattive, agli schemi idroelettrici, alla privatizzazione dei servizi servizi per l’acqua potabile e sanitaria. “Si può quindi parlare di un “accaparramento globale dell’acqua” che – pur essendo radicato nelle realtà locali – si estende oltre i confini nazionali e collega diverse lotte per il controllo per il controllo delle risorse idriche in tutto il Nord e il Sud del mondo”.
Esempi di Water Grabbing
Come avviene il water grabbing? A volte avviene mediante un’appropriazione violenta, a volte invece gli accaparratori fanno un uso distorto della legge. In alcuni casi, la cattura dell’acqua è chiaramente illegale, in palese violazione della legge statale; in altri casi, è “perfettamente legale” anche se non legittima.
In Ghana, per esempio, il fatto che i sistemi di governo della terra e dell’acqua fossero separati e che il coordinamento delle politiche fosse scarso, ha permesso ad alcuni investitori di appropriarsi delle fonti d’acqua per le piantagioni di biocarburanti, ignorando i precedenti utenti locali.
Nella Valle di Ica, in Perù, lo 0,1% degli utenti – potenti agro-esportatori – controlla un terzo dell’acqua totale, mentre i piccoli agricoltori, il 71% degli utenti della valle, hanno accesso solo al 9%.
In quasi tutti i casi, l’accaparramento dell’acqua è in un modo o nell’altro reso possibile dallo Stato: “per svariate ragioni, molti governi e burocrati all’interno delle agenzie governative hanno interessi speciali in grandi investimenti che portano le organizzazioni statali a riformare, piegare o reinterpretare le regole e i regolamenti esistenti che dovrebbero effettivamente prevenire il water grabbing”.
Chi c’è dietro al furto dell’acqua
Dietro agli accaparratori d’acqua spesso ci sono interessi di grandi latifondisti, ma anche di molte imprese. Dallo sfruttamento per uso agricolo alla produzione di energia e per la manifattura si stima che le imprese sono responsabili di oltre il 70% dell’uso e dell’inquinamento dell’acqua, in particolare dai settori alimentare, tessile, energetico, industriale, chimico, farmaceutico e minerario.
Tra i vari interessi al centro del water grabbing c’è l’allevamento, ma anche la produzione di energia. L’idroelettrico è uno dei maggiori indiziati se si pensa l’aumento esponenziale del numero di dighe. Solo per i mega progetti, si è passati dalle 10 mega-dighe nel 1950, alle 305 nel 1995. Nello stesso periodo, il numero totale di grandi dighe è salito alle stelle da 5.000 a 40.000. A livello globale, tra i 40 e gli 80 milioni di persone sono state sfollate a causa delle dighe costruite sulle loro terre.
Un’altra causa è il fracking: spesso dove si effettua si segnala “un cambiamento preoccupante nell’uso dell’acqua”, rileva lo stesso Transnational Institute, “con nuovi accordi che regolano l’accesso e il controllo dell’acqua a favore delle grandi compagnie dell’industria dell’industria del petrolio e del gas”.
La pratica del water grabbing coinvolge anche tutti quegli attori le cui attività e i cui profitti dipendono dal commercio di “acqua virtuale“. Proprio così: oltre all’acqua reale, c’è anche quella acquisita in un Paese e sfruttata in un altro. L’Unione Europea è il più grande “importatore” virtuale di acqua al mondo: lo sottolinea uno studio del Parlamento Europeo in cui si mette in luce il problema dell’acqua che tocca quasi un terzo della popolazione mondiale. Infatti, 2,2 miliardi di persone non hanno servizi di acqua potabile gestiti in sicurezza, mentre 4,2 miliardi non dispongono di servizi igienici gestiti in sicurezza.
Water e land grabbing: due problemi connessi
Il bisogno dell’acqua è intimamente legato a quello della terra. Per questo il fenomeno del water grabbing si unisce al land grabbing. Il controllo della terra da parte di un investitore viene spesso accompagnato da un corrispondente controllo delle risorse idriche. In Mali e in Sudan, per esempio, agli investitori è stato concesso un accesso illimitato a tutta l’acqua di cui hanno bisogno.
Un team di ricercatori dell’Università di Notre Dame, del Politecnico di Milano, dell’Università della California, Berkeley, della Colorado State University, dell’Università del Delaware e dell’Università Vrije di Amsterdam hanno analizzato 160 accordi fondiari fatti tra il 2005 e il 2015 in Europa, Sud America, Africa e Asia per uno studio pubblicato su Nature Communications. I modelli idrologici utilizzati per simulare la coltivazione futura di questi accordi hanno trovato quasi due terzi di questi accordi sono insostenibili.
“Più di 220 milioni di acri di terra nei paesi a medio reddito e in via di sviluppo sono stati acquistati attraverso le acquisizioni di terre su larga scala per aumentare la produzione di colture di base locali e per produrre colture destinate all’esportazione come il grano e quelle che potrebbero essere utilizzate per il biocarburante, come l’olio di palma e la canna da zucchero” segnalano gli studiosi. In tutti i casi lo sfruttamento delle terre va di pari passo a quello idrico.
Guerre e conflitti per l’acqua
La necessità di contare sull’acqua porta a tensioni e conflitti. Secondo il Pacific Institute for Studies in Development, Environment and Security, ci sono state 507 dispute internazionali riguardanti le risorse idriche negli ultimi 50 anni. Solo 37 di queste sono diventate violente, la maggior parte coinvolgendo Israele e i Paesi e territori limitrofi.
Tra i conflitti per l’acqua, va citato quanto accaduto in Nigeria, dove la desertificazione che ha colpito il Lago Ciad ha portato a tensioni tra gli agricoltori e i pastori seminomadi di etnia Fulana per il controllo delle risorse idriche. Nel giugno del 2018 le tensioni si sono tramutate rapidamente in veri atti di guerriglia, già definibili come water conflict, che hanno causato la morte di 86 agricoltori nigeriani. Solo in quell’anno, il conflitto tra pastori e agricoltori ha causato la morte di quasi mille persone.
Ma il conflitto più lungo, legato anche all’acqua, è quello che coinvolge Israele e Palestina. Dal 1948, il controllo delle risorse idriche da parte di Israele è il risultato di azioni militari che hanno costretto all’esilio tra i 700mila e gli 800mila palestinesi. Come mette in luce Orizzonti Politici, israeliani e palestinesi condividono due fonti idriche: il fiume Giordano e la falda acquifera montana, sotto il controllo di Israele. “Gli israeliani consumano in media 280 litri d’acqua giornalieri a persona nei confini dello stato e 350 negli insediamenti nelle zone occupate, i palestinesi solo 70, ben al di sotto della soglia minima di 100 litri giornalieri fissata dall’OMS”.
Azioni per affrontare il water grabbing
I conflitti, che vanno ad aggiungersi alla crescente crisi idrica rappresentano una minaccia per i mezzi di sussistenza, gli ecosistemi e la sicurezza. In risposta a queste minacce è stata fondata nel 2018 la partnership Water, Peace and Security (WPS) per sviluppare strumenti e servizi innovativi che aiutano le parti locali a identificare, comprendere e affrontare i rischi per la sicurezza legati all’acqua. WPS impiega la tecnologia per aumentare la consapevolezza e la comprensione. Ha messo a punto una mappa interattiva, chiamata Global Early Warning Tool che utilizza una metodologia basata sull’Intelligenza Artificiale per prevedere i conflitti nei prossimi 12 mesi. L’obiettivo del Global Tool è quello di aiutare gli attori rilevanti a identificare i punti caldi del conflitto prima che la violenza scoppi e comprendere il contesto locale.
Si è detto del ruolo dell’UE come maggior importatore d’”acqua virtuale” al mondo: per affrontare questa situazione di ineguaglianza il Consiglio dell’Unione europea ha stabilito che i diritti umani all’acqua potabile e ai servizi igienici guideranno il suo impegno internazionale.
L’Assemblea generale ONU dal 2010 ha esplicitamente riconosciuto il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici e ha riconosciuto che l’acqua potabile e i servizi igienici sono essenziali per la realizzazione di tutti i diritti umani. La risoluzione chiede agli Stati e alle organizzazioni internazionali di fornire risorse finanziarie, aiutare la costruzione di capacità e il trasferimento di tecnologia per aiutare i paesi, in particolare i paesi in via di sviluppo, a fornire acqua potabile e servizi igienici sicuri, puliti, accessibili ed economici per tutti.
Andrea Ballocchi