Wise Society : Vuoi conoscere l’Africa vera? C’è una famiglia in Benin che ti aspetta

Vuoi conoscere l’Africa vera? C’è una famiglia in Benin che ti aspetta

di Nicoletta Ripani
21 Luglio 2011

PoveriVoi è un insolito progetto di "aiuto umanitario", che permette a persone italiane di fare un'esperienza di vita presso il villaggio di Doissa, vivendo e lavorando con i suoi abitanti. Per scambiare cultura e conoscenze. Ma anche riscoprire uno stile di vita più umano. A contatto con l'energia vitale e terapeutica del Continente Nero

Tre settimane a stretto contatto con la vera vita in Africa. Non si tratta di una vacanza alternativa, né di un’iniziativa di cooperazione internazionale, bensì un “inserimento temporaneo” presso una famiglia rurale in Benin.

È la proposta di PoveriVoi (poverivoi.org), la prima Ong africana che rivoluziona il concetto di “aiuto umanitario”. PoveriVoi permette, infatti, di essere ospiti di una famiglia, per un periodo minimo di tre settimane, nel villaggio di Doissa, seguendone i ritmi di vita e di lavoro quotidiani. Una sorta di soggiorno studio per ritrovare una dimensione più umana. Un’esigenza forte, qui da noi, vista la grande quantità di richieste per partire ricevute da quando è stato presentato il progetto. «E pensare che PoveriVoi nacque come una provocazione», racconta Beniamino Saibene, direttore di Esterni (www.esterni.org) impresa culturale che dal 1995 progetta spazi pubblici e promuove eventi di aggregazione. «Durante il Milano Film Festival del 2009 ci inventammo una campagna promozionale in cui un immaginario imprenditore tanzaniano, Ronald Samako, colpito dal livello di “disumanizzazione” degli italiani, decideva di creare una Ong con l’obiettivo di ridare speranza a un popolo triste: il nostro. Per impersonare Samako, Esterni coinvolse un amico, Michel Koffi, originario del Benin e presidente della Compagnia Africana, un’associazione artistica e culturale promossa da alcuni intellettuali africani residenti a Milano.

Fu lui a trovare l’idea talmente perfetta da suggerirci di metterla in pratica. «Noi Africani, quando arriviamo in Italia, siamo convinti  di trovare un popolo disponibile, estroverso e gioioso. In realtà scopriamo solitudine, diffidenza, pessimismo. E vediamo troppe persone con problemi di disagio, nonostante il benessere materiale. Quindi ci capita spesso di pensare “poveri voi”,  non sembrate davvero felici», raccconta Koffi.  Così, per realizzare il progetto, chiesero la collaborazione di Stefano Lentati di Fratelli dell’Uomo (fratellidelluomo.org), una Ong aperta ad approcci tradizionali, ma anche a modelli diversi di aiuto al Terzo Mondo. «L’idea ha portato a galla un po’ del mio disagio di cooperante internazionale, un mestiere che faccio da anni con grande passione ma anche, di recente, con un crescente senso di inadeguatezza» ammette  Lentati. «Perché il nostro Paese fa continui passi indietro per quanto riguarda la solidarietà, la distribuzione del reddito, la gestione dei beni comuni, e tutto il resto che abbiamo sotto gli occhi. È evidente che qualche problema di disumanizzazione c’è», continua con ironia e amarezza. «Così quando mi hanno chiesto di occuparmi degli aspetti logistici e progettuali, mi sono sentito lusingato e ho deciso, dopo un confronto interno all’organizzazione, di aderire facendo di PoveriVoi un’iniziativa reale».

Ma quali sono stati i criteri per scegliere il primo candidato? «Occorrevano alcuni requisiti di base e le domande sono state più numerose del previsto. Dopo una serie di colloqui, però, c’è stata una selezione durissima. Soprattutto un’autoselezione naturale fra gli aspiranti “disumanizzati”», continua Lentati. Sì, perché per partire occorre essere fortemente motivati. Il 15 giugno scorso è stata la volta del primo partecipante, Davide Rambaldi, 35 anni, laurea in veterinaria, master in bioinformatica, ricercatore con borsa di studio. Qualche giorno prima della partenza  ha raccontato le ragioni della sua scelta. «La mia non è una fuga, piuttosto la ricerca di una conferma ad alcune sensazioni. Prima fra tutte, quella che il nostro stile di vita europeo ci stia lentamente allontanando dagli altri esseri umani», dice. «Non sono insoddisfatto della mia vita professionale, anzi. Però mi sono accorto che mi “manca” qualcosa. Che non può essere riempito con i mille oggetti di cui ci circondiamo, e a cui attribuiamo valori simbolici e affettivi per sopperire alle nostre mancanze o alle nostre paure. Sento che abbiamo un gran bisogno di liberarci dalla “sicurezza degli oggetti” che non solo è effimera, ma anche irraggiungibile ai più. Meglio legarsi alle persone, i legami sono gratis, e a volte ti tirano fuori dai guai. Sono convinto che la vera lezione verrà dai rapporti umani. Perché quello che agli abitanti di Doissa può sembrare “routine”, per me sarà qualcosa di nuovo che mi potrà arricchire», conclude.

Cosa farà Davide in Benin? «Nel villaggio non avrà un compito preciso, seguirà la vita della famiglia ospitante, con discrezione e rispetto, partecipando allo svolgimento delle faccende quotidiane e al lavoro nel villaggio, che è in un luogo tranquillo, immerso nella natura, dove gli abitanti si dedicano all’agricoltura e all’allevamento» spiega Stefano Lentati. «Il soggiorno deve servire a lui per staccare dalla vita occidentale. E deve servire alla gente di Doissa per conoscere un europeo con cui avere delle relazioni disinteressate, paritarie, di amicizia, non legate a un rapporto gerarchico. Per questo, prima della partenza, abbiamo fatto un corso di formazione sia a lui che alla famiglia africana. Perché c’è il rischio che venga trattato come ospite privilegiato. Invece è importante spiegare a chi accoglie che si deve instaurare un rapporto alla pari, e che la persona che arriva deve essere considerata uno di loro. Sennò l’esperienza non funzionerebbe. Quando Davide rientrerà, alla fine di luglio, ci racconterà come è andata. E la stessa cosa faranno i suoi ospiti. «Sarà importante confrontarsi con lui “dopo la cura”, cioè dopo aver sperimentato le proprietà terapeutiche dell’Africa», conclude Lentati che ancora oggi, dopo 25 anni, dice di sentirsi, ogni volta che torna da quel Continente, una persona migliore.

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