Tradizionale, biologico, biodinamico, naturale. Ormai non è più sufficiente dire soltanto vino per comprendere cosa si versa nel bicchiere. Al di là del vitigno di partenza e del terroir in cui il vigneto è impiantato, a definire il vino sono anche i metodi di coltivazione delle piante e le pratiche enologiche attraverso le quali avviene la vinificazione e si ottiene la bevanda alcolica che da migliaia di anni accompagna la vita dell’uomo.
Vino, una questione (anche) di definizione
Secondo il Regolamento della Comunità Europea n. 491 del 25 maggio 2009 il vino è il prodotto ottenuto esclusivamente dalla fermentazione alcolica totale o parziale di uve fresche, pigiate o no, o di mosti di uve. A disciplinare il vino in Italia è il Testo Unico Vino, ovvero la Legge 12 dicembre 2016, n. 238, che nell’articolo 1 stabilisce che il sistema vino è «un patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale» introducendo anche il concetto di sostenibilità ambientale.
Le tipologie di vino a seconda della lavorazione
Fino a qualche decennio fa non c’era bisogno di alcuna precisazione quando si parlava di vino perché quasi tutto veniva realizzato con pratiche molto simili. Via via che la sensibilità ambientale e le buone pratiche agricole si sono diffuse anche il modo di fare il vino è cambiato. Oggi è necessario fare una distinzione tra vino convenzionale, biologico, biodinamico e naturale. Scopriamo le caratteristiche di ciascuna tipologia.
Vino convenzionale
Il vino convenzionale è prodotto da cantine che coltivano i loro vigneti con l’agricoltura convenzionale, ricorrendo quindi ai prodotti chimici (dai diserbanti ai pesticidi) o a lotta integrata con l’utilizzo della chimica quando necessario, e usano gli additivi in cantina tra cui i solfiti che fungono da disinfettante e stabilizzante.
Vino biologico
Il vino biologico viene prodotto con uve coltivate biologicamente utilizzando in cantina soltanto le pratiche enologiche ammesse dalla legge approvata a marzo 2012 ed entrata in vigore nel mese di agosto dello stesso anno. In cantina sono ammessi ingredienti di origine naturale, siano essi vegetali, animali e microbiologici, inclusi lieviti e batteri. Il regolamento fissa anche il tenore massimo dei solfiti.
Vino biodinamico
Il vino biodinamico viene prodotto da uve coltivate secondo i principi dell’agricoltura biodinamica che prende le mosse dalle teorie dell’antroposofo Rudolf Steiner. Il sovescio della terra, le essenze piantate tra i filari, la distribuzione di preparati (molto contestati dagli scienziati) come il corno letame e il corno silice, la difesa fitosanitaria con l’utilizzo di zolfo e rame entro determinati limiti sono alcuni dei dettami dei principi della coltivazione biodinamica della vite. In cantina i produttori di vini biodinamici non aggiungono starter per la fermentazione e hanno dei limiti molto bassi per l’aggiunta di anidride solforosa. Non essendo la produzione di vino biodinamico normata dalla legislazione italiana, ogni associazione che rilascia certificazioni volontarie, come Demeter e Biodyvin, stabilisce le regole per i propri associati.
Vino naturale
L’ultima categoria è quella del vino naturale. Si tratta, anche in questo caso, di una categoria che non rientra tra quelle normate e fa riferimento ad alcune associazioni alle quali i produttori possono aderire su base volontaria. L’aggettivo naturale connota le pratiche in vigna, dove è vietato l’utilizzo di pesticidi e prodotti chimici e si fa la raccolta a mano. In cantina ci si affida alla fermentazione spontanea e si riduce al massimo l’aggiunta dei solfiti.
Mariella Caruso