L'Onu ha dichiarato il 20 marzo Giornata Internazionale della Felicità. Al di là delle facili ironie che la sola osservazione della realtà potrebbe suscitare, potrebbe essere una buona occasione per cogliere i tratti comuni dietro ai movimenti di pensiero che si sono affermati negli ultimi anni
Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 20 marzo Giornata Internazionale della Felicità. Può suonare strano e ispirare battute ciniche e ironiche, primo perché di certo benessere e felicità non funzionano a comando, secondo perché oggi grandi motivi per essere felici sembra che non ce ne siano tra crisi economica, instabilità politica e casi di cronaca non proprio edificanti. Eppure per l’Onu ogni giorno c’è qualcosa da celebrare, dalla giornata della poesia a quella dell’acqua (venerdì e sabato prossimi), da quella della Terra a quella della lentezza, senza dimenticare la giustizia sociale. Feste che vanno prese per quello che sono, occasioni per fermarci a riflettere su un tema magari adottando per un giorno una prospettiva diversa.
A istituire la giornata mondiale della felicità è stata, con l’accordo dei 193 Stati membri, l’Assemblea generale dell’Onu giustificandola così: “Un cambiamento profondo di mentalità è in atto in tutto il mondo: le persone riconoscono che il progresso non dovrebbe portare solo crescita economica a tutti i costi, ma anche benessere e felicita”. E ancora: “Felicità è aiutare gli altri, quando con le nostre azioni contribuiamo al bene comune noi stessi ci arricchiamo. È la solidarietà che promuove la felicità”. E non poteva mancare anche in questo caso il report con tanto di classifica: secondo il World Happiness Report, il primo rapporto globale sulla felicità, che ha valutato 150 Paesi, negli ultimi 30 anni il mondo sarebbe diventato un po’ più felice (il grado di felicità globale è aumentato dello 0,14 per cento); risultato abbastanza discutibile. I Paesi in cui il senso di benessere generale è più diffuso sono Danimarca, Finlandia, Norvegia e Paesi Bassi; questa non è una novità dato l’alto livello qualitativo del welfare che però non ha impedito a questi stessi Paesi di diventare famosi anche per l’alto numero di suicidi. Per l’Italia un ventottesimo posto, due gradini sopra la Germania; ma facìteme ‘o piacere, direbbe qualcuno.
L’unica considerazione che viene da fare è che in effetti la consapevolezza della necessaria condivisione dei beni è cresciuta di pari passo con quella della necessità di ripensare un sistema economico, finanziario, produttivo e sociale che ha dimostrato di non essere sostenibile. Lo dimostra il successo della teoria economica della decrescita, portata avanti da Serge Latouche in primis, dove progresso e crescita come fattori propulsori di sviluppo vengono sostituiti dalla scelta di uno stile di vita più sobrio, attento alle esigenze del pianeta e della collettività, lungimirante ed essenziale. Riduzione degli sprechi, comportamenti d’acquisto più consapevoli e, perché no, riscoperta dei piccoli piaceri quotidiani.
Qualcuno vedrà nell’elezione del nuovo Papa, che per nome ha scelto un simbolo di povertà, un segnale in questa direzione. Qualcun altro preferirà seguire altre vie spirituali, partendo dal buddismo e incrociando le teorie della fisica quantistica e quelle più recenti del pensiero positivo. Quest’ultimo, lungi dall’essere una collezione di facili formule, è una teoria con basi economiche e scientifiche cui si sono dedicati diversi specialisti a livello internazionale (molti di loro saranno presenti al Positive Business Forum a Milano il 27 e 28 marzo). Il minimo comune multiplo di queste teorie così come delle tecniche di yoga e meditazione è la valorizzazione del potere di cambiare la realtà insito nella nostra mente.
Diversi gli eventi per celebrare la giornata in tutto il mondo, elencati sul sito www.dayofhappiness.net. ”Free hugs”, abbracci liberi a Washington, a Londra ”messaggi positivi” alla Liverpool Street Station e lezioni di yoga della risata in Parliament Square, di fronte alla statua di Nelson Mandela, mentre a Bruxelles si promuove la felicità sul posto di lavoro.