Wise Society : Clima, energia, diritti, inclusione: cosa ha fatto Trump nei suoi primi giorni da Presidente

Clima, energia, diritti, inclusione: cosa ha fatto Trump nei suoi primi giorni da Presidente

di Valentina Neri
27 Gennaio 2025

Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato con una raffica di ordini esecutivi che entrano nel merito di fondamentali questioni ambientali e sociali

Forte di quello che può essere descritto – senza prova di smentita – come un trionfo elettorale, il 20 gennaio Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca. Per dare un forte segnale di discontinuità rispetto al suo predecessore, il democratico Joe Biden, già nel suo primo giorno da presidente ha firmato una cinquantina di ordini esecutivi sui temi più svariati, compresi quelli che su Wise Society seguiamo più da vicino: clima, energia, diritti, salute, inclusione e non solo.

Donald Trump

Foto di Library of Congress su Unsplash

Prima di cominciare: cos’è un ordine esecutivo

Prima di ripercorrere le iniziative di Trump, è utile una precisazione. Un ordine esecutivo è un provvedimento che ha effetto immediato, senza dover sottostare al voto del Congresso. Da sempre i presidenti degli Stati Uniti ne fanno largo uso, anche per annullare quelli “ereditati” da chi li ha preceduti e trasmettere il proprio indirizzo politico.

A tutela della democrazia, esistono però dei limiti strutturali – un ordine esecutivo ad esempio non può contraddire né violare la Costituzione – ed esiste la possibilità, per il Congresso, di intervenire successivamente per renderne più complicata l’attuazione.

Questa premessa per chiarire che Donald Trump ha voluto dichiarare immediatamente le proprie priorità e avrà la forza politica per portarle avanti (con la maggioranza sia alla Camera sia al Senato). Quando però entrano in gioco questioni complesse, e bisogna per esempio smantellare un corpus normativo esistente, l’iter è più articolato.

L’uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima

Donald Trump aveva già ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, il più importante documento d’intesa internazionale che sancisce obiettivi precisi di contrasto al riscaldamento globale. Era il 1° giugno 2017. L’articolo 28 del testo, però, prevede che un Paese firmatario possa uscirne solo tre anni dopo la sua entrata in vigore; e che la denuncia abbia effetto un anno dopo la notifica. A conti fatti, dunque, l’assenza degli Stati Uniti era stata pressoché ininfluente, visto che Joe Biden aveva immediatamente avviato l’iter di rientro nel suo primo giorno da presidente, a gennaio 2021.

Quattro anni dopo, Trump ribadisce la sua posizione: via dall’Accordo di Parigi. Stavolta i mesi di attesa sono soltanto 12. È plausibile che ci sia comunque una delegazione statunitense alla Cop30 sul clima che si terrà a novembre a Belém, in Amazzonia, ma con un ruolo negoziale ridotto all’osso. Come tutti gli altri Stati firmatari, anche gli Stati Uniti hanno presentato le proprie promesse di riduzione delle emissioni: allo scadere del suo mandato, l’amministrazione democratica le ha aggiornate con orizzonte al 2035. Tutto fa pensare che non saranno rispettate; in tal caso, però, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) non ha alcun potere sanzionatorio.

“Drill, baby, drill”: stop all’eolico, largo a gas e petrolio

Tenendo fede a “drill, baby, drill”, uno degli slogan della sua campagna elettorale, Donald Trump ha dichiarato un’emergenza energetica nazionale. In realtà, con quasi 14 milioni di barili al giorno, gli Stati Uniti producono un quantitativo di petrolio enormemente superiore rispetto a qualsiasi altro Paese al mondo, tant’è che gli operatori prevedono un calo dei prezzi dovuto alla sovrapproduzione. Ma, nelle intenzioni di Trump, questa mossa è funzionale a sospendere alcune regolamentazioni ambientali per lasciare campo libero alle trivellazioni alla ricerca di combustibili fossili, in modo tale da dimezzare i prezzi delle bollette per i cittadini – una prospettiva che gli analisti ritengono improbabile, perché eroderebbe del tutto i margini delle compagnie petrolifere.

Parallelamente, un altro ordine esecutivo sospende temporaneamente le licenze per i nuovi impianti eolici offshore. Sferrando così un duro colpo a una fonte di energia a basso costo che finora ha visto una crescita molto rapida negli Stati Uniti, ma che Donald Trump descrive come “spazzatura”, affermando anche – senza prove – che le turbine in mare causino la morte delle balene. Stando al dipartimento statunitense per l’Energia, nel 2022 l’eolico ha generato elettricità a sufficienza per oltre 43 milioni di case, dando lavoro a 125mila persone.

Persone che si stringono la mano di fronte impianto petrolifero

Foto Shutterstock

Lo stop al sostegno pubblico per le auto elettriche

Nell’ordine esecutivo intitolato “Liberare il potenziale energetico americano”, il neo-eletto presidente elimina la cosiddetta imposizione (mandate) dei veicoli elettrici. Anche in questo caso, è bene fare chiarezza. A differenza dell’Unione europea, che ha imposto il divieto di vendita di auto nuove a benzina o diesel entro il 2035, negli Stati Uniti era in vigore soltanto un obiettivo non vincolante per cui i veicoli elettrici sarebbero dovuti arrivare al 50% delle vendite entro la fine di questo decennio. Gli unici divieti veri e propri sono quelli che nove Stati – tra cui California, New Jersey, Oregon – hanno approvato limitatamente al proprio territorio.

Per spronare l’elettrificazione della mobilità, l’amministrazione Biden aveva lanciato importanti investimenti nella costruzione di una rete capillare di colonnine di ricarica; un programma che ora Trump intende fermare, per dirottare le risorse verso la costruzione di ponti, strade e dighe. Alcuni esperti fanno però notare come questi investimenti fossero stati approvati dal Congresso: pertanto, ci vuole il via libera del Congresso per cancellarli. Vale lo stesso discorso per la promessa di azzerare gli incentivi fiscali, incluso il credito d’imposta da 7.500 dollari per chi acquista un’auto elettrica: al momento è soltanto una dichiarazione.

Auto elettrica

Foto Shutterstock

Gli Usa si ritirano dall’Organizzazione mondiale della sanità

Dopo averla attaccata per anni per la gestione della pandemia, per la mancanza di riforme e per gli oneri finanziari eccessivi che imponeva sugli Stati Uniti (inferiori a quelli previsti per la Cina), Donald Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Una manovra che aveva già tentato nel 2020, senza però avere il tempo di portarla a termine. I conservatori, in particolare, non vedono di buon occhio i lavori per un piano globale di prevenzione delle pandemie, ad oggi non ancora sfociati in un trattato formale.

Anche in questo caso l’ordine esecutivo non ha effetto immediato, perché serve un anno di preavviso, durante il quale gli Stati Uniti sono comunque tenuti a pagare regolarmente la loro quota. Questa decisione rischia di mettere fortemente in difficoltà l’Oms, visto che gli Stati Uniti sono di gran lunga il suo primo finanziatore: nel biennio 2022-23 hanno stanziato circa 1,2 miliardi di dollari su un totale di oltre 6 miliardi. Soldi che vengono investiti anche per le campagne vaccinali e il contrasto alle epidemie nei Paesi economicamente più vulnerabili.

Oltretutto, una parte fondamentale del lavoro dell’Organizzazione mondiale della sanità consiste nella raccolta di dati da tutto il mondo, funzionale a elaborare linee guida e strategie d’azione. Un’altra attività che rischia di essere pesantemente compromessa dall’assenza degli Stati Uniti.

La fine dei programmi di diversità, equità e inclusione

Tra le vittime delle iniziative di Donald Trump ci sono anche i programmi per la diversità, equità e inclusione (noti con l’acronimo Dei) adottati dagli uffici e dalle agenzie che fanno capo al governo federale. Tutti i funzionari che se ne occupavano sono stati messi in congedo e diffidati dal portare avanti tali iniziative sotto altre forme. L’Ufficio di gestione del personale degli Stati Uniti ha ordinato anche la chiusura di siti internet e pagine social che informavano su questi temi.

Tali iniziative, nate per rendere più consapevoli, inclusivi e rispettosi gli ambienti di lavoro, da anni sono sotto il fuoco incrociato dei Repubblicani. L’accusa è quella di essere espressione di un’ideologia “woke”, una sorta di moralismo estremista che danneggia i valori americani e la meritocrazia. Chiaramente le aziende private restano libere di regolarsi come preferiscono. Negli ultimi mesi però si è assistito a una sorta di fuga da parte di brand del calibro di Ford, John Deere, Harley Davidson, Boeing e, più di recente, Meta, McDonald’s, Costco, Target.

Valentina Neri

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