Wise Society : Smart working: panacea o insidia per l’equilibrio psicologico?

Smart working: panacea o insidia per l’equilibrio psicologico?

di Marzia S. Terragni*
16 Settembre 2020

I vantaggi del lavoro agile sono molti e comprovati. E dopo il lockdown sono ancora in tanti a non voler tornare alla scrivania. Ma non è tutto oro quello che luccica. Il punto della psicologa

È di poche settimane fa la notizia delle centinaia di richieste di insegnanti per non tornare al lavoro a fronte di fragilità personali (dovute a condizioni sanitarie patologiche pregresse) che potessero, a loro dire, metterne a rischio la salute. Oggi la scuola è iniziata – ogni istituto organizzando in autonomia i tempi della didattica in presenza e a distanza – anche se mancano gli insegnanti di sostegno, e nonostante le quasi 85.000 nuove assunzioni.

Ma la ripresa lavorativa non è un problema che concerne solo la scuola. Sono tante le aziende che continuano a scegliere il lavoro agile per i propri dipendenti e, parimenti, i dipendenti che lo chiedono, sottraendosi così, non solo al rischio Covid-19, ma anche ai tempi e ai costi degli spostamenti per recarsi in ufficio e, aspetto sicuramente più preoccupante da un punto di vista psicologico, alla relazione e al confronto con l’altro.

Smart working tra vantaggi oggettivi e possibili problemi a livello relazionale

Vero è che lo smart working consente una più semplice organizzazione familiare e domestica, ma in molti casi porta a spezzettare le attività, intervallando conference call e lavatrici e a diluire il lavoro durante tutta la giornata, finendo per spingere le persone a controllare mail e pc ben oltre l’orario “canonico”.

Il vissuto così, alla “resa dei conti” serale, è spesso quello di “aver lavorato il doppio” e non sempre quello di essere stati sufficientemente produttivi, proprio a causa del fatto di non aver saputo/potuto mantenere concentrazione e focus.

E il tutto a patto che il lavoro da casa non torni a coincidere con la chiusura delle scuole e la didattica a distanza, perché in quel caso la possibilità di concentrarsi si dimezza ulteriormente, dietro le necessità dei figli ed i problemi di connessione.

smart working

Foto: Allie Smith / Unsplash

Non si deve peraltro neppure sottovalutare l’impatto positivo che ha, nella quotidianità lavorativa, lo scambio con i colleghi. E non solo il confronto sui progetti e le attività, ma anche quello (apparentemente) più futile dato dalla battuta che alleggerisce un momento di tensione, della pausa caffè vissuta come una boccata d’ossigeno, dalla chiacchierata libera durante la mensa. Al di là dell’avere la fortuna di trovarsi all’interno di un gruppo in cui ci si sente ben accolti e a proprio agio, anche in ambienti lavorativi più ostici in realtà, la relazione con i colleghi apporta comunque un arricchimento; se non in termini di benessere percepito (in quanto a divertimento e conforto), almeno in termini di aumento della creatività e del problem solving.

Se il lavoro agile compromette le capacità empatiche delle persone

Lo scenario che si sta dipingendo in questi ultimi mesi invece rischia seriamente di compromettere tale possibilità di contatto e confronto, amplificando gli aspetti fobici delle persone e favorendone l’isolamento.

psicologa

Marzia Terragni, psicologa, psicoterapeuta familiare ed esperta in Mindfulness.

Una vera e propria Sindrome della capanna dove l’isolamento può traslare dall’essere imposto all’essere ricercato; per fattori psicologici che subentrano, in parte, anche a prescindere dal timore di contrarre il virus. E lo scenario italiano non è al momento tra quelli che suscitano maggiore preoccupazione in tal senso, se si pensa alla situazione londinese dove si parla di una riduzione dell’utilizzo dei mezzi pubblici del 70% e addirittura di una ripresa delle “normali” attività lavorative del 20%!

Non è difficile comprendere le ripercussioni economiche di un tale cambiamento organizzativo, ma non si devono sottovalutare neppure le conseguenze psicologico-relazionali che potrebbero portare, da un lato ad un importante incremento in termini di patologie ansioso-depressive, ma da un altro anche a compromissioni nelle capacità empatiche e cooperative: se l’altro finisce con l’essere un individuo indefinito dietro uno schermo, infatti, diventa molto più difficile attribuirgli sentimenti ed emozioni ed entrarci in contatto davvero.

Non dimentichiamo che, fin dalla più precoce età, l’attivazione dei “neuroni specchio passa attraverso il contatto visivo con chi abbiamo di fronte e questo sviluppa la capacità di “sentire” quello che prova l’altro. Ed è uno step imprescindibile per lo sviluppo a sua volta dell’altruismo e della costruzione così di una società che si sostiene e collabora per qualcosa che vada al di là del benessere individuale.

*Marzia S. Terragni, psicologa, psicoterapeuta familiare ed esperta in Mindfulness

Instagram: psicoterapeutamarzia

 

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