Ebbene sì, siamo nell’era dell’acquisto compulsivo. Ce lo conferma il nuovo film di Patagonia Film, dell’omonimo e noto brand di abbigliamento tecnico sportivo. 45 minuti di docufilm dal piglio provocatorio svelano il disastro che c’è dietro la fast fashion. Un’analisi che cerca di capire perché compriamo di continuo oggetti inutili e precari e come questa abitudine potrebbe distruggerci
Intitolato molto esplicitamente ‘The Shitthropocene. Welcome to the Age of Cheap Crap’, l’ultimo film di Patagonia è un viaggio che ci racconta come siamo diventati vittime dei nostri impulsi consumistici e di come il nostro sistema nervoso centrale sia plasmato dal capitalismo. Ma non solo, il documentario indica anche una strada per salvarci da noi stessi. Si tratta di una sorta di esplorazione antropologica, condita con un po’ di umorismo e molte provocazioni, sulle principali abitudini di consumo che ognuno di noi ha e svela come continuare a comprare “schifezze” potrebbe portarci alla distruzione.
Proiettato nei negozi Patagonia in Usa ed Europa e disponibile sul sito web dell’azienda e su YouTube, questo documentario arricchisce la collana di video longform con cui l’azienda di abbigliamento, che ha fatto della riparabilità dei suoi capi e della qualità delle materie prime un pilastro del modello di business, continua a esplorare speranze e disperazioni del XXI secolo.
Di cosa parla Shitthropocene, il nuovo docufilm di Patagonia
Si tratta di un film ben lontano dal bucolico e precedente “The high life”, incentrato sulla vita familiare in un rifugio a 2800 m di altitudine e da “Rotpunkt”, un classico dell’arrampicata, o anche da “Artifishial”, un’avvincente indagine sugli allevamenti di salmoni, anch’essa uscita dagli studi Patagonia. Questa volta, il marchio ha adottato un tono molto anticonformista per divulgare concetti che potrebbero essere ancora sconosciuti al grande pubblico.
In termini tecnici possiamo dire che si tratta di un’azione di “reflective marketing”, ovvero un marketing riflessivo che cerca di indurre ad acquisti più consapevoli, una strategia che il marchio impiega da decenni. Il film spiega attraverso l’intervento di esperti come siamo diventati consumatori di massa e di come spesso le aziende cercando di “ripulirsi” l’immagine con campagne di greenwashing. Jenna Johnson, presidente di Patagonia, ha spiegato in un’intervista che la scelta di un racconto satirico è stata dettata dalla volontà di “coinvolgere le persone in questa conversazione per educarle, ma educarle in un modo che le persone potessero effettivamente comprendere”.
Perché acquistiamo in modo compulsivo?
In sintesi, possiamo dire che il messaggio del documentario è uno: “less is more”, (meno è meglio), ovvero il famoso concetto dell’architetto minimalista Mies van der Rohe. Un claim che oggi, più che mai, si dovrebbe applicare anche ai consumi e agli acquisti quotidiani.
Patagonia, il cui fondatore, Yvon Chouinard, ha deciso di cedere interamente la sua azienda, oggi valutata circa 3 miliardi di dollari, a Holdfast Collective, un’associazione no profit impegnata nella lotta al cambiamento climatico e nella protezione delle terre vergini che, proprio quest’anno, ha lanciato una campagna contro gli acquisti compulsivi e trash. E lo ha fatto anche con questo film, con l’intento di invitare a riflettere su quanto inquiniamo continuando a comprare oggetti di poco valore, che magari non ci servono davvero, per pochi soldi. Secondo gli esperti di neuro marketing consultati per girare il documentario, l’acquisto compulsivo è un’azione che ci fa sentire bene nell’immediato perché crediamo di fare un affare, ma la verità è che, probabilmente, gli oggetti che compriamo per pochi euro senza rifletterci troppo potrebbero finire in pattumiera senza difficoltà. E questo oggi è un lusso che non ci possiamo più permettere.
Shitthropocene, una storia di resilienza e lotta contro il greenwashing
E dato che Patagonia dichiara di essere u business nato per salvare il pianeta, nel documentario non poteva che mettere in gioco anche se stessa raccontando un caso di “fallimento” aziendale. Un prodotto per la pesca che in realtà si è rivelato drammaticamente difettoso: una tuta per la pesca fluviale i cui tessuti non erano in grado di isolare al 100 per 100 dall’acqua. Un problema apparentemente senza soluzione che avrebbe implicato il macero dell’intera produzione, perché invendibile. Un bel danno anche all’ambiente di cui Patagonia, ovviamente, non poteva macchiarsi e per questo si impegna al massimo per trovare una soluzione. E ci riesce.
C’è da ricordare che Patagonia, pur essendo un marchio decisamente lungimirante, produce ancora molti capi di abbigliamento ogni anno e per questo. come molte aziende a lei affini, è alle prese con l’inquinamento delle microplastiche provenienti dalla lavorazione dei suoi prodotti. Un lavoro quotidiano e constante per affrontare gli errori, “tornare sempre indietro per rimediare, fare meglio e trovare delle soluzioni ottimali”, ha detto Johnson.
Se vuoi vedere Shitthropocene in versione integrale puoi andare su Youtube, dove potrai guardare il documentario in modalità totalmente gratuita. Per comodità ti abbiamo messo il video qui sotto
Elisabetta Pina