Lo rivela il secondo rapporto realizzato dall’Osservatorio povertà educativa #conibambini-Openpolis: un problema che non riguarda solo la sfera dei diritti, seppur importante, ma anche il tema dello sviluppo del Paese.
In Italia, a fronte di una platea potenziale di 1,5 milioni di bambini, sono circa 350mila i posti disponibili tra asili nido (90 per cento) e servizi integrativi (10 per cento). Lo rivela il secondo rapporto sulla povertà educativa minorile in Italia, «Scuole e asili per ricucire il Paese», realizzato dall’Osservatorio povertà educativa #conibambini-Openpolis. «Abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sulla presenza e accessibilità dei servizi per i minori nel nostro Paese», spiega Carlo Borgomeo, presidente dell’impresa sociale «Con i bambini», secondo il quale «aggredire in modo puntuale e organico il fenomeno della povertà educativa minorile non riguarda solo la sfera dei diritti, seppur importante, ma anche il tema dello sviluppo del Paese».
BAMBINI POVERI: QUATTRO VOLTE IN PIU’ RISPETTO A DIECI ANNI FA – Nel senso comune, è diffusa la consapevolezza di quanto sia aumentato il numero di poveri in Italia nel corso dell’ultimo decennio. È molto meno diffusa invece la cognizione di quanto l’aumento della povertà abbia colpito soprattutto i bambini e gli adolescenti. Sono proprio i minori di 18 anni la fascia d’età dove l’incidenza della povertà assoluta è maggiore. Nel 2005 era assolutamente povero il 3,9 per cento dei minori di 18 anni. Un decennio dopo la percentuale di bambini e adolescenti in povertà è triplicata, e attualmente supera il 12 per cento. Oggi sono i bambini e gli adolescenti i più poveri. L’Italia ha quindi un enorme problema con la povertà minorile e giovanile da affrontare. E non riguarda solo la condizione economica attuale. Riguarda soprattutto la possibilità di migliorarla nel futuro. La possibilità, anche per chi nasce in una famiglia povera, di avere a disposizione gli strumenti per sottrarsi da adulto alla marginalità sociale.
LE FAMIGLIE PIU’ POVERE SONO ANCHE QUELLE MENO ISTRUITE – Il risvolto del problema è soprattutto educativo. Le famiglie più povere sono generalmente quelle con minore scolarizzazione. L’incidenza della povertà assoluta è infatti più che doppia nei nuclei familiari dove la persona di riferimento non ha il diploma. Rispetto a tale tendenza, una specificità italiana è che i figli tendono a mantenere lo stesso livello di istruzione dei genitori più spesso della media Ocse. La dinamica innescata da questi fenomeni è pericolosa, perché tende a riprodurre le disuguaglianze e a inibire la mobilità intergenerazionale. Come in un circolo vizioso, chi nasce in una famiglia già povera avrà a disposizione meno strumenti per riscattarsi in futuro da una condizione di marginalità sociale
ANCORA POCHI ASILI NIDO – L’Unione Europea nel 2002 ha stabilito come obiettivo per gli stati membri di arrivare almeno a 33 posti in asili nido o servizi prima infanzia per i bambini con meno di tre anni. Rispetto a questo obiettivo l’Italia è ancora indietro. Per decenni, si legge nel rapporto, l’asilo nido è stato considerato solo nella sua funzione sociale di assistenza alla famiglia. «È una acquisizione più recente il suo ruolo educativo: è infatti nella primissima infanzia che si gettano le basi di tutti gli apprendimenti futuri del bambino. Perciò il contrasto alla povertà educativa non può prescindere dall’estensione di questo servizio». Sulla copertura degli asili nido incide un vistoso calo della popolazione tra 0 e 2 anni (-16,70% di bambini con meno di tre anni tra 2011 al 2018). Il rischio è che il calo demografico induca a pensare che l’Italia non abbia un problema con la copertura del servizio, e che le attuali carenze si possano risolvere per inerzia, senza bisogno di estendere l’offerta. Non è così, come segnalato anche nell’ultimo rapporto di monitoraggio del dipartimento per la famiglia.
I MAGGIORI DISAGI NELL’ENTROTERRA – Le disuguaglianze educative e economiche spesso si sommano ad altre di tipo territoriale, come può avvenire nelle aree interne. Il problema maggiore dei comuni che si trovano in queste zone è la scarsità dei servizi sul territorio e la difficoltà di raggiungere i centri in cui sono presenti. Distanza e carenza di servizi hanno condannato le aree interne a una progressiva marginalità, a partire dalla metà del secolo scorso. Se si isola la tendenza demografica dei soli giovani in età per andare a scuola (6-18 anni), ci si accorge di una profonda disparità tra i centri e le aree più periferiche del paese. Nelle aree interne il ruolo della scuola è importante anche come fattore di coesione territoriale. Allo stesso tempo, per ragioni che chiamano in causa la marginalità di queste zone, l’offerta educativa può risultare compromessa. L’elevata mobilità degli insegnanti, in primo luogo, che fa venir meno la continuità didattica per le ragazze e i ragazzi. Strutture sottodimensionate o difficilmente raggiungibili e più in generale difficoltà di accedere a scuole dove i livelli di apprendimento e la qualità educativa sono equivalenti a quelle dei centri maggiori. Ciò comporta la difficoltà per gli istituti nelle aree interne di essere attrattivi, come si osserva mettendo in relazione il numero di alunni che frequentano la scuola in un comune con i residenti della stessa fascia d’età in quel comune.
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