Per la prima volta nella storia, il Papa è statunitense e agostiniano: la biografia e le idee di Leone XIV, nato Robert Francis Prevost
A partire dal tardo pomeriggio di giovedì 8 maggio, la Chiesa cattolica ha di nuovo un Papa. Il primo nella storia che sia nato negli Stati Uniti. Il successore di Francesco è Robert Francis Prevost che, per il suo pontificato, ha scelto il nome di Leone XIV.

Foto Edgar Beltrán / The Pillar, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Biografia di Robert Francis Prevost
Robert Francis Prevost compirà settant’anni il prossimo 14 settembre. Si è laureato in Matematica e diplomato in Filosofia a Philadelphia, per poi conseguire un dottorato in diritto canonico a Roma.
Pur essendo nato a Chicago, è considerato “il meno statunitense” tra suoi connazionali cardinali, avendo trascorso buona parte della sua vita all’estero. In particolare, ha vissuto per diversi anni in Perù, prima come missionario e in seguito come priore di comunità, parroco e poi vescovo. Ha la doppia cittadinanza, statunitense e peruviana; significativa anche la scelta di intervallare il suo discorso di insediamento, tenuto (come da prassi) in italiano, con alcune frasi in spagnolo e non in inglese. Parla anche francese e portoghese e sa leggere latino e tedesco.
Come lui stesso ci ha tenuto a sottolineare, è un agostiniano: mai prima d’ora un Papa era stato un esponente di questo ordine, ispirato ai princìpi di vita comunitaria scritti da Agostino d’Ippona. È stato alla guida dell’Ordine di Sant’Agostino – con la carica di priore generale – per due mandati, dal 2001 al 2013. Era molto vicino a Papa Francesco: è stato lui a nominarlo prima vescovo, nel 2014, e poi cardinale, nel 2023. E proprio in qualità di cardinale elettore ha partecipato al Conclave da cui, dopo appena quattro scrutini, è stato eletto Papa.
Habemus papam: le prime scelte del Pontefice
Non è facile inquadrare un nuovo papa all’indomani dell’elezione. Partiamo allora dalla scelta del nome per arrivare alle posizioni del nuovo pontefice sui grandi temi della nostra attualità per cercare di capire quale sarà la natura del suo papato.
Perché ha scelto il nome Leone XIV
Il primo atto con cui un Pontefice esprime il proprio orientamento è la scelta del nome. Jorge Mario Bergoglio, in questo senso, aveva lanciato un messaggio potente adottando – per la prima volta nella storia – il nome di San Francesco, il santo che si prendeva cura degli ultimi e che credeva nell’armonia con il Creato. Non è altrettanto immediato interpretare un nome come Leone XIV. In un primo momento qualcuno aveva ipotizzato un riferimento a Leone, discepolo proprio di San Francesco, ma è stato in seguito Prevost – durante un incontro con i cardinali – a spiegare la vera ragione della sua scelta.
Il precedente Papa ad aver preso il nome di Leone, vale a dire Vincenzo Gioacchino Pecci tra il 1878 e il 1903, era convinto che la Chiesa dovesse dialogare con le sfide del suo tempo. La sua enciclica Rerum novarum, pubblicata nel 1891, è considerata il testo fondativo della moderna dottrina sociale cristiana. Fu un testo pionieristico in cui la Chiesa, condannando gli eccessi tanto del socialismo quanto del capitalismo, difendeva i diritti fondamentali degli operai. A un secolo e mezzo di distanza, spiega il Pontefice,
“la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di Dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.
Il primo discorso di Papa Leone XIV
Le parole con cui Papa Leone XVI si è presentato alla folla che lo attendeva incredula a San Pietro hanno un sapore programmatico. “La pace sia con voi!”, ha esordito, visibilmente emozionato.
“Fratelli, sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel nostro cuore, le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi”.
Una presa di posizione che è connaturata all’identità della Chiesa ma risulta comunque tutt’altro che banale in un momento in cui la Palestina è pressoché rasa al suolo insieme al suo popolo e addirittura il funerale di Papa Francesco diventa teatro di un confronto sulla guerra in Ucraina. Così come, mentre l’Europa investe centinaia di miliardi nel riarmo, non è banale invocare “una pace disarmata e una pace disarmante”.
Leone XIV è tornato sul tema durante il suo primo Regina Caeli, pronunciato domenica 11 maggio non dalla finestra del Palazzo apostolico – come accadeva di consueto – bensì dalla Loggia centrale di San Pietro, la stessa dell’Habemus papam. Ed è stato ancora più specifico, dichiarando di portare “nel cuore le sofferenze dell’amato popolo ucraino”. Ha continuato: “Si faccia il possibile per giungere al più presto a una pace autentica, giusta e duratura. Siano liberati tutti i prigionieri e i bambini possano tornare alle proprie famiglie”. Ha fatto poi appello per un immediato cessate il fuoco nella Striscia di Gaza, accompagnato dal ripristino del soccorso umanitario per la “stremata popolazione civile” e la liberazione di tutti gli ostaggi.
Anche i giornalisti hanno una responsabilità in tal senso, ha ricordato nel suo primo incontro con la stampa.
“Una comunicazione disarmata e disarmante ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana. Voi siete in prima linea nel narrare i conflitti e le speranze di pace, le situazioni di ingiustizia e di povertà, e il lavoro silenzioso di tanti per un mondo migliore. Per questo vi chiedo di scegliere con consapevolezza e coraggio la strada di una comunicazione di pace”,
ha detto. Anche i giornalisti – sostiene – sono operatori di pace e per questo motivo sono tenuti a “respingere il paradigma della guerra”, anche attraverso una scelta oculata di parole e immagini.
Cosa sappiamo delle posizioni di Papa Leone XIV
Nelle ore immediatamente successive all’annuncio, giornali e osservatori si sono affrettati a interpretare le posizioni del nuovo Papa sui grandi temi del presente. Ambiti in cui la Chiesa cattolica, pur non potendo intervenire direttamente, esercita almeno una forma di moral suasion. Non è così semplice: gli stretti collaboratori di Prevost lo descrivono come una persona pacata che non si sbilancia facilmente.
La dedizione nei confronti di poveri e migranti
Un suo profilo pubblicato dal New York Times nei giorni del conclave sottolinea come Leone XVI sia in forte continuità con Francesco per la dedizione nei confronti di poveri e migranti. Un leader della Chiesa, ha dichiarato lui stesso, è “chiamato autenticamente a essere umile, vicino al popolo che serve, a camminare con lui, a soffrire con lui”. Un’attitudine che evidentemente è figlia anche del suo passato come missionario.
Sono temi che infiammano il dibattito politico – e anche questa circostanza non ha fatto eccezione. Anche per via di alcuni tweet di un account apparentemente riconducibile a Prevost, le sue posizioni sono apparse incompatibili con quelle dell’attuale amministrazione statunitense. In particolare, l’allora cardinale avrebbe apertamente criticato il vicepresidente JD Vance. Indizi che non hanno fatto piacere al movimento Maga, costituito dai sostenitori di Donald Trump.
La chiusura nei confronti della comunità Lgbtqia+
Finora Prevost ha espresso posizioni molto più conservatrici sui diritti delle persone Lgbtqia+ e sul loro eventuale coinvolgimento nella vita della Chiesa. Ha stigmatizzato in più occasioni le cosiddette “famiglie alternative” e la presunta “promozione dell’ideologia gender”. Ricalcando, peraltro, la visione del suo predecessore.
È vero infatti che Papa Francesco, pochi mesi dopo la sua elezione, aveva stupito tutti dicendo: “Se una persona è gay e accetta Dio e ha buona volontà, chi sono io per giudicare?”. Ma è vero anche che aveva anche respinto l’ipotesi di accogliere le persone omosessuali nella vita consacrata. Così come aveva aperto alla benedizione delle coppie di fatto e dello stesso sesso, salvo poi ribadire che il matrimonio è solo tra uomo e donna.
Stando ad alcune frasi riportate dai mass media, Leone XIV appare ancora più rigido su queste tematiche: va comunque detto che spesso sono dichiarazioni vecchie di anni o addirittura di decenni.
Le donne nella Chiesa e l’aborto
Da vescovo di Chicayo, in Perù, Prevost ha attribuito maggiori responsabilità alle donne laiche. Nei prossimi anni senza dubbio si dovrà scontrare con un altro dei grandi interrogativi all’ordine del giorno per la Chiesa, quello sull’estensione dell’ordinazione sacerdotale alle donne. Da cardinale, ha criticato tale ipotesi. Nel 2023, come delegato a un’assemblea globale di vescovi convocata da San Francesco, ha detto che “clericalizzare le donne” non avrebbe necessariamente risolto i problemi della Chiesa. Anzi, forse ne avrebbe creati di nuovi.
Ampiamente prevedibile la sua netta chiusura nei confronti dell’aborto: in passato avrebbe espresso vicinanza alle manifestazioni pro-vita. D’altra parte, il catechismo della Chiesa cattolica dice espressamente che “la vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del concepimento” e dunque “l’aborto diretto, cioè voluto come un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale”. Il Codice di diritto canonico stabilisce che “chi procura l’aborto, se ne consegue l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae”.
Si è poi discusso molto della sua gestione di due casi di abusi sessuali su minori commessi da sacerdoti: uno risale a oltre venticinque anni fa, quando era priore provinciale dell’ordine di Sant’Agostino a Chicago, mentre il secondo è più recente ed è avvenuto in Perù. In entrambi i casi, il Vaticano ha negato ogni sua responsabilità.
Valentina Neri