Secondo il fondatore dell'Asilo nel bosco ed esperto di Outdoor Education, per rinnovare la scuola italiana basterebbe utilizzare le teorie virtuose dei pedagogisti italiani più famosi e riconoscere l'importanza della felicità nel processo di apprendimento
«La scuola italiana per farsi bella non necessita di nuove conoscenze ma del coraggio di cambiare direzione e applicare quelle teorie virtuose che esistono già. Sappiamo molte cose ma tutto resta incagliato in pratiche che si ripetono da diversi secoli a causa della paura di percorrere strade diverse».
Per Paolo Mai, maestro, educatore, fondatore dell’Asilo nel bosco ed esperto di Outdoor Education non ci sono dubbi: basterebbe applicare nella pratica una delle tante teorie pedagogiche tra quelle formulate nel tempo da, per esempio, Maria Montessori, Mario Lodi, Loris Malaguzzi, Alberto Manzi Gianfranco Zavalloni, Franco Lorenzoni per fare quel passo in avanti verso una scuola davvero capace di rispondere alle esigenze pedagogiche di bambini e ragazzi.
La scuola deve essere innovata, le neuroscienze lo dimostrano
«Le risposte sono semplici – dice – e vengono fuori analizzando le criticità e i punti di forza della pedagogia moderna. Eppure non riusciamo a emanciparci da quell’architettura prussiana della scuola che vede, ad esempio, il maestro seduto in cattedra e la suddivisione dei bambini, semplicemente per classe d’età, come se fosse il fattore anagrafico a determinare gli interessi e l’apprendimento di un bambino. Le neuroscienze, d’altro canto, dimostrano che tutti, e soprattutto i bambini, apprendono solo quando sono motivati”. Un modello pedagogico ormai acclarato che, inoltre, non prevede suddivisione per materie ma l’esistenza di un gruppo di lavoro che possa fornire ai bambini proposte multiple tra le quali i piccoli possono scegliere ciò che per loro è significativo. Ecco perché, ad esempio, nel nostro Asilo nel bosco e nella Primaria, offriamo proposte interdisciplinari che vanno da “chi vuole andare a lavorare l’orto” a “chi vuole lavorare al blog” per proporre un’esperienza che, però, dia la possibilità mettere insieme più elementi e più conoscenze».
L’importanza dell’educazione emozionale
Di fatto, lo stesso Ministero dell’Istruzione invita a rifuggire il rischio dal punto di vista culturale della parcellizzazione del sapere e che le materie devono intersecarsi fino all’acquisizione delle competenze. Competenze che, anche secondo Mai, così come per tanti grandi studiosi, si raggiungono meglio quando c’è piacere nell’apprendimento e vivendo esperienze piacevoli. Ecco perché una strategia vincente, sembra essere, l’educazione emozionale. «L’educazione emozionale è un approccio pedagogico che reputa fondamentale prendersi cura dell’aspetto emotivo che accompagna la crescita e i processi di apprendimento dei bambini. Essa si pone come obiettivi prioritari aiutare i bambini a riconoscere le proprie emozioni e quelle altrui, saperle gestire, nutrire in loro una sana autostima e sostenerli nella costruzione di relazioni sociali significative. A scuola è un approccio sistemico che non si limita a proporre delle attività specifiche ai bambini ma prevede la necessità di un lavoro anche con le famiglie e con gli educatori».
Tutte esperienze che, in fondo, si possono anche riassumere in quella pedagogia della bruschetta che fa da sottotitolo al libro di Paolo Mai, “La gioia di educare” (Tlön edizioni, 2019). «La pedagogia della bruschetta vuole essere un invito a tornare all’essenza della pedagogia, a non dimenticare le cose fondamentali come la centralità della relazione e l’importanza delle emozioni. Insomma, è un invito alla semplicità con cui i bambini osservano il mondo e apprendono».