Da 15 anni, l’organizzazione realizza iniziative e progetti nei campi di ricerca, moda e design, educazione e creazione di reti a favore del riutilizzo su scala e inclusione sociale
«Un settore che, secondo le nostre stime, consente, senza considerare l’online, il riutilizzo di circa mezzo milione di tonnellate l’anno». Pietro Luppi, direttore del Centro ricerche di Occhio del Riciclone parla del settore dell’usato e del riuso e di come questo possa davvero assumere una importanza decisiva nell’ambito della gestione dei rifiuti.
«In 15 anni di attività con Occhio del Riciclone – spiega Luppi – abbiamo raggiunto una certa conoscenza del settore e abbiamo davvero il polso della situazione grazie a un alto livello di organizzazione capillare sul territorio e al grande capitale di know how professionale». Un know how ottenuto grazie alla specializzazione di persone che lavorano davvero nell’ambito dell’usato e raggiunto in 15 anni di attività nel settore.
«Tutto è nato – spiega Luppi – nel 2003 con una consultazione territoriale che avevo fatto come giornalista nel quadro di un progetto con il Comune di Roma. Si trattava di studiare le abitudini di riuso popolari nella città e tra i soggetti più emarginati. Il progetto si chiamava i Gioielli di Scartier e aveva un taglio ludico e sociologico di sensibilizzazione generica al riuso che comprendeva anche una riflessione sull’emarginazione sociale. Il punto di svolta arrivò nel momento in cui alcuni intervistati fornirono una serie di idee interessantissime per la gestione dei rifiuti. Dagli svuota cantine ai rovistatori di cassonetti, le persone coinvolte fecero venir fuori l’idea che si potessero selezionare in modo sistematico i beni durevoli conferiti tra i rifiuti. Ed erano tutte persone che avevano anche delle espertise in tal senso”. Da lì nacque l’idea di creare una consulta territoriale seria con rigattieri, svuota cantine, artigiani e artisti con circa 100 operatori partecipanti. I risultati interessanti convinsero i promotori a costituire l’organizzazione che da subito si strutturò in due branche.
«La prima delle due branche – spiega Luppi – è il Centro di Ricerca economica e sociale che ha l’obiettivo di tradurre in modo tecnico le proposte che vengono dal basso; l’altro è un gruppo di artisti e artigiani specializzati nell’utilizzo degli scarti che nel 2006 ha anche creato uno spin off di produzione e lavoro, vincendo un bando per la riqualificazione delle periferie, con la conseguente produzione di accessori di abbigliamento».
Occhio del Riciclone è oggi un’organizzazione che mette in sinergia una cooperativa e un gruppo di associazioni regionali. Dalla sua nascita ha realizzato centinaia di iniziative e progetti nei campi di ricerca e comunicazione, moda e design, educazione e animazione ambientali, creazione di reti a favore del riutilizzo su scala, inclusione sociale.
Il Laboratorio Sartoriale e di fashion Design produce capi e accessori di alta moda con tessuti e materiali di scarto sperimentando un’inedita sinergia tra stiliste italiane e artigiani rom. Con il marchio Beltbag produce accessori moda sostenibile attraverso il riutilizzo di materiali di scarto pre e post consumo. Il Laboratorio artigianale e di product Design produce oggetti e componenti d’arredo, combinando arte, scienza e tecnologia per creare beni tangibili attraverso la trasformazione degli scarti.
«Il Centro di Ricerca – spiega ancora Pietro Luppi – conta su economisti, statistici, tecnici ambientali, giornalisti, psicologi, sociologi, agronomi ed esperti di marketing nonché esperti di economia popolare che hanno un contatto privilegiato e diretto con la strada. Studiamo modelli di gestione dei rifiuti che includono riuso su scala ed economie popolari e, applicando inedite metodologie di rilevazione dei dati, decodifichiamo caratteristiche e dinamiche dei settori informali per progettare filiere che facciano capo ai sistemi ufficiali di gestione ambientale e che siano sostenibili sul piano igienico-sanitario, ecologico, economico e sociale. Inoltre, dal 2005 a oggi ha compiuto decine di studi, ricerche e business plan commissionati da enti locali, aziende di igiene urbana e cooperative sociali».