Giornali, telegiornali e pagine di informazione su Instagram parlano abbastanza di crisi climatica, e lo fanno indicando chiaramente cause e conseguenze? Qualche passo avanti c’è stato, ma la risposta non è ancora del tutto positiva. È quanto emerge dal monitoraggio media e clima condotto da Greenpeace con l’Osservatorio di Pavia.
La crisi climatica è davanti ai nostri occhi. Lo sanno bene tutti coloro che hanno vissuto in prima persona un’ondata di caldo torrido e siccità, una pioggia torrenziale che ha fatto esondare fiumi e canali, o un altro degli eventi meteo estremi che si abbattono a centinaia sul nostro Paese ogni anno. Ma anche, banalmente, lo sa bene chi ha la passione degli sci e ha dovuto cambiare meta, per spostarsi verso un impianto più ad alta quota. Ma i media che consultiamo quotidianamente, cioè giornali, telegiornali e pagine social delle testate, parlano di clima? E lo fanno spiegando chiaramente le cause e le conseguenze di ciò che accade? Guardando al 2023, la risposta è ancora ambivalente. Lo dimostra il monitoraggio annuale su media e clima portato avanti da Greenpeace con l’Osservatorio di Pavia.
Come funziona il monitoraggio su media e clima di Greenpeace
Il monitoraggio su media e clima è un progetto che l’organizzazione ambientalista Greenpeace porta avanti dallo scorso anno e che continuerà anche per tutto l’arco del 2024. Il partner fondamentale è l’Osservatorio di Pavia, un istituto di ricerca indipendente che si occupa proprio dell’analisi di web, tv, radio e stampa.
Questa ricerca, in particolare, si focalizza su:
- i cinque quotidiani nazionali più diffusi, cioè Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire e La Stampa;
- telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7;
- a partire dal 2023, anche le venti testate di informazione più seguite su Instagram, vale a dire avvenire.it, corriere, domanieditoriale, factanza, fanpage.it,
- ilfattoquotidiano.it, ilfoglio, ilmanifesto, ilsole_24ore, la_stampa, larepubblica, laverità, liberoquotidiano, open, skytg24, tgcom24, torcha, tpi, will_ita.
I risultati vengono aggiornati ogni quattro mesi: all’inizio di quest’anno, dunque, Greenpeace ha pubblicato la classifica complessiva del 2023.
L’informazione sulla crisi climatica nei quotidiani
Sono 2.144 gli articoli sulla crisi climatica pubblicati dai cinque principali quotidiani italiani (Avvenire, Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, la Repubblica e La Stampa) nel corso del 2023. Nella maggioranza dei casi (il 65,1%), l’argomento principale è un altro e il clima è soltanto menzionato. Resta comunque un passo avanti, perché rispetto all’anno precedente il numero totale di articoli cresce di ben 411 unità e aumenta anche la percentuale di articoli espressamente dedicati alla crisi climatica (dal 30,1 al 34,9%).
I picchi sono stati a maggio con le catastrofiche alluvioni in Emilia-Romagna, a luglio durante l’ondata di caldo da record e a dicembre in concomitanza con la Cop28 di Dubai. In questo, il 2023 non si distacca troppo dal 2022: anche all’epoca infatti i giornali avevano parlato di clima soprattutto a luglio, con il crollo del ghiacciaio sulla Marmolada e la siccità di portata secolare, e a novembre con la Cop27.
I giornali sono ancora legati a doppio filo alle aziende inquinanti
Fare informazione sul clima, però, non significa soltanto fare una cronaca degli eventi. Significa anche e soprattutto inserirli in un contesto, spiegando cause, conseguenze e soluzioni. Su tutti e tre questi aspetti, il consenso scientifico è unanime. Più del 99% degli scienziati innanzitutto riconosce come il riscaldamento globale sia l’esito dell’aumento dei gas serra in atmosfera dovuto alle attività umane, in particolar modo all’uso dei combustibili fossili. Nel 2023, gli articoli di giornale che citano esplicitamente questo rapporto di causa-effetto sono appena il 5,5% del totale.
Non è da escludere che questo, almeno in parte, sia dovuto alla fortissima influenza economica esercitata da alcune industrie. Con le vendite visibilmente in calo da anni, i quotidiani per sopravvivere possono fare affidamento soltanto su due fattori: gli investimenti dei loro editori (che in Italia non sono quasi mai editori “puri”, quanto piuttosto gruppi industriali) e gli introiti pubblicitari.
L’indagine media e clima di Greenpeace per questo conteggia anche le pubblicità delle aziende con il maggiore impatto sul clima, cioè compagnie petrolifere, case automobilistiche e motociclistiche, compagnie aeree e navi da crociera. Considerando sia le campagne che riguardano il prodotto in sé sia quelle su iniziative, festival o eventi sponsorizzati da questi marchi, si arriva a un totale di 1.229 pubblicità in un anno. La testata che ne ospita di più in assoluto è la Repubblica, a quota 325, quasi una al giorno. Il Corriere della Sera la segue a ruota con 316.
La classifica dei giornali italiani secondo Greenpeace
Il rapporto media e clima di Greenpeace arriva a stilare una classifica dei quotidiani italiani, basandosi su cinque parametri:
- la copertura, cioè il numero medio di articoli giornalieri in cui la crisi climatica è l’argomento principale:
- la percentuale di contenuti che indicano chiaramente le responsabilità dei combustibili fossili;
- la voce delle aziende inquinanti all’interno degli articoli sulla crisi climatica e sulla decarbonizzazione;
- la quantità di pubblicità di compagnie fossili, automobilistiche, aeree o crocieristiche;
la trasparenza sui finanziamenti ricevuti dalle aziende inquinanti.
Il primo giornale in classifica è Avvenire, ma con una votazione appena sufficiente: 6 su 10. Gli altri sono tutti ampiamente sotto la soglia della sufficienza: La Stampa (4,2), la Repubblica (3,8), il Corriere della Sera (3,2) e, fanalino di coda, Il Sole 24 Ore (appena 3 su 10).
Il clima nelle notizie di telegiornali e pagine Instagram
Se la presenza della crisi climatica nei quotidiani appare scarsa, nei telegiornali serali di Rai, Mediaset e La7 è ancora più sporadica. Il tema è presente infatti soltanto nel 2,3% delle notizie: e solo in poco più della metà dei casi il clima è l’argomento principale. Si registra comunque un miglioramento rispetto al 2022, con 169 notizie in più che fanno raggiungere un totale di 973. A malapena 7 le notizie in cui si nomina il greenwashing. In compenso, aumenta la percentuale di servizi che indicano esplicitamente le responsabilità dei combustibili fossili: nel 2022 era ferma al 2,1%, nel 2023 raggiunge il 7%. Il più attento al clima è il TG5, mentre fanalino di coda – come nelle precedenti edizioni del rapporto – è il TG La7 di Enrico Mentana.
Un canale come Instagram, frequentato soprattutto dalle generazioni più giovani, da un lato mostra tendenze simili a quelle dei media tradizionali. I 925 post che menzionano la crisi climatica, infatti, sono concentrati soprattutto nei periodi delle alluvioni in Emilia-Romagna e della Cop28, cioè quando l’argomento è giocoforza notiziabile. È vero anche che un post su quattro nomina le cause della crisi climatica e uno su due nomina le conseguenze. A spartirsi il podio delle pagine più attente sono Will, Torcha e Domani editoriale, dove rispettivamente il 9,6%, l’8,1% e il 7,8% dei post parla di clima.
Valentina Neri