Lo evidenzia il report "Le Equilibriste: la maternità in Italia" redatto da save the Children. Servirebbe flessibilità sul lavoro, incentivi e più congedi parentali
Decidono di diventare mamme sempre più tardi (l’età media del primo parto in Italia è di 31 anni) e rinunciano sempre più spesso alla carriera professionale quando devono scegliere tra lavoro e impegni familiari (più di una donna su tre tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio risulta inattiva). Continua a confermarsi poco confortante lo scenario che riguarda le mamme italiane, penalizzate da una scarsa o inesistente rete per la prima infanzia e da un sostegno che definire insufficiente è il minimo, nel momento in cui si decide di allargare la famiglia. È questo il quadro che emerge dal dossier «Le Equilibriste: la maternità in Italia», diffuso da «Save the Children» in occasione della festa della mamma, in programma per domenica 13 maggio.
LA CLASSIFICA DELLE REGIONI – La ricerca include l’indice delle Madri, un parametro che identifica le regioni in cui è più o meno facile avere un figlio, elaborato dall’Istat attraverso l’analisi di undici indicatori mirati a valutare le dimensioni della cura, del lavoro e dei servizi. Dai dati emergono notevoli differenze tra regioni del Nord (sempre più virtuose a parte poche eccezioni) e quelle del Sud (troppo spesso carenti di servizi e di sostegno alla maternità). In linea di massima, però, la ricerca sottolinea un peggioramento generale dell’Italia per quanto riguarda l’accoglienza dei nuovi nati e il sostegno alle loro mamme. A livello di realtà locali, quelle ideali per mettere al mondo un figlio si confermano le province autonome di Bolzano e Trento. A seguire quattro regioni: Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Piemonte. La regione «nemica» della maternità è invece la Campania, mentre risalendo la graduatoria si incontrano la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Basilicata. «È inammissibile che in un Paese come il nostro, in cui il numero di nuovi nati è in costante diminuzione, si riservi così poca attenzione alla maternità e che le mamme debbano affrontare in solitudine continui ostacoli legati alla cura dei figli così come alla conciliazione della vita familiare e professionale», afferma Raffaella Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di «Save the Children». I primi mille giorni dei bambini sono fondamentali per la crescita, ma proprio in questo periodo così decisivo manca l’assunzione di responsabilità pubblica».
L’ITALIA VIAGGIA A DUE VELOCITA’ – Il divario Nord-Sud è evidenziato dall’Indice delle Madri di «Save the Children» anche nelle tre singole aree di indicatori prese in esame per ciascuna regione: cura, lavoro e servizi per l’infanzia. La prima area, quella della cura, mostra discreti miglioramenti per tutte le regioni almeno fino al 2012: col solito gradiente tra Nord e Sud del Paese, in cima alla Lista le Province autonome di Trento e Bolzano e in coda la Basilicata. Il primato non cambia per quanto riguarda il lavoro femminile, mentre in questo caso il fanalino di coda è rappresentato dalla Sicilia. L’ultima area, quella che riguarda i servizi, permette di esaminare la competitività territoriale delle nostre regioni rispetto ai principali servizi educativi per l’infanzia. Ancora una volta, la provincia di Trento si attesta al primo posto, mentre in questo caso a chiudere la lista è il Lazio. I bambini sotto i tre anni accolti in asili comunali o finanziati dai comuni variano dal 18,3 per cento del Centro al 4,1 per cento del Sud. I divari territoriali fra il Mezzogiorno e il resto del Paese, in questo caso più che negli altri, sono enormi: nel Nord-Est e nel Centro Italia i posti censiti nelle strutture pubbliche e private coprono il trenta per cento dei bambini sotto i tre anni, al Nord-Ovest il 27 per cento, mentre al Sud e nelle Isole si hanno rispettivamente 10 e 14 posti per cento bambini residenti.
POLITICHE, BUONE PRATICHE E RACCOMANDAZIONI – «Gli interventi a sostegno della maternità, della natalità, sia inerenti al welfare che ad altri strumenti di conciliazione, sono fondamentali per dare modo alle donne di bilanciare la vita privata e familiare con quella lavorativa – aggiunge Milano -. Congedi parentali ai padri, lavoro agile, accessi al nido e ad altri servizi di assistenza all’infanzia sono supporti essenziali per le famiglie. Alcuni Paesi europei, come Svezia e Finlandia, prevedono quote di congedo parentale riservate esclusivamente alle madri e ai padri, che devono essere utilizzate obbligatoriamente: pena la perdita del diritto. Quando questi congedi vengono attribuiti direttamente ai papà e non alla famiglia, come invece avviene in Austria o in Polonia, si è visto come gli uomini ne usufruiscano in quota maggiore». Prova ne è il fatto che, in media, nell’Unione Europea i padri tendono a usufruire del congedo parentale con medie che vanno dal venti al trenta per cento. In Italia non si supera la quota del dieci per cento. Molto dunque rimane ancora da fare per incentivare il ruolo degli uomini nel lavoro di cura ed evitare che le donne debbano ricorrere al part-time: condizione che spesso le penalizza sul piano professionale. E a poco in questo senso serve il contributo (800 euro) destinato alle famiglie che mettono al mondo un figlio nell’anno.
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