Secondo un rapporto redatto da Save The Children le donne italiane sono costrette a rinunciare al lavoro e al tempo libero a causa degli impegni familiari
Tengono in piedi case e famiglie, fanno crescere i figli e portano sempre più spesso anche il pane a casa. Eppure non vedono mai le loro tutele crescere, anzi: l’ultima sentenza della Cassazione sul divorzio e l’assegno di mantenimento rischia di penalizzarle ulteriormente. La vita delle mamme italiane, di cui domenica 14 maggio si celebra la giornata di festa, è sempre più difficile: tra gli impegni lavorativi e i carichi familiari. Il quadro che emerge dall’ultimo rapporto sul tema redatto da «Save the Children» e intitolato «Le equilibriste: la maternità tra ostacoli e visioni di futuro» è poco rassicurante. Mettere al mondo un figlio lungo la Penisola è sempre più difficile e le differenze territoriali rimangono profonde.
IL GRADIENTE DELL’ITALIA – Le donne italiane diventano mamme sempre più in là negli anni: 31,7 anni l’età media al parto. Spesso sono costrette a rinunciare al lavoro e al tempo libero a causa degli impegni familiari: ecco spiegato il penultimo posto occupato dal nostro Paese in Europa, se si guardano i tassi di occupazione femminile. Colpa di un welfare che non riesce a sostenere le donne che decidono di mettere al mondo un bambino. Diventare madri in Italia può pregiudicare la condizione sociale, professionale ed economica di una donna. Un aspetto che risulta esaltato dalla regione nella quale viene messo al mondo un figlio. Cura, lavoro e servizi per l’infanzia: da qualunque punto si osservi la situazione, le cose per le mamme italiane vanno meglio al Nord, piuttosto che nel Meridione del Paese. Il Trentino si conferma la regione più «mother friendly»: a seguire Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte. Scorrendo la graduatoria dal basso verso l’alto, invece, la Sicilia batte tutti: poi a seguire Calabria, Puglia, Campania e Basilicata. Un divario che Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di «Save the Children», considera «inaccettabile. E comunque anche nelle regioni del Nord siamo lontani da un modello virtuoso che renda la maternità una risorsa piuttosto che un impedimento».
DISPARITÀ DI GENERE – Diventare mamma in Italia, per una donna che lavora, può voler dire andare incontro a part-time, disparità salariali e precarizzazione dei contratti. La conseguenza più diretta è un abbassamento del livello di qualità della vita che spesso pregiudica scelte familiari e riproduttive. Inoltre, rispetto ai loro colleghi uomini, in Italia le donne vengono pagate meno. In Europa, le mamme-lavoratrici del nostro Paese sono messe meglio soltanto rispetto a quelle greche: quanto a occupazione femminile tra i 25 e i 49 anni, dunque nel pieno dell’età fertile. Mentre a livello mondiale, secondo il rapporto, il nostro Paese è cinquantesimo (su 144): con una forte flessione rispetto al 2015, concluso alla quarantunesima posizione. Nella suddetta fascia d’età, lavora il 57,9 per cento delle donne: giusto il venti per cento in meno rispetto ai coetanei uomini. Il tasso risulta più basso (54,6) nelle donne che hanno due o più figli.
POLITICHE, BUONE PRATICHE E RACCOMANDAZIONI – «Gli interventi a sostegno della maternità, della natalità, sia inerenti al welfare che ad altri strumenti di
conciliazione, sono fondamentali per dare modo alle donne di bilanciare la vita privata e familiare con quella lavorativa – aggiunge Milano -. Congedi parentali ai padri, lavoro agile, accessi al nido e ad altri servizi di assistenza all’infanzia sono supporti essenziali per le famiglie. Alcuni Paesi europei, come Svezia e Finlandia, prevedono quote di congedo parentale riservate esclusivamente alle madri e ai padri, che devono essere utilizzate obbligatoriamente: pena la perdita del diritto. Quando questi congedi vengono attribuiti direttamente ai papà e non alla famiglia, come invece avviene in Austria o in Polonia, si è visto come gli uomini ne usufruiscano in quota maggiore». Prova ne è il fatto che, in media, nell’Unione Europea i padri tendono a usufruire del congedo parentale con medie che vanno dal venti al trenta per cento. In Italia – dove il congedo di paternità prevede solo due giorni obbligatori più altri due facoltativi – non si supera la quota del dieci per cento. Molto dunque rimane ancora da fare per incentivare il ruolo degli uomini nel lavoro di cura ed evitare che le donne debbano ricorrere al part-time: condizione che spesso le penalizza sul piano professionale. E a poco in questo senso serve il contributo (800 euro) destinato alle famiglie che mettono al mondo un figlio nell’anno. Provvedimento che «Save the Children» definisce «un bonus una tantum che non rafforza la rete strutturale dei servizi».
Twitter @fabioditodaro