Un libro, firmato dal giornalista Giorgio Gandola, racconta gli oltre quarant'anni di San Patrignano, la più grande comunità di recupero dalla tossicodipendenza in Europa fondata da Vincenzo Muccioli e in grado di far uscire ben ventiseimila ragazze e ragazzi dal tunnel della droga, una piaga che oggi interessa sempre più adolescenti
Mai come in questo momento abbiamo forse tutti bisogno di un messaggio di speranza. Di un qualcosa che ci dia fiducia per il futuro e consapevolezza che è possibile risalire la china e tornare alla vita, anche quando in pochi sarebbero disposti a scommetterci. Come hanno fatto i tanti ragazzi e ragazze (oltre 26 mila in poco più di quarant’anni dalla fondazione, avvenuta nel 1978) che sono usciti dal tunnel della droga grazie alla Comunità di San Patrignano, la più grande realtà in Europa per il recupero dalla tossicodipendenza raccontata in un bellissimo libro di Giorgio Gandola, giornalista de La Verità e Panorama, in passato anche direttore de L’Eco di Bergamo. Un libro, Tutto in un abbraccio (edito e distribuito in edicola da Panorama e acquistabile anche sul sito della Comunità) da leggere tutto d’un fiato, per come è scritto e per la bellezza e la forza delle storie e delle battaglie che contiene nelle sue pagine.
Da quelle del suo fondatore, Vincenzo Muccioli, fino a quelle dei ragazzi che hanno trovato e continuano a trovare in questa comunità sui colli riminesi il punto di svolta per rimettere sui giusti binari la propria esistenza. Grazie a un metodo che ha fatto scuola, basato sul ridare dignità alle persone attraverso il lavoro, che ancora oggi fa registrare numeri eccezionali: alla fine del percorso in comunità ben il 72% delle ragazze e dei ragazzi trova lavoro e il 75% è drug free.
Un tema, quello della dipendenza dalle droghe, quanto mai attuale, a maggior ragione in un periodo di forti cambiamenti e incertezze come quello che stiamo vivendo, e di cui forse non si parla abbastanza. Col risultato che sempre più giovanissimi, anche molti adolescenti come dimostrano le statistiche, rischiano di rimanere intrappolati nelle sabbie mobili della tossicodipendenza, con costi umani, sociali e sanitari altissimi.
Tutto in un abbraccio. Perchè questo titolo, Giorgio?
Muccioli abbracciava le persone invece di stringergli la mano, quando entravano e uscivano dalla comunità, per trasmettere loro energia, positività, vicinanza. Era il suo modo per dirgli “Lottiamo insieme per uscire da questo tunnel”. Oggi poi che, a causa della pandemia, è vietato abbracciarsi, vuole essere un ulteriore segno di speranza per il futuro…
Cosa l’ha colpita di più della Comunità di San Patrignano?
Conosco da vicino la comunità da molto tempo, da quando, come inviato, negli anni Ottanta, le dedicai diversi servizi. Ho conosciuto molto bene Muccioli, l’ultima fase, molto travagliata, della sua vita, quella dell’agonia e delle grandi battaglie, dei processi giudiziari.
San Patrignano venne molto osteggiata. Dalla sinistra antiproibizionista, che era per la liberalizzazione e vedeva quindi Muccioli, che lanciava l’allarme contro il flagello della tossicodipendenza, come un nemico, e dalla Chiesa, che non si capacitava come un laico potesse salvare meglio di se stessa dalla droga.
Negli anni Ottanta chi si drogava era considerato un derelitto, un rifiuto, ebbene lui andava a prendere questi ragazzi e queste ragazze per strada e gli offriva la possibilità di salvarsi.
Era il periodo – Muccioli era uno che bucava lo schermo – dei grandi scontri televisivi, come quelli con Marco Pannella, per esempio.
Erano due giganti, nulla a che vedere con la povertà di contenuti di oggi, e dopo ogni dibattito il giorno dopo si formavano a San Patrignano code di macchine di genitori con i propri figli con l’intento di farli entrare in comunità.
Fatta questa premessa, ciò che più mi ha colpito e continua a colpirmi di San Patrignano sono i 26 mila ragazzi che è riuscita a salvare in oltre quarant’anni di attività. Muccioli muore nel 1995, ma il suo progetto non muore con lui e continua a salvare vite.
Lo fa attraverso la dignità del lavoro. A San Patrignano ci sono ben quaranta laboratori, alcuni dei quali sono diventati nel loro campo delle vere eccellenze a livello internazionale, in cui vengono inseriti subito i ragazzi che arrivano e che danno loro uno scopo di vita. Dopo tre anni in comunità questi ragazzi diventano lavoratori ad alta specializzazione e non è un caso che il 72% di loro trovi subito lavoro quando termina il percorso in comunità e che il 75% sia drug free. Numeri che testimoniano indubbiamente la bontà del metodo San Patrignano.
La cosa straordinaria, che sottolinea anche nel libro, è che San Patrignano riesce a fare tutto ciò in maniera totalmente gratuita…
Sì, le ragazze e i ragazzi vengono accolti gratuitamente a San Patrignano, che si mantiene per il 76% con l’auto sostentamento e per la restante parte tramite le donazioni che arrivano dai privati, un modus operandi che fa risparmiare annualmente allo Stato italiano ben 28 milioni di euro.
Di Vincenzo Muccioli, invece, cos’è che l’ha colpita di più?
Lui era un visionario, negli anni Ottanta quel tipo di approccio non esisteva, i tossicodipendenti venivano considerati persone malate, irrecuperabili, un qualcosa che Vincenzo non ha mai accettato. Era un uomo coraggioso, di grande sensibilità, che aveva capito molto bene la portata del problema, un vero flagello insieme con quello dell’Aids, che in quegli anni colpì molto anche la comunità. Nel periodo clou dell’epidemia a San Patrignano c’erano due funerali al giorno dovuti al virus, oggi San Patrignano ha uno fra i più avanzati centri medici contro l’Aids.
Un flagello, quello della tossicodipendenza, che continua tuttora, anche se forse più sottotraccia perché se ne parla meno, e che, in un periodo di grande incertezza come quello legato al Covid che stiamo vivendo, rischia di acuirsi soprattutto fra i più giovani…
Certamente, anche se il rischio per le nuove generazioni esiste a prescindere dal Covid. Non è un caso che San Patrignano abbia dovuto aprire una specifica sezione destinata ai minori. Purtroppo la droga oggi è un problema ancora banalizzato e colpisce sempre più minorenni. L’età media di chi entra a San Patrignano si è molto abbassata, è scesa fino a 14-15 anni, e riguarda soprattutto le droghe sintetiche, che creano immediatamente dipendenza. Una vera piaga contro la quale la comunità si è ben attrezzata. Il dramma maggiore però è che questi ragazzi, essendo molto giovani, rispetto a quelli degli anni Ottanta, arrivano vuoti, senza valori, guardano il display del telefonino, senza affetti e con famiglie disastrate. Sono, diversamente dai ragazzi del passato, che spesso avevano delle marcate ideologie che li spingevano, seppur in modo sbagliato, a voler cambiare la società, come delle scatole vuote, su cui c’è da fare quindi un enorme lavoro di “ricostruzione”. Per riempire quel vuoto esistenziale e valoriale che li espone terribilmente al disagio e alla dipendenza.
Vincenzo Petraglia
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