In un periodo complicato come quello attuale informare bene, senza fake news e indagando sui retroscena delle realtà ufficiali, assume un ruolo quanto mai importante. Un impegno che è costato nel mondo la vita a ben 50 giornalisti nel solo 2020, in scenari di guerra e non
La mission principale del giornalismo d’inchiesta è ricercare, sempre e comunque, la verità. Anche quando questa è scomoda, anche quando diventa rischiosa perché scoperchia realtà che in molti avrebbero interesse a tenere nascoste e che, pertanto, può pestare i piedi a governanti, mafie, imprenditori o aziende, donne e uomini impegnati in traffici loschi che danneggiano la comunità. Una vocazione che rientra nella funzione più ampia che ogni buon giornalista, indipendentemente dal suo campo d’azione, dovrebbe perseguire: fare da tramite fra il largo pubblico e i fatti, con i loro retroscena, contribuendo, attraverso il proprio lavoro, a decodificare insomma la realtà, al di là di ogni tentativo di mistificazione da parte di chi ha interesse a mostrarne solo una parte (quella magari più comoda, scontata, meno compromettente).
Purtroppo oggi, spesso a causa anche della profonda crisi dell’editoria e degli enormi tagli sull’informazione, è sempre più difficile fare del vero giornalismo d’inchiesta che, come tale, ha bisogno anche di risorse per essere fatto bene e garantire, quindi, la qualità dell’informazione. E purtroppo ancora oggi questo tipo di giornalismo è vittima nel mondo di intimidazioni e ritorsioni gravissime, molte delle quali portano anche alla morte di tanti, troppi, colleghi che provano coraggiosamente a fare con zelo il proprio mestiere. Nel 2020 sono stati ben cinquanta i giornalisti uccisi nel mondo secondo il rapporto annuale di Reporters sans Frontières (Rsf).
Che cos’è Reporters sans Frontières
Reporters sans Frontières è un’organizzazione non governativa e no profit fondata in Francia nel 1985 che promuove e difende la libertà d’informazione monitorando lo stato di salute del giornalismo nel mondo. Fra le sue attività, oltre a combattere la censura e sostenere i giornalisti nel fare il loro lavoro, quella, appunto, di censire il numero di giornalisti che ogni anno perdono la vita facendo il loro mestiere e stilare la classifica mondiale dei paesi più e meno virtuosi in relazione alla libertà di stampa.
Una classifica, quest’ultima, nella quale l’Italia non eccelle: per l’anno 2020 occupa soltanto la 41esima piazza, la peggiore in Europa occidentale, fatta eccezione per la Grecia (65esima), dietro paesi quali Burkina Faso e Botswana, in un ranking che vede al primo posto la Norvegia e all’ultimo (sul 180esimo gradino) la Corea del Nord.
Libertà d’informazione: nel 2020 uccisi 50 giornalisti nel mondo
Secondo il rapporto appena diffuso da Reporter senza Frontiere la maggior parte dei 50 giornalisti uccisi nel 2020 a livello mondiale hanno trovato la morte lontano dalle zone di guerra, il che vuol dire che le loro non sono state morti accidentali, ma esecuzioni, assassinii veri e propri.
Nello specifico sono stati 34, pari al 68% (quasi 7 su 10) del totale, i giornalisti uccisi che lavoravano in paesi non in conflitto. Si tratta di paesi come la Siria e lo Yemen oppure di “aree afflitte da conflitti di bassa e media intensità”, come l’Afghanistan e l’Iraq. In Messico si è registrato il maggior numero di morti (8), seguito da India (4), Pakistan (4), Filippine (3) e Honduras (3).
Secondo quanto osserva Rsf ben l’84% dei giornalisti uccisi nel 2020 è stato preso di mira ed eliminato deliberatamente, alcuni assassinati in modo “particolarmente barbaro”, sottolinea l’organizzazione. Fra tutti, i cronisti messicani Julio Valdivia Rodriguez del quotidiano El Mundo de Veracruz, che è stato decapitato, e Victor Fernando Alvarez Chavez, direttore di un sito di notizie locale, fatto a pezzi ad Acapulco.
Lo scorso anno, rileva il rapporto, sono stati uccisi ben 20 giornalisti investigativi: 10 di essi indagavano su casi di corruzione locale e appropriazione indebita di fondi pubblici, 4 si occupavano di mafia e criminalità organizzata e 3 di questioni legate all’ambiente, mentre altri 7 colleghi hanno trovato la morte mentre seguivano manifestazioni in Iraq, Nigeria e Colombia.
Dal 2011 a oggi Rsf ha censito ben 937 vittime. Ad oggi inoltre nel mondo ci sono ancora 387 giornalisti detenuti, e nel 2020 è cresciuto anche il numero di giornaliste arrestate (+35%). Numeri inaccettabili che sono anche una cartina al tornasole della mancanza di libertà e democrazia in molte, ancora troppe, aree del mondo.
Ai colleghi che hanno sacrificato la loro vita in nome della libera informazione va il nostro grazie più profondo all’inizio di un anno che ci auguriamo tutti possa rendere il mondo un po’ più trasparente e meno pericoloso per chi cerca soltanto di fare, onestamente e con abnegazione e lealtà, il suo mestiere di giornalista.
Vincenzo Petraglia
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