Wise Society : Libertà di stampa, tra Paesi più e meno virtuosi e i rischi di chi racconta la verità

Libertà di stampa, tra Paesi più e meno virtuosi e i rischi di chi racconta la verità

di Maria Enza Giannetto
19 Marzo 2022

Un diritto riconosciuto tra quelli universali che permette alle persone di ricevere notizie corrette e verificate. La libertà di stampa, nell'identikit tracciato dall'indice di Reporter senza frontiere, è un'utopia in certi Paesi e molto a rischio in tanti altri, ma sempre un diritto da preservare per permettere alla gente di conoscere la verità

Un diritto riconosciuto dalla Costituzione italiana e dalle Dichiarazioni dei diritti universali. La libertà di stampa è una libertà importante, che permette alle persone di poter ricevere notizie e informazioni corrette, verificate e che non siano controllate, limitate e pilotate da governi centrali e dittature. Un’utopia in certi Paesi e spesso molto difficile in altri, ma un diritto fondamentale a cui mirare sempre perché senza informazione libera non si costruisce spirito critico e opposizione. La questione della libertà di stampa torna prepotentemente attuale quando questa viene a mancare, quando i conflitti come la Guerra in Ucraina la mettono a rischio e quando i reporter vengono reclusi o uccisi come nel caso dell’americano Brent Renaud, morto sul campo per raccontare l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze di Putin.

Libertà di stampa: una rappresentazione

Foto Shutterstock

Che cos’è la libertà di stampa

Ma andiamo con ordine e vediamo davvero cosa significa libertà di stampa e quali sono le tutele della libertà di informazione. La libertà di stampa è un diritto riconosciuto da qualsiasi Stato di diritto. La sua rivendicazione è avvenuta con la nascita della civiltà illuministica, contrapposta a quella dell’ancien regime, quando l’influenza dell’autorità dello Stato e del regnante era preponderante.

Oggi questo diritto è riconosciuto su larga scala dall’art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani:

“Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere […]. Questo diritto include la possibilità di sostenere personali opinioni senza interferenze ed a cercare, ricevere ed insegnare informazioni e idee attraverso qualsiasi mezzo informativo indipendentemente dal fatto che esso attraversi le frontiere”.

È inoltre presente nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali dove, all’art. 10 si legge:

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiere.”.

La tutela della libertà di stampa in Italia

In Italia la libertà di stampa è riconosciuta espressamente dall’art. 21 della Costituzione, all’interno del suo secondo comma “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazione o censure”. L’art 21 della Costituzione infatti prevede una riserva di legge (ossia prevede che sia il legislatore a determinare quali siano i delitti per cui si applichi il sequestro) e la riserva di giurisdizione. Perciò è solo l’autorità giudiziaria titolare del diritto d’ordinare il sequestro, che può essere esercitato nei casi di necessità e urgenza, in maniera provvisoria, anche dalla polizia giudiziaria. Inoltre, la Costituzione si preoccupa anche di dettare i principi per garantire la trasparenza dei mezzi di finanziamento della stampa periodica (cioè la stampa pubblicata in periodi prestabiliti, come i quotidiani o i mensili).

Questo sulla carta. Perché di fatto – come ha affermato Fabrizio Gatti in un’intervista su Wise Society – la situazione non è poi così rosea. La pandemia e la gestione dell’infodemia ha riportato prepotentemente alla ribalta il problema dell’etica e delle relazioni pericolose tra virus, media e potere. Se un tempo a limitare la libertà di stampa e informazione erano soprattutto le questioni politiche e le direttive di chi governava, è indubbio che da anni a minare la libertà di stampa siano anche le questioni economiche. Quando si parla di libertà di stampa, infatti, non si può non tener conto di come i finanziamenti e gli sponsor possano “pilotare” alcune notizie e metterne in ombra e questo soprattutto perché, come tutte le cose, anche l’informazione ha i suoi costi e spesso la sostenibilità economia può essere causa di scarsa imparzialità.

Ecco perché la questione dei finanziamenti alle testate giornalistiche risulta sempre importante e decisiva per il mantenimento di una stampa libera. Allo stesso modo, oggi, oltre alla questione politica, a tentare di mettere spesso il bavaglio ai giornalisti sono le minacce di querele per diffamazione che, per una professione dalle scarse tutele, possono diventare un deterrente per inchieste “scomode”.

Libertà di stampa e censura

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L’indice della libertà di stampa secondo Reporter senza frontiere

A fare l’identikit dello stato di salute della libertà di stampa nel mondo è, da 5 anni, l’Ong Reporter Senza Frontiere che rilascia annualmente la classifica dei Paesi dove la libertà di stampa è garantita. Ma che cos’è Reporter Senza Frontiere (RSF)? Si tratta di un’organizzazione non governativa e no-profit – con sede a Parigi – che promuove e difende la libertà di informazione e la libertà di stampa. Le sue attività si concentrano sulla censura di Internet e sui nuovi media e a fornire assistenza materiale, economica e psicologica ai giornalisti assegnati a zone pericolose.

Tanti i giornalisti reclusi

Secondo l’ultimo rapporto – Rsf 2021 – la situazione non è affatto rosea. Sono 488 gli operatori dell’informazione che risultano attualmente reclusi nelle carceri del mondo a causa del loro lavoro. Con un aumento significativo del numero delle detenzioni arbitrarie provocato in particolare da 3 Paesi i cui governi sono indifferenti al desiderio di democrazia dei loro cittadini. In Myanmar, ad esempio, attualmente vi sono 53 giornalisti in prigione, mentre lo scorso anno erano solo 2. La Cina è il Paese che detiene nelle proprie carceri il maggior numero di reporter, 127. Seguono, appunto, Myanmar (53), Vietnam (43), Bielorussia (32) e Arabia Saudita (31).

Il numero delle reclusioni è cresciuto in un anno del 20 percento a causa delle tensioni in Myanmar, Hong Kong e Bielorussia. Spicca inoltre il fatto che mai così tante donne sono risultate imprigionate, 60. Messico e Afghanistan restano i due Paesi più pericolosi per i giornalisti quest’anno, con rispettivamente 7 e 6 morti, seguiti da Yemen e India al terzo posto, con 4 giornalisti uccisi ciascuno.

Di segno opposto invece i numeri sulle uccisioni: 46, il più basso nello stesso lasso di tempo. La cosa, spiega un dossier di Reporter senza Frontiere pubblicato a Parigi, è dovuta principalmente alla relativa stabilizzazione del Medio Oriente negli ultimi mesi.

La libertà di stampa è ostacolata in molti Paesi

Ma vediamo nel dettaglio questa lista e i principali movimenti. L’ultimo elenco mostra che il giornalismo è totalmente bloccato o seriamente ostacolato in 73 Paesi e limitato in altri 59, che insieme rappresentano il 73% dei Paesi valutati. Questi Paesi sono classificati come dotati di ambienti “pessimi”, “cattivi” o “problematici” per la libertà di stampa. I dati della classifica riflettono un drammatico deterioramento dell’accesso delle persone alle informazioni e un aumento degli ostacoli alla copertura delle notizie. La pandemia di coronavirus è stata utilizzata come motivo per bloccare l’accesso dei giornalisti alle fonti di informazione e ai reportage sul campo.

I dati mostrano che i giornalisti trovano sempre più difficile indagare e riportare storie sensibili, soprattutto in Asia, Medio Oriente ed Europa.

Libertà di stampa: la top 3

La Norvegia è al primo posto per il quinto anno consecutivo, anche se i suoi media si sono lamentati della mancanza di accesso alle informazioni detenute dallo stato sulla pandemia. La Finlandia ha mantenuto la sua posizione al secondo posto mentre la Svezia (+1 al 3°) ha recuperato il terzo posto in classifica, che aveva ceduto alla Danimarca (-1 al 4°) lo scorso anno. La classifica 2021 dimostra il successo dell’approccio di queste nazioni nordiche nel sostenere la libertà di stampa.

Solo 12 dei 180 Paesi dell’Indice (7%) possono affermare di offrire un ambiente favorevole al giornalismo, rispetto ai 13 Paesi (8%) dell’anno scorso. Il Paese a cui è stata tolta la classifica “buona” è la Germania (-2 al 13° posto). Decine dei suoi giornalisti sono stati attaccati da sostenitori di estremisti e credenti della teoria della cospirazione durante le proteste contro le restrizioni pandemiche.

La situazione della libertà di stampa in Germania è comunque ancora classificata come “abbastanza buona”, come nel caso degli Stati Uniti (-1 al 44esimo posto), nonostante l’ultimo anno di Donald Trump alla Casa Bianca sia stato segnato da un numero record di aggressioni a giornalisti (circa 400) e arresti di membri dei media (130), secondo l’US Press Freedom Tracker, di cui RSF è partner. Come risultato della caduta di quattro posizioni, il Brasile si è unito ai Paesi colorati di rosso, indicando che la situazione della libertà di stampa è classificata come “cattiva”. Il Brasile condivide la classifica “cattiva” con India (142°), Messico (143°) e Russia (-1 al 150°), che ha schierato il suo apparato repressivo per limitare la copertura mediatica delle proteste a sostegno dell’avversario del Cremlino, Alexei Navalny.

I Paesi peggiori

La Cina (177°), che continua a portare la censura, la sorveglianza e la propaganda su Internet a livelli senza precedenti, è ancora saldamente ancorata tra i peggiori Paesi dell’Indice, che sono indicati in nero sulla mappa della libertà di stampa mondiale. Proprio sotto la Cina c’è lo stesso trio di Paesi totalitari che storicamente hanno occupato gli ultimi tre posti. Due sono asiatici: il Turkmenistan (+1 al 178esimo) e la Corea del Nord (+1 al 179esimo). La terza è africana: l’Eritrea (-2 a 180°). Indipendentemente dal loro continente, questi Paesi mantengono il controllo assoluto su tutte le notizie e le informazioni, consentendo ai primi due di affermare di non avere casi di Covid-19 e al terzo di mantenere il silenzio più completo sulla sorte di 11 giornalisti che furono arrestati 20 anni fa, alcuni di cui sarebbero stati tenuti in contenitori di metallo nel mezzo di un deserto.

Il Paese che è caduto più lontano nel 2021 è stata la Malesia (-18 al 119° posto), dove i problemi includono un recente decreto “anti-fake news” che ha consentito al governo di imporre la propria versione della verità.

Reporter

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La posizione dell’Italia nell’indice Rsf 2021

E l’Italia? Si piazza al 41° posto della lista. Una posizione che dipende dalla situazione in cui si trovano numerosi giornalisti minacciati, alcuni dei quali sotto scorta, e dello stallo in cui versano le proposte di legge di tutela del diritto di cronaca e della professione. Come sottolinea il sindacato Fnsn, dalla cancellazione della pena detentiva per i giornalisti, peraltro sollecitata dalla Corte Costituzionale, al contrasto alle querele bavaglio, sono infatti tante le proposte di riforma che il Parlamento continua a rinviare. Per non parlare dell’assenza di politiche di sostegno del lavoro regolare e di contrasto al precariato dilagante.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: l‘informazione italiana è indebolita da problemi strutturali che colpiscono i cronisti e il mercato del lavoro, dove libertà e autorevolezza sono schiacciate dal peso insopportabile della precarietà.

Maria Enza Giannetto

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