Wise Society : Il lavoro di domani? Più umano e flessibile nel segno del work life balance

Il lavoro di domani? Più umano e flessibile nel segno del work life balance

di Lucia Fino
28 Dicembre 2022

Come sarà il lavoro del futuro? E quali sono gli aspetti del mondo del lavoro odierno che gli italiani vorrebbero cambiare? Un po' di risposte nella ricerca Ipsos per Kelly Services Italia

Il mondo del lavoro in questo ultimo periodo è cambiato moltissimo. La pandemia, la difficile situazione internazionale, la crisi energetica hanno determinato svolte improvvise, a volte sconvolgenti, da cui è emerso un modo di lavorare differente, meno legato ai classici ritmi aziendali e più attento ad aspetti come la necessità di far crescere creatività e talento, di raggiungere un work life balance soddisfacente e di valutare (e rivalutare) orari e impegno.

Ufficio

Foto di Ant Rozetsky / Unsplash

Come sta cambiando il mondo del lavoro?

Tutto questo crea equilibri nuovi fra quello che le aziende cercano e che vorrebbero dai loro dipendenti e quello che i dipendenti, dall’altra parte, sperano invece di trovare sul posto di lavoro. Non sempre le due cose coincidono, anzi. Fotografa bene questo scenario la recente indagine realizzata da Ipsos per Kelly Services Italia, agenzia per il lavoro che opera da 25 anni nel nostro Paese. Un’indagine che ha messo a fuoco nuovi desideri e speranze e che aiuta a comprendere meglio come sarà il lavoro del futuro.

Nel mirino stipendi e orari

Quanto sono contenti gli Italiani del loro lavoro? Forse non moltissimo… Il 61% degli intervistati secondo la ricerca Ipsos per Kelly Services ritiene che gli stipendi non siano congrui rispetto alle disponibilità o alle mansioni richieste. Quindi quello che si ritrovanoi lavoratori a fine mese sono retribuzioni più basse di quello vorrebbero e che adesso vengono messe ulteriormente alla prova dall’aumento di prezzi dei beni di consumo e bollette. Un quadro con molte criticità in cui il 54% degli italiani ritiene che gli individui e le famiglie dovranno accettare dei compromessi pur di poter lavorare ed avere un reddito. Un’opinione consolidata soprattutto nel settore manifatturiero (58%) e nei servizi (54%), meno nel commercio (49%).

Neanche l’orario di lavoro soddisfa poi tanto: la percezione dei lavoratori è che le aziende, rispetto a qualche anno fa, richiedano maggiore efficienza, produttività, velocità nello svolgimento delle mansioni. Insomma, spesso si chiede di realizzare lo stesso lavoro in minor tempo (lo pensa il 37% degli occupati) e di rendersi disponibili e anche al di fuori dai normali orari di lavoro (lo pensa il 35% ). Un dato significativo, soprattutto dopo un periodo in cui lo smart working sembrava aver spostato l’attenzione dal concetto di “orario” a quello molto più duttile e complesso di “risultato”.

Smart working

Foto di Kevin Bhagat / Unsplash

Il lavoro del futuro: più equo, produttivo e gratificante

Molto potrà comunque evolvere in meglio, se si riuscirà a trovare un punto di incontro fra datori di lavoro, che non sempre riescono a reperire personale qualificato e motivato, e dipendenti in cerca, invece, di auto-realizzazione personale, giuste gratificazioni economiche e una maggiore attenzione alla vita privata. Abbiamo chiesto a Cristian Sala, AD di Kelly Services Italia e Andrea Alemanno, Principal di Ipsos Strategy3 di spiegarci, partendo dalla ricerca, come questo può accadere e come ci si può impegnare per un domani più costruttivo ed equo per tutti, che faccia crescere l’economia e le persone.

Valorizzare il work life balance

Se un tempo l’attrattività di un’azienda si basava soprattutto sulla solidità e quindi sulla capacità di offrire retribuzioni sicure, oggi quello che cercano i dipendenti è un’azienda che si riveli anche “inclusiva” che cioè sappia soddisfare più esigenze. Il posto di lavoro “ideale” è quello in cui si realizza senza troppe difficoltà il work life balance e quindi ci siano strutture dedicate alla famiglia, come per esempio un asilo nido, e alla persona, come un’area benessere. Gli stessi spazi aziendali stanno diventando meno anonimi e spersonalizzanti: il classico open space con i neon sempre accesi non è decisamente più attuale.

Un aspetto che però conta moltissimo e che sembra ancora sacrificato, però, è la flessibilità. Nessuno o quasi dei dipendenti vorrebbe più un orario rigido che spesso “sconfina” anche negli spazi privati. «Ormai il fattore tempo è diventato una priorità per i lavoratori e le aziende» conferma Cristian Sala di Kelly Services. «La qualità della vita, la gestione consapevole e maggiormente autonoma dei propri impegni, il reale bilanciamento tra esigenze professionali e personali, oggi costituiscono motivi di accettazione o mantenimento di un lavoro tanto quanto la retribuzione. Un dato interessante arriva da USA e Gran Bretagna: i test sulla settimana lavorativa breve a parità di stipendio hanno evidenziato che nel 95% delle imprese coinvolte la produttività è immutata e in alcuni casi addirittura aumenta, mentre i lavoratori, soprattutto quelli con figli, hanno risparmiato circa 300 euro al mese (3.500 euro l’anno). Lo stesso vale per le aziende, che hanno ridotto i costi fissi. Le aziende che meglio sapranno rispondere, senza preclusioni, a queste nuove necessità e rivedere l’orario come è inteso oggi diventeranno le più attrattive: potranno trovare e trattenere i talenti migliori».

Smart working: come diventerà?

Lo smart working era una modalità quasi sconosciuta in Italia fino alla pandemia. Oggi tutti o quasi lo abbiamo sperimentato, nel bene e, in alcuni casi, anche nel male. La domanda ora è come potrà continuare anche in futuro e come può diventare davvero un’alternativa al classico orario da ufficio, partendo anche dal fatto che il lavoro “agile” è possibilità di risparmio di risorse ambientali e di alleggerimento della mobilità urbana da non trascurare.

«Lo smart working è sicuramente un vantaggio per le aziende, in termini di risparmio su spese fisse come utenze, trasporti e lo stesso affitto dell’immobile» commenta Cristian Sala. «Ed è una modalità che continua ad essere richiesta da molti lavoratori perché consente una flessibilità e un’organizzazione della vita più efficiente. Servono sicuramente maggiori benefit e tutele – in Kelly per esempio corrispondiamo i ticket restaurant anche nei giorni in smart e abbiamo alzato il livello del welfare – ma lo smart working è molto conveniente a più livelli, non solo economico».

Un vero smartworking per non essere solo “telelavoro” o lavoro da casa però dovrà diventare più strutturato e “intelligente”. «Le dinamiche attuative del lavoro da remoto vanno studiate meglio» spiega Andrea Alemanno di Ipsos. «Un esempio: il costo della fibra ottica deve ricadere del tutto sul dipendente in smart working? Eventuali utilizzi di spazi di co-working devono essere sostenuti solo dal lavoratore che si trovi senza una casa adeguata? Bisogna ripensare l’organizzazione produttiva e sociale delle aziende: una parte dei benefici deve arrivare al dipendente, anche per risarcirlo di alcune complicazioni che lo smart può creare e farlo sentire sempre parte di un gruppo, evitando l’isolamento».

Ufficio

Foto di Israel Andrade su Unsplash

Ricerca del lavoro e nuove skills: la resilienza al primo posto

Oggi quando si cerca lavoro, oltre al CV, che rimane ovviamente sempre fondamentale, bisogna far ricorso anche ad altre “abilità”. Le chiamano soft skills e sono qualità che fanno parte oltre che del percorso di studi e lavorativo anche della personalità. Per trovare il lavoro giusto, ben retribuito e gratificante, bisogna mettere in campo altre capacità come la resilienza, il non darsi per vinto anche di fonte alle difficoltà e agli imprevisti e lo spirito di collaborazione con gli altri.

«Oltre alle specializzazioni che sono prevalentemente quelle scientifiche e teconologiche del mondo STEM, le aziende cercano proprio le soft skills. Fra queste ci sono capacità di lavorare in team, di gestire lo stress, di apprendere continuamente, di cogliere le opportunità che si aprono in azienda» conferma Cristian Sala.

Investire sulla formazione

Non solo posto fisso: al lavoro si chiede anche di crescere, di sentirsi stimolati e apprezzati. «Chi cerca lavoro, soprattutto tra i giovani talenti, vorrebbe una posizione in linea con i propri studi e la propria passione. Lo scarso riconoscimento del merito è un problema addirittura alla pari con la precarietà ed è il primo motivo di insoddisfazione (subito dopo lo stipendio troppo basso e un cuneo fiscale troppo alto) per oltre la metà degli italiani che vorrebbero cambiare lavoro o ne stanno cercando uno. La consapevolezza di dover fare sempre le stesse cose, senza possibilità di crescita professionale, personale ed economica, incide anche sull’idea di posto fisso: è ancora ricercato ma risulta meno attraente di ieri per le nuove generazioni» spiega Cristian Sala.

«I lavoratori si lamentano soprattutto del fatto che le aziende non formano abbastanza. E in effetti siamo sotto ogni media europea» conferma Andrea Alemanno. «Questo è una delle maggiori cause di mismatch tra domanda e offerta. C’è molto da fare, molto da migliorare ma fortunatamente è un buon momento, anche grazie ai fondi del PNRR: dobbiamo agire perché il lavoro di domani sia anche un’occasione di crescita reale, in termini economici ma anche umani».

Lucia Fino

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