Wise Society : L’agricoltura familiare salverà il mondo?

L’agricoltura familiare salverà il mondo?

di Mariella Caruso
23 Ottobre 2014

Il “nostro” Salone del gusto e Terra Madre. «Solo se i più poveri avranno una visione positiva del futuro cominceranno a rispettare l'ambiente»

Per alcuni è un appuntamento enogastromico, per molti altri il Salone del Gusto e Terra Madre è esclusivamente un appuntamento politico. I primi sciamano tra gli stand spiluccando assaggi, gli altri sono il pubblico privilegiato di questa edizione dell’appuntamento firmato Slow Food. «Senza contadini e artigiani l’Italia perderà la sua storia», spiega Carlin Petrini, presidente di Slow Food International e papà del Salone che ha dedicato l’edizione 2014 all’agricoltura familiare. E di contadini negli spazi torinesi del Lingotto e dell’Oval ce ne sono tanti tra produttori e componenti di una delle 200 comunità del cibo in arrivo da 100 paesi del mondo.

Tra questi anche Jean Philippe Beau Douzey, fondatore dell’Eco-centre “La Bouchot”, uno dei pionieri europei della permacultura, movimento che prende il nome dalla contrazione di “permanent agriculture” fondato da Bill Mollison e David Holmgren ispirati dalle idee di Masanobu Fukuoka, autore del libro “La rivoluzione del filo di paglia”. A Douzey è toccato aprire l’incontro dedicato all’agricoltura familiare e i cambiamenti climatici. È vero che l’agricoltura familiare è meno impattante sull’ambiente di quella industriale? Questa la domanda alla quale gli esperti hanno cercato di dare una risposta che, però, non è univoca nonostante il chilometro zero che, solitamente, accompagna questo tipo di organizzazione agricola dovrebbe essere una garanzia di una maggiore sostenibilità.

A sparigliare le carte, da «avvocato del diavolo» quale si dichiara preventivamente è Grammenos Mastrojeni, coordinatore delle questioni ambientali, accademiche e per la cooperazione decentrata della Cooperazione allo Sviluppo del ministero degli Affari esteri e Cooperazione internazionale, nonché docente di ambiente e geostrategia e autore del libro “L’arca di Noè”. «Siamo vicini a una soglia di catastrofe, ma le politiche nazionali e internazionali d’intervento saranno inutili fin quando la gente non si renderà conto che stiamo andando verso l’abisso. Nello stesso tempo non c’è speranza di risolvere i problemi ambientali se non si dà modo a tutti di guardare con speranza al futuro», ha detto Mastrojeni. «È vero che l’ambiente chiede giustizia, ma chi ha l’urgenza di sopravvivere oggi, non può pensare al domani: come si può dire a un favelado che disboca un ettaro di foresta amazzonica per sopravvivere che deve ascoltare il “grido di Gaia” e rispettare l’ambiente?». Una provocazione necessaria alla riflessione in un contesto che vuole dare una visione di futuro positivo all’agricoltura familiare che, sottolinea lo stesso Mastrojeni, «non emargina come quella latifondiaria, ma sviluppa un fenomeno di appropriazione».

E se in Italia continua il ritorno alla terra e, come rivelano i dati diffusi dalla Rete Rurale Nazionale del Mipaaf, il 55% delle famiglie italiane vivono in aree rurali (+30% dal 1991 al 2009), i giovani di queste famiglie non conoscono la parola “noia” e 9 aziende agricole su 10 sono a conduzione familiare, non bisogna dimenticare i problemi che, sia su scala nazionale sia su scala mondiale, affliggono la piccola agricoltura, in primis quella familiare a partire dalla proprietà dei semi. «I brevetti del 70% delle sementi viene posseduto da 10 aziende», ricorda Vicky Rateau, responsabile della campagna di giustizia economica per Oxfam, che non dimentica il land grabbing, i diritti delle donne e dei lavoratori e gli impatti sull’ambiente dell’agricoltura industriale.

Agricoltura familiare che, però, mantiene il ruolo di collante familiare, di sostegno economico e alimentare e, in Italia, dà origine a fenomeni positivi d’integrazione degli immigrati. Ci sono, ha spiegato Petrini in apertura di Salone, «maghrebini che fanno la fontina in Valle d’Aosta, indiani che mungono le vacche per la produzione di parmigiano reggiano, macedoni che raccolgono l’uva per il Barolo: persone rispettate e ben integrate, alle quali oggi l’agroalimentare di qualità deve molto».

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