Grazie al lavoro di un gruppo di volontari e al sostegno di alcune aziende, sono stati recuperati 655 alberi che fino al 30 ottobre abbellivano gli spazi di Expo
A innescarle è stato l’intento ecologista: salvare gli alberi di Expo per donarli ad alcuni Comuni dove avrebbero potuto continuare a vivere. Primo comandamento: non sprecare. È per merito di 14 volontari, in buona parte donne, che oggi è possibile stilare un bilancio incoraggiante del dopo Expo: 655 gli alberi che fino al 30 ottobre hanno abbellito i singoli padiglioni e che oggi sono stati recuperati e ripiantati altrove. Cui occorre aggiungere cinquanta palme, 659 arbusti, sessanta rose a spalliera, 430 rose paesaggistiche, 3073 erbacee perenni e graminacee. Un bottino dal valore difficilmente quantificabile, che oggi rappresenta la memoria di Expo sul territorio. Buona parte si trova in Lombardia, ma “tracce” verdi della rassegna sono oggi visibili anche a Pesaro.
L’INTUIZIONE – Cosa ne sarebbe stato di tutte le piante che per sei mesi sono state visibili all’interno dei padiglioni? È quanto, già prima che Expo iniziasse, s’è chiesto un gruppo di donne, guidate da Elena Galimberti e Olga Moskvina, un architetto paesaggista da sempre abituato a ragione in quattro dimensioni: «Cosa sarà del verde tra uno, cinque, dieci, cinquant’anni?». Così la professionista, dopo aver lavorato alla realizzazione dei padiglioni di Qatar, Oman e Kip-Onu, s’e attivata per coordinare la procedura di recupero. La domanda più difficile era: dove portare le piante recuperate? Chi pagherà l’estrazione? Su quale bilancio graveranno i costi del trasporto? L’idea di portare le piante nel verde pubblico piaceva alla gente, ma nessuno s’era chiesto fino a quel momento come fosse possibile farlo. Così Olga s’e fatta avanti con il Comune di Pesaro, dove vive. «Bel progetto, ne riparleremo a novembre». Ma l’idea era ormai germogliata e nel corso del semestre ha iniziato a radicarsi. Fino a diventare un piccolo capolavoro.
LUOGHI VERDI IN…MEMORIA DI EXPO – Ogni Comune che ha aderito al progetto “Recupero verde Expo” ha dovuto presentare una mappa dei terreni su cui avrebbe voluto regalare una seconda vita alle piante. Così sono nati i “luoghi di memoria di Expo”. Difficile dire cosa sarebbe stato di questi alberi senza l’intervento di questo gruppo di 14 volontari (oltre alle già citate Olga e Elena ci sono Noemi, Raffaella, Asunción, Silvia, Emanuela, Andrew, Elisa, Laura, Ferdinando, Marco, Carlo e Luca), ben supportato da alcuni rappresentanti di Expo (Giuseppe Sala, Bruno Pasquino, Cristina Martone, Paolo Sabatini), aziende municipalizzate, Paesi donatori (Cile, Qatar, Oman, Russia, Kip-Onu, Regno Unito, Repubblica Ceca, Marocco, Ungheria, Polonia, Austria, Olanda, Francia, Angola, Turkmenistan, Vietnam, Cina e Svizzera). Di sicuro una parte del verde sarebbe stata sicuramente persa sotto le ruspe: soprattutto gli arbusti, le erbacee perenni e le graminacee ornamentali. Anche molti alberi erano destinati a diventare legna da ardere o cippato. Altre piante sarebbero morte per lo stress idrico e termico. Invece oggi tutto ciò, al netto di una parte restituita ai Paesi di origine o venduta ai privati, si trova in molti Comuni dell’hinterland milanese (Bollate, Milano, Arese, Rho, Castano Primo, Pioltello, Liscate, Vignate, Baranzate), cui si aggiunge Pesaro. «Abbiamo seminato il dubbio, per favorire scelte pienamente consapevoli, prive di costrizioni. Ed è questo il risultato più importante del nostro operato», racconta Olga. «Non c’è legge che possa portarci a pensare in maniera sostenibile, se non l’esperienza vissuta».
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