In occasione della Giornata Mondiale dell'Educazione, uno spaccato sulla situazione italiana e internazionale, divisa tra Covid e disparità di genere
Il 24 gennaio è la data prescelta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite come momento celebrativo della Giornata internazionale dell’educazione. Giunta nel 2021 alla sua terza edizione, la Giornata avrà come tema “Rilanciare e rivitalizzare l’educazione per la generazione COVID-19“. A tal proposito, nel sito Internet dell’Unesco si legge della necessità di rafforzare l’istruzione (forte è il richiamo al momento pandemico) in un’ottica di collaborazione internazionale, affinché l’apprendimento permanente e inclusivo, possa essere posto al centro della ripresa.
Nel 2019, Audrey Azoulay, Direttrice Generale Unesco, affermava:
“Senza un’istruzione di qualità che sia inclusiva ed equa e senza opportunità di apprendimento permanenti per tutti, i Paesi non potranno spezzare il ciclo della povertà che lascia indietro milioni di bambini, giovani ed adulti”
Un modo per ribadire le caratteristiche ontologiche dell’educazione, generatrice di pace e sviluppo.
L’educazione come diritto fondamentale della persona: un po’ di storia
Un primo e importante riconoscimento giuridico internazionale dell’educazione, quale diritto fondamentale della persona, è contenuto nella Dichiarazione universale dei diritti umani, documento adottato dall’Assemblea Generale dell’Onu il 10 dicembre 1948. Il documento sancisce il diritto a un’istruzione elementare gratuita e obbligatoria.
Quarant’anni dopo, la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata all’unanimità dall’Onu il 20 novembre 1989, attraverso un processo di specificazione dei diritti (contenuti in 54 articoli e un preambolo), ne approva diversi: sociali, civili e politici, indirizzatati ai bambini e alle bambine di tutto il mondo, all’interno, comunque, della cornice teorica della Dichiarazione universale.
Il documento del 1989, allargando le maglie del diritto, stabilisce che i paesi aderenti dovrebbero rendere l’istruzione superiore accessibile a tutti e tutte. Al di là di Dichiarazione e Convenzione, che sono riconosciuti per il valore simbolico e la per la forza dei principi contenuti, è bene ricordare che tutta la seconda parte del Novecento è stata un fiorire di documenti internazionali più o meno vincolanti (Unesco, Unicef, Comunità Europea) contenenti obiettivi da raggiungere nel campo educativo e scolastico, quali la realizzazione di apprendimenti più efficaci, di politiche scolastiche inclusive e di contrasto alle povertà, sempre nell’ottica della cittadinanza attiva.
L’istruzione, pertanto, viene universalmente riconosciuta quale volano per contrastare povertà vecchie e nuove e costruire futuri più equi ed inclusivi. Ma qual è lo stato dell’arte? Quali risultati si sono raggiunti in campo educativo?
Education For All: un programma educativo globale
Educational For All (Efa) è un programma lanciato nel 1990 in occasione della Conferenza mondiale sull’educazione per tutti, con l’obiettivo di fornire educazione primaria a bambini, giovani e adulti, (con promotori Unesco, Undp, Unicef e Banca Mondiale), programma ripreso, poi, nel Forum mondiale sull’istruzione svoltosi a Dakar nel 2000.
In quell’occasione presero forma i tanto citati sei obiettivi da raggiungere entro il 2015 per garantire un insegnamento di base per tutti, al fine di ridurre massicciamente l’analfabetismo nel mondo. Dal 2002, con cadenza annuale, l’Efa pubblica un Rapporto, il Global education monitoring (Gem), redatto da un team di ricerca indipendente e pubblicato dall’Unesco. Nel Report si monitora lo stato delle politiche educative a livello globale al fine di informare e sostenere l’obiettivo prioritario dell’istruzione per tutti.
Global Education Monitoring: i dati del 2020
Il 23 giugno scorso è stato pubblicato il Report 2020. I dati in esso contenuti sono preoccupanti perché ci dicono che sono circa 258 milioni (cioè il 17% del totale a livello globale) le persone in età scolare che non hanno accesso alla scuola. Il dato è fortemente in crescita soprattutto nell’Africa subsahariana. Andando oltre e analizzando, per esempio, fattori sociali, economici culturali, il Report afferma che a fronte di 100 giovani appartenenti a fasce ricche della popolazione (esclusa Europa e Nord America) solo 18 giovani con famiglie povere concludono la scuola secondaria di secondo grado.
Continuando, i ricercatori sostengono che, i dati globali sull’apprendimento mascherano quelli dei Paesi più svantaggiati: nei Paesi a medio reddito, infatti, sebbene si sia registrato un incremento del 25% negli ultimi 15 anni, solo i tre quarti degli allievi frequenta ancora la scuola all’età di 15 anni. Anche i dati riferiti alla classe docente “fanno tremare i polsi”: un insegnante su 3 in 43 Paesi ad alto e medio reddito ha dichiarato di non aver tenuto conto nelle proprie pratiche educative della diversità culturale dei propri discenti.
Volgendo la sguardo alla disabilità, il dato inquieta e preoccupa visto che nel 25% dei Paesi indagati ancora vige un’educazione separata, con punte fino al 40% nei paesi asiatici e dell’America Latina.
La situazione educativa in Italia
E la situazione educativa italiana? Per rispondere alla domanda ci viene in soccorso Save The Children organizzazione non governativa che dal 2010 pubblica annualmente L’Atlante dell’Infanzia a rischio. Giunta alla sua XI edizione, la pubblicazione fotografa le condizioni di vita e di salute dell’infanzia italiana, attraverso una descrizione fatta di povertà minorile e disuguaglianze educative.
Il focus dell’edizione in corso ha riguardato la condizione di bambine e ragazze. Con gli occhi delle bambine, infatti, è il titolo dell’Atlante che in oltre 300 pagine raccoglie, elabora e analizza dati specifici dell’infanzia e dell’adolescenza, utilizzando fonti diverse: Istat, Eurobarometer, OCSE Pisa, MIUR, Invalsi, Ministero dell’Interno, Eurofound.
Il corposo strumento di indagine ben rileva aspetti quali l’educazione e la scuola, l’uso delle nuove tecnologie, i minori vulnerabili, dando particolare rilievo alle aree a rischio, nella consapevolezza che le situazioni di disagio, rese più acute dalla pandemia, rischiano di rendere ancora più profonde le disuguaglianze di genere. Si legge tra le righe del comunicato stampa di presentazione:
“Già prima della pandemia, nel nostro Paese, 1.137.000 di minori (l’11,4% del totale) si trovava in condizioni di povertà assoluta. La povertà economica (peggiorata con la pandemia) alimenta quella educativa in un circolo vizioso che non lascia scampo.
Povertà educativa che parte già dai primi anni di vita. Basti pensare alla possibilità di frequentare un asilo nido o un servizio per la prima infanzia, che in Italia resta un privilegio per pochi: nell’anno scolastico 2018/2019 solo il 13,2% dei bambini ha accesso a servizi pubblici offerti dai Comuni.
Ma anche nel percorso di crescita, gli indicatori di povertà educativa confermano una situazione grave già prima dell’emergenza: nel nostro Paese quasi uno studente al secondo anno delle superiori su quattro (24%) non raggiungeva le competenze minime in matematica e in italiano, il 13,5% abbandonava la scuola prima del tempo e più di uno su cinque (22,2%) andava ad incrementare l’esercito dei NEET, cioè di coloro che non studiano, non lavorano e non investono nella formazione professionale.
Gli effetti della pandemia sul futuro dei minori in Italia rischiano di essere ancor più pesanti sulle bambine e sulle ragazze, che già scontano in prima persona un gap con i coetanei maschi che affonda le proprie radici proprio nell’infanzia. Un divario di genere, che non accenna a ridursi, nonostante bambine e ragazze siano più brave dei loro coetanei a scuola, abbiano meno bocciature e abbandoni scolastici, si mostrino più resilienti e cooperative, abbiano competenze maggiori in lettura e in italiano e arrivino a laurearsi molto più dei ragazzi: un terzo delle giovani, a fronte di solo un quinto dei giovani maschi.
Persino nel mondo accademico, i divari di genere sono ancora forti: basti pensare che nel 2018 le donne rappresentavano il 55,4% degli iscritti ai corsi di laurea, il 57,1% dei laureati, il 50,5% dei dottori di ricerca. Ma pur essendo maggioranza nei percorsi di formazione universitaria, restano delle Cenerentole nella carriera accademica, sin quasi a scomparire ai vertici”.
Anche la situazione lavorativa riproduce il gender gap: l’Italia detiene uno dei tassi di occupazione femminili più bassi in Europa, soprattutto nei settori più innovativi quali STEM e ICT. Risulta evidente che il tema educativo non può più essere il fanalino di coda dell’agenda politica giacché l’educazione rappresenta la chiave di volta per contrastare la pandemia e progettare scenari futuri allineati e coerenti con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, Agenda che tra i suoi obiettivi contempla quello di “Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”.
Obiettivo che deve anche eliminare le disparità di genere nell’istruzione, favorendo un’educazione paritaria, fondata sul contrasto a tutti gli stereotipi e pregiudizi che bloccano sogni, aspirazioni e talenti di bambine e ragazze.
Per approfondire il tema della disparità di genere, vi consigliamo la lettura di questo articolo su VitamineVaganti
*Modesta Abbandonato, insegnante